I processi di identificazione - Premessa

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

 Crescere come....

La parola ammonisce, l'esempio educa.

Ai piccoli, ai fanciulli e agli adolescenti occorrono grandi esempi di virtù da imitare e da amare.

Essi hanno bisogno di figure importanti, di eccellenze, dai genitori ai nonni, dagli insegnanti ai politici, dagli sportivi agli uomini di fede. Ed altri.

Ci sono fenomeni psichici di introiezione delle loro figure che avvengono attraverso importanti processi di identificazione.

Quali potrebbero essere, oggi, i modelli, le figure, i personaggi con i quali i vostri figli, i nostri nipoti, maschi e femmine, possono identificarsi? Per crescere bene.

Oggi.

 

L’esempio è sempre presente nell’atto educativo.

Tuttavia c'è da distinguere l'atto educativo con quello psicoterapeutico. In psicoterapia, cioè nella cura o ri-costruzione della persona, o meglio ri-equilibrio della persona, vale quanto fu detto da Freud, mi pare, e successivamente ripetuto da Jung. E cioè che nella fase psicoterapeutica non si opera come un pittore che mette pennellata su pennellata sopra la tela, e cioè che forgia il soggetto; ma come lo scultore che toglie le scorie per mettere alla luce quello che c'è sotto, cioè la forma della personalità del soggetto che soffre, con tutti gli elementi nascosti, una persona confusa, annebbiata, anche scissa, a volte, o depressa, scoraggiata e sconfortata. Perché se il terapeuta mette di suo sopra al soggetto che soffre, allora il soggetto può guarire, ma diventa una brutta copia del suo analista.  Mentre nell'educare, a volte occorre dare soprattutto l'esempio, il modello, l'impronta. e quello che si dà, fa effetto e va a costruire, insieme ad altri modelli, la personalità del soggetto-bambino o adolescente.  Sono invece d'accordo che nella fase di restauro, di ri-pristino, di ri-equilibrio del soggetto sofferente, da riportare alla luce è soprattutto "l'angelo" che sta sotto. Però, nel fare questo, non possiamo spogliarci della nostra persona e mostrarci come un “non-soggetto”. Anche dovendo eliminare le scorie e far riemergere “l'angelo” che vi è sotto, ci si dona all'altro, ci si offre e pertanto si diventa, volenti o nolenti, un “modello di riferimento”, una persona che si presume sia “sana”, equilibrata e "corretta". E non possiamo fare a meno se il soggetto che soffre, trova in questa persona che opera su di lui-lei e per lui, un modello, un "esempio" di virtù per l'altro.  In tal senso l’altro lo introietta, lo “mangia” lo divora, lo fa suo.  E’ vero che il soggetto che soffre trasferisce sull’analista i suoi mali e la sua sofferenza, ma è anche vero che nello stesso tempo introietta la figura del suo analista e la sente “sua”.  D’altronde, il transfert è proprio "questo modo" d'incorporare l’altro.

 

 

Data pubblicazione: 01 febbraio 2014 Ultimo aggiornamento: 09 febbraio 2014

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Dr. Antonio Vita

L’esempio è sempre presente nell’atto educativo.

Tuttavia c'è da distinguere l'atto educativo con quello psicoterapeutico. In psicoterapia, cioè nella cura o ri-costruzione della persona, o meglio ri-equilibrio della persona, vale quanto fu detto da Freud, mi pare, e successivamente ripetuto da Jung. E cioè che nella fase psicoterapeutica non si opera come un pittore che mette pennellata su pennellata sopra la tela, e cioè che forgia il soggetto; ma come lo scultore che toglie le scorie per mettere alla luce quello che c'è sotto, cioè la forma della personalità del soggetto che soffre, con tutti gli elementi nascosti, una persona confusa, annebbiata, anche scissa, a volte, o depressa, scoraggiata e sconfortata. Perché se il terapeuta mette di suo sopra al soggetto che soffre, allora il soggetto può guarire, ma diventa una brutta copia del suo analista.
Mentre nell'educare, a volte occorre dare soprattutto l'esempio, il modello, l'impronta. e quello che si dà, fa effetto e va a costruire, insieme ad altri modelli, la personalità del soggetto-bambino o adolescente.
Sono invece d'accordo che nella fase di restauro, di ri-pristino, di ri-equilibrio del soggetto sofferente, da riportare alla luce è soprattutto "l'angelo" che sta sotto.
Però, nel fare questo, non possiamo spogliarci della nostra persona e mostrarci come un “non-soggetto”. Anche dovendo eliminare le scorie e far riemergere “l'angelo” che vi è sotto, ci si dona all'altro, ci si offre e pertanto si diventa, volenti o nolenti, un “modello di riferimento”, una persona che si presume sia “sana”, equilibrata e "corretta". E non possiamo fare a meno se il soggetto che soffre, trova in questa persona che opera su di lui-lei e per lui, un modello, un "esempio" di virtù per l'altro.
In tal senso l’altro lo introietta, lo “mangia” lo divora, lo fa suo.
E’ vero che il soggetto che soffre trasferisce sull’analista i suoi mali e la sua sofferenza, ma è anche vero che nello stesso tempo introietta la figura del suo analista e la sente “sua”.
D’altronde, il transfert è proprio "questo modo" d'incorporare l’altro.