Alla ricerca della felicità e la psicologia positiva

Chi non si è mai interrogato sulla felicità? Esiste? Non esiste?
Fin dalla notte dei tempi saggi e profeti dispensavo ogni sorta di consiglio che potesse condurre alla tanto agognata felicità.

Molti però non sanno che la felicità non solo esiste ma è anche studiata e analizzata scientificamente.

Prima di arrivare però ad affermare ciò bisognerebbe fare un passo indietro ed introdurre quella che viene oggi definita Psicologia Positiva, ovvero quella branca della psicologia che si occupa del benessere personale e del raggiungimento del quale oltre che del benessere della collettività

La SIPP, la Società Italiana di Psicologia Positiva, differenzia all’interno della stessa Psicologia Positiva due prospettive, la prima edonica, riferita a studi che concernono il benessere e il piacere personale mentre la seconda, detta eudaimonica, che ha invece la caratteristica di situarsi tra il benessere individuale e collettivo viste come dimensioni strettamente interconnesse.

La Psicologia Positiva è davvero molto giovane se poniamo come sua nascita il libro di Martin Seligman del 1990 “Imparare l’ottimismo”, il quale aveva un obiettivo finale non da poco conto, ovvero quello di rendere felici le persone. Se dai primordi la psicologia volle rendere le persone meno infelici, Seligman al contrario volle capire cosa rendeva felici le persone, analizzare la felicità e trovare un metodo quanto più scientifico possibile per estendere e rendere generalizzabili i risultati ottenuti.

Vediamo allora in questi anni a quali risultati sono giunti gli “esperti della felicità”.

Sonja Lyubomirsky, professoressa del dipartimento di Psicologia della Stanford University in California, si è interessata soprattutto alla ricerca di un qualche fattore genetico della felicità ed afferma che le persone felici tendono a giustificare gli eventi e le circostanze della vita in modo da rinforzare la loro felicità, mentre quelle infelici al contrario si costruiscono mappe mentali riferite alle proprie esperienze atte a rinforzare la propria infelicità.

Tal Ben-Shahar, professore di psicologia positiva ad Harvard afferma che la felicità è il frutto del piacere e del significato che diamo alle nostre azioni.

Ci sono alcuni aspetti su cui la psicologia positiva si è voluta maggiormente soffermare:

1) La gratitudine

Esprimere la propria gratitudine aumenta il nostro benessere, per riuscire a fare ciò bisognerebbe focalizzarci su quanto abbiamo anziché su quello che non abbiamo. Solo noi stessi possiamo decidere se portare alla nostra attenzione le cose positive di cui godiamo (amici? Casa? Partner? Lavoro? Affetto? Salute? Etc) o invece soffermarci su ciò che ci manca e far sì che il nostro umore diventi pessimo.
Il nostro umore è influenzato da ciò che pensiamo quindi… da ciò a cui noi decidiamo di dare attenzione!

2) La generosità

Un’altra dimensione che a quanto pare rende felici è la generosità, quanto più siamo disposti a dare agli altri tanto più riceviamo in termini di benessere e felicità.
Il “generoso” ha sicuramente un’immagine positiva di se stesso e in questo modo aumenta la propria autostima; donando oltretutto è grato di quello che ha e che può donare agli altri.

3) Il sorriso 

Non si può parlare di felicità senza parlare del sorriso: vi sono moltissime ricerche che hanno studiato gli effetti benefici di un sorriso. Manifestare frequentemente sorrisi migliora la qualità della vita e contribuisce anche a prolungarla (a dispetto del famoso proverbio latino: “risus abundat in ore stultorum”!)

4) Eventi VS Atteggiamento mentale

Gli studiosi hanno dato un ampio credito all’atteggiamento mentale piuttosto che agli eventi in sé e per sé e ci invitano a riflettere su come ad esempio eventi che noi tendiamo a credere come situazioni future felicissime poi in realtà non si manifestaranno come tali: ad esempio non vediamo l’ora di partire per le vacanze ma una volta arrivati ci stressiamo e annoiamo, oppure passiamo una vita a cercare l’amore e una volta trovato e una volta sposati ci rendiamo conto che non siamo più felici come avevamo immaginato (il matrimonio renderebbe più felici per un arco di tempo limitato dei primi 5 anni).

 

E i soldi? I soldi fanno davvero la felicità?

Anche in questo ambito gli studiosi affermano che il legame tra i soldi e la felicità è sopravvalutato. Molti poveri, in realtà, giurerebbero il contrario e di fatto non sbaglierebbero perché quando non si possono soddisfare i propri bisogni vitali non si può dire di essere felici; quando invece questi bisogni sono soddisfatti l’aumento di ulteriori entrate non farebbe la differenza per via di un meccanismo psicologico chiamato adattamento, in breve ciò che all’inizio ci rende felici poi diviene un’abitudine e non ci dà ulteriori iniezioni di felicità.

Probabilmente sembrerà banale ma a detta di coloro che studiano e sono dentro la materia, abbiamo davvero molte cose per cui essere felici però non ce ne accorgiamo o tendiamo a dimenticarle ogni giorno e come afferma Andrè Christophe, anche egli psicologo positivo “la felicità è uno stato di benessere del quale si prende consapevolezza” e allora il trucco starebbe nel non lasciarsi sfuggire questa consapevolezza, facile no?

 

 

Per saperne di più:

  • Andrè Christophe, Vivere felici
  • Martin Seligman, Imparare l’ottimismo
  • Yves-Alexandre Thalmann, Quaderno d’esercizi di psicologia positiva
  • www.psicologiapositiva.it

 

 

Data pubblicazione: 28 gennaio 2014

2 commenti

#1

Articolo molto interessante! Gli studi della Psicologia Positiva, ben rispondono all'obiettivo di promuovere e tutelare il benessere dell'individuo. Aggiungo che il benessere in una prospettiva edonica corrisponde al piacere immediato mentre, in una prospettiva eudaimonica, alla soddisfazione e alla realizzazione del proprio potenziale che potrebbe incrementare il proprio livello di felicità.

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