Le ricerche in psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI)
Il termine Psiconeuroimmunologia o Psiconeuroendocrinoimmunologia, meglio esprimibile come PNEI, è stato il frutto di tanti anni di studi ad opera di Robert Ader , direttore della divisione di medicina psicosociale e comportamentale dell’Università di Rochester a New York.
Lo coniò nel 1975 per indicare un ambito disciplinare che, alla luce delle nuove ricerche, non poteva non studiare i rapporti fra gli stati mentali e la fisiologia umana con particolare riferimento alla risposta immunitaria.
Nel corso degli anni la PNEI si è evoluta ed attualmente viene, grosso modo, così definita: “la disciplina scientifica che studia i rapporti di reciproca influenza fra sistema nervoso, sistema immunitario e sistema endocrino, nelle loro implicazioni fisiologiche e patologiche”
Fino agli inizi degli anni settanta, tra gli studiosi, era opinione comune che le sollecitazioni endogene ed esogene attivassero soltanto il sistema autonomico e quello endocrino. Numerose ricerche negli anni successivi, partendo dall’ipotesi che la personale risposta emotiva, attivi o inibisca il sistema immunitario, dimostrarono invece l’influenza, dello stress -come degli stati d’animo piacevoli- sui processi immunitari.
Nacque così una nuova area di ricerca denominata Psicoimmunologia; man mano, guadagnò la sua definizione e, tra varie incertezze, venne designata come la disciplina che studia le interazioni tra psiche e soma.
Cosa certa è che negli anni sessanta ebbero inizio le ricerche che indagavano gli effetti dello stress fisico e psicologico sull'immunità nell'animale seguite, nel 1972, da quelle sull'uomo che divenne oggetto di osservazione nella sua interazione a vari stressogeni- naturali o indotti -e alle alterazioni della funzionalità immunitaria che ne derivavano. Pietra miliare dello studio su animali fu la ricerca di Ader in un esperimento di immunosoppressione incondizionata.
Egli somministrò ad un gruppo di ratti, una soluzione di saccarina quale stimolo condizionato e Cytotaxan- farmaco noto per la sua capacità immunosoppressiva- quale stimolo incondizionato. Dopo varie associazioni dei due stimoli, ai ratti fu presentata solo la soluzione di saccarina e
anche in assenza di Cytotaxan , i linfociti T, con grande sorpresa degli sperimentatori, subirono un calo. Qualche via cerebrale registrava l'emozione prodotta dal sapore dolce dell'acqua provvedendo ad abbassare le produzione delle cellule T.
Probabilmente si era verificata un'immunosoppressione condizionata.
Queste e altre ricerche hanno rivelato che, percepire-o anche solo l’immaginare percependone disagio- uno stimolo stressogeno, è sufficiente a causare cambiamenti nel sistema immunitario degli animali di laboratorio.
Naturalmente non è noto sui soggetti umani quanta coerenza di risultati si potrebbe ottenere, però, è stato ampliamente dimostrato che, contingenze di vita, quali diminuzione della quantità di sonno, tensioni pre esami negli studenti(Kiecolt-Glaser JK, Glaser R, 1992; William & Glaser 1995; Marshall Jr et al., 1998 )lutti, care giver a malati terminali e Alzhaimer (Hoshino J et al, 2009), catastrofi naturali (Wadsworth, et al 2009), divorzi nonché una rimuginazione da inefficace coping degli stessi (Kross et al., 2008) veicolano un alta percentuale di correlazione con un abbassamento del numero di linfociti T prodotti dal timo.
Ulteriori ricerche hanno dimostrato che tale abbassamento permaneva anche in assenza di stress reale, dando vita, col tempo, ad una personalità immunitaria recidivante. (Kiecolt-Glaser JK, 1988; Kaulfersch W, Kurz R, Hitzig W.1992).Una rassegna in tal senso (Biondi, Pancheri, 1994) descrive ben 46 studi condotti sull'uomo dal 1972 al 1992 , aumentati anno dopo anno. Dal ‘92 le ricerche si sono moltiplicate arrivando a più di cento lavori pubblicati, di cui gran parte studi sperimentali condotti sull'uomo (fonte: www.psicomedia.it). Crocevia della maggior parte di tali studi, l’asse cortico-ipotalamicopituitario-surrenale.
Condizioni di vita e patologie.
A proposito del già citato concetto di personalità immunosoppressoria recidivante le ricerche, sempre più numerose e sempre più specializzate, mostrano come l’interazione tra emozioni (negative e positive) salute e malattia, sia oggi un fenomeno conosciuto ed accettato anche al di fuori dei laboratori di ricerca, benché dall’interno degli stessi e, nelle pubblicazioni dei
risultati, si rimanga molto cauti e probabilistici nell’ informare su tale interazione, in special modo quando si parla di malattie, allo stato delle conoscenze, ancora incurabili.
Le seguenti recentissime ricerche ruotano intorno a condizioni di vita, emozioni, salute e malattia e danno un’ idea, sia della grande attività di cui questo filone di ricerca gode, sia della ragionevole circospezione con cui si riporta la, talvolta evidentissima ma non ancora ben chiaramente accertata, interazione tra psiche e soma (Fuligni AJ et al, 2009):
L’università della California presso il dipartimento di psichiatria, ha pubblicato uno studio condotto su 64 adolescenti latinoamericani ed europei di età media di circa 17 anni impegnati ad aiutare la famiglia in svariati modi, come cucinare, pulire e prendersi cura dei fratelli più piccoli.
L’esame dei livelli di IL-6, di CRF, più altri parametri utili hanno rivelato un aumento rispetto al gruppo di controllo dei loro pari.
Tuttavia, parte di tali adolescenti che, probabilmente, ricavavano un senso di gratificazione nell’aiutare quotidianamente la famiglia, evidenziava livelli più bassi delle stesse sostanze rispetto ai coetanei che svolgevano la stessa quantità di assistenza familiare.
Moltissimi altri studi hanno sottolineato la correlazione tra debolezza della rete sociale, stress e risposta immunitaria a vaccini, infezioni virali e sindrome da fatica cronica (Glaser et al. 1998; Pressman & Cohen, 2005) tra sistemi di valore percepiti, stress e modalità di adottate (Shapiro Jr et al. 1996; Xie, Jia Lin et al., 2007) così come tra Burnout e rischi cardiovascolari (Melamed et al 2006 )
Altre pubblicazioni, riconoscendo allo stress un ruolo non indifferente nello sviluppo dei disturbi, passano in rassegna precedenti studi compiuti sulla correlazione tra stress e cancro al seno (Biondi et al., 1997; Pant et al, 2009) e stress e sclerosi multipla (Mitonis et al, 2009).Coraggiosi studi antesignani di tale filone furono compiuti sulla correlazione tra stress ed infertilità nei due generi (Negro; Vilar, 1993)sulla correlazione tra eventi di vita stressanti, sclerosi multipla e reattività cardiovascolare ad essi (Ader, 2002; Smith & Ruiz, 2002) nonché-ultima intuizione prontamente verificata- tra livelli di stress, trigliceridi e colesterolo (Shirom et al, 1997; Steptoe & Brydon,2005).
Ogni scoperta però rivela percorsi impensabili e, la stessa Brydon, in uno studio sperimentale riporta: “L'evidenza suggerisce che l'ottimismo può essere protettivo per la salute nei periodi di maggiore stress ma che, i meccanismi coinvolti restano oscuri” (L. Brydon et al, 2009).
Tale recente letteratura, su correlazione tra salute e serene ottimistiche aspettative, ha infatti un passato puntellato da tantissime pubblicazioni ed esperimenti nei quali già si auspicava “un’influenza dell’ottimismo e delle prospettive positive sulla salute” (Scheier , Carver, 1987) o, nel 1991, quando già si rifletteva sull’interazione tra “cancro e immunità in una prospettiva psicobiosociale e psiconeuroimmunologica” (Baltrusch H.J et al. 1991; Eysenck et al., 1994) o sulla disposizione ottimistica verso l’aspettativa di vita in pazienti con l’H.I.V, (Tomakowsky J et al. 2001) per poi procedere verso svariate vie ma, tutte passanti per un unico crocevia: l’asse ipotalamo, ipofisi, surrene ma ricordando con Eduard hughes Galeno che:
“Ogni persona brilla con luce propria fra tutte le altre.
Non ci sono due fuochi uguali, ci sono fuochi grandi, fuochi piccoli e fuochi di ogni colore. Ci sono persone di un fuoco sereno, che non sente neanche il vento, e persone di un fuoco pazzesco, che riempie l´ aria di scintille.
Alcuni fuochi, fuochi sciocchi, né illuminano né bruciano, ma altri si infiammano con tanta forza che non si puó guardarli senza esserne colpiti, e chi si avvicina si accende”. Come dire che, a seconda delle strategie di coping introiettate, la risposta allo stress può essere di qualità, dimensione ed articolazione diverse in ognuno di noi.
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