Anoressia mentale

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Dr. Giampaolo Falasca Psicologo, Psicoterapeuta

L'anoressia mentale, nelle sue forme più gravi, rappresenta una vera e propria emergenza medica, in quanto la morte sopraggiunge, in genere, per uno scompenso funzionale in più organi, oppure per un grave squilibrio elettrolitico, sempre entrambi comunque dovuti al deperimento organico.

Una volta stabilizzati i parametri vitali, l'obiettivo prioritario diventa quello di interrompere il deperimento organico per inedia, requisito essenziale per avviare un trattamento psicologico, e gestire le complicanze mediche.

Il rifiuto del cibo, in questi pazienti, è vigoroso e deciso, così come lo è il terrore per le calorie, in quanto questo tipo di pazienti oppone una forte resistenza e non accetta l'idea di desistere dal digiuno, ed è inutile anche far leva sul fatto che stanno mettendo in pericolo la loro stessa vita, per cui la ripresa dell'alimentazione deve essere cauta, all'inizio, meglio se in forma liquida e, nei casi particolarmente difficili, in cui il paziente non può e non vuole mangiare, può rendersi necessario l'impiego di un sondino nasogastrico oppure anche soltanto la minaccia di esso.

Seguire una dieta liquida, anche solo temporaneamente, presenta alcuni vantaggi, quali, ad esempio, il fatto che le resistenze dei pazienti sono minori e si evitano quei complicati rituali associati all'ingestione di alimenti solidi, inoltre, in questo modo, il paziente assume più calorie, dato che l'assorbimento dei liquidi è veloce e c'è minore possibilità di autoindurre il vomito, in più, fattore non trascurabile, non ha l'impressione di essere stato messo all'ingrasso, infine, una dieta liquida permette una più accurata misurazione delle calorie totali assunte in un giorno.

Il passo successivo prevede intrventi psicoeducazionali, modificazione del comportamento e psicoterapia cognitiva, per dare al paziente abitudini alimentari più sane e una diversa percezione dell'immagine corporea, infatti il trattamento psicoeducazionale dell'anoressia prevede che il paziente sia messo a confronto con le proprie idee riguardo al cibo e al peso corporeo, fornendo in alternativa idee più accettabili, anche se curare l'anoressia è molto difficile, perchè si tratta di indurre il paziente a fare esattamente la cosa che teme di più, ovvero acquistare peso.

Il primo passo dunque sarà quello di convincerlo della necessità di recuperare qualche chilo e della potenziale pericolosità del digiuno, così come anche molto importante sarà chiarire la relazione fra basso peso corporeo e sintomi di anoressia, ovvero scarsa energia, difficoltà di concentrazione, oscillazioni dell'umore, ossessione per il cibo, concetti che possono dar maggior consapevolezza al paziente e farlo desistere da questa lotta senza possibilità di vittoria.

La terapia comportamentale comincia con un "contratto" , cioè un accordo stipulato fra psicoterapeuta e paziente che prevede un incremento di peso di almeno 500 grammi o, meglio ancora, un chilo alla settimana, dove il comportamento positivo viene premiato, quello negativo punito, allo scopo di rinforzare la motivazione, per cui si concedono, per esempio, piccoli privilegi quali poter guardare più a lungo la televisione, uscire con gli amici, passare più tempo al telefono, inoltre un dietologo potrebbe collaborare , controllando il comportamento alimentare, consigliando cibi sani nella giusta quantità.

Un momento cruciale è il passaggio dalla dieta liquida a quella solida, mentre le tecniche di desensibilizzazione, utilizzate per le fobie, possono servire quando l'ansia è insostenibile anche di fronte a cibi poco calorici, così come un'altra strategia comportamentista mira al riconoscimento delle situazioni che scatenano il bisogno di digiuno o di esercizio fisico.

La psicoterapia cognitiva mira a identificare, sottoporre a confronto e modificare le percezioni distorte riguardo a cibo e linea, in quanto queste percezioni così grossolanamente distorte della realtà vanno ridimensionate e sostituite con idee più realistiche ed accettabili, poi, un altro obiettivo della psicoterapia, è quello di far affiorare la consapevolezza della propria incapacità a valutare in modo oggettivo ed imparziale il peso e la linea, in quanto un anoressico deve rassegnarsi di fronte alla sua dimostrata incapacità a valutare il proprio peso.

Il trattamento farmacologico dell'anoressia, infine, non dà particolari risultati, in quanto, pur essendo stati sperimentati diversi farmaci, nessuno di essi si è dimostrato in grado di permettere un aumento di peso duraturo e i farmaci antidepressivi risultano efficaci soltanto quando l'anoressia è accompagnata da sintomi depressivi importanti.     

 

Data pubblicazione: 27 settembre 2013

9 commenti

#1
Foto profilo Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

"il comportamento positivo viene premiato, quello negativo punito,
allo scopo di rinforzare la motivazione, per cui si concedono, per esempio, piccoli privilegi quali poter guardare più a lungo la televisione, uscire con gli amici"

Il comportamento negativo viene punito e quello positivo premiato? Ma da chi e come? Chi impedirebbe al paziente di vedere la televisione?

Gentile collega proprio non mi so spiegare da dove tu abbia ricavato l'idea che un simile atteggiamento coercitivo da parte terapeuta possa in qualche modo aiutare una persona che soffre di disagi così gravi. Credo però che l'utente debba sapere che un simile metodo, non è affatto condiviso da buona parte dei colleghi psicoterapeuti che si occupano da decenni di questi disagi.

Inoltre la tua affermazione: "Il primo passo dunque sarà quello di convincerlo della necessità di recuperare qualche chilo e della potenziale pericolosità del digiuno" - Questo è esattamente ciò che i fanno tutti (o quasi) genitori di pazienti anoressici, con l'unico effetto di incrementare le resistenze del paziente ed indurlo in una maggiore e più ostinata chiusura.

Nessuna ipotesi psicologica o psicoterapeutica sull'anoressia contempla che lo psicoterapeuta debba "convincere" l'anoressico della necessità di prendere peso. Un simile atteggiamento, invece, potrebbe risultare paradossalmente tranquillizzante (illusoriamente) per i genitori, ma del tutto inappropriato, e potenzialmente dannoso per il paziente.

#2
Foto profilo Dr. Giampaolo Falasca
Dr. Giampaolo Falasca

In assenza di precisi riferimenti bibliografici che indichino una terapia di protocollo con le relative linee guida, considero queste obiezioni prive di alcun fondamento scientifico-clinico, obiezioni alle quali avrei comunque risposto, esponendo il punto di vista di accreditate teorie psicologiche, qualora il tono non fosse stato così irriguardoso, irriverente ed irridente, atteggiamento dal quale diffido l'autore. Dr. Giampaolo Falasca, specialista in psicologia, professore di psicologia, psicologo, specialista in psicoterapia cognitivo-comportamentale, ex membro della sezione di psicologia sociale e del lavoro, facoltà medica, università di Milano, iscritto all'opl dal 1994 nella sezione A, con il titolo di psicologo-psicoterapeuta, esperto in psicologia clinica, psicologia dell'età evolutiva, neuropsicologia, sessuologia.

#3
Foto profilo Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

Gentile collega, mi spiace che tu prenda per irriguardoso e irridente un commento che è solo pesantemente critico e che ha come unico scopo informare l'utente del fatto che il modello d'intervento da te proposto - dalle mie conoscenze - non è supportato (in molti dei suoi passaggi ovviamente non in tutti) da alcuna argomentazione né di carattere clinico né tantomeno scientifico. Ciò detto sei libero di scrivere ciò che meglio ti aggrada, ma l'utente deve sapere che ciò che è scritto in questo blog è un'opinione personale, per quanto mi riguarda, ma che non può trovare consenso necessariamente da parte di altri colleghi,

Per quanto riguarda le "terapie di protocollo con relative linee guida" forse ti riferisci ad un modello d'intervento medico e non psicologico. Nessuna patologia psicologica - a differenza di molte patologie organiche - per la quale è indicata una psicoterapia può essere - ad oggi - standardizzabile all'interno di un modello d'intervento unico ed universalmente riconosciuto come valido e pertanto "protocollabile con relative linee guida".

Detto questo però - che significa che possano essere valide per date patologie anche diversi approcci e diversi tipi di psicoterapia - comunque non c'è in nessuna psicoterapia una modalità di punizione in cui si vieterebbe al paziente di vedere la TV o di uscire con gli amici. Sono certo che non esiste alcuna letteratura di questo tipo (di recente pubblicazione almeno, ove per recente intendo negli ultimi 20 o 30 anni) ed è questo l'unico motivo per il quale non me ne potrai fornire.

#4
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Dr. Massimo Lai

Si può essere più o meno critici verso l'esposizione delle idee (la forma), tuttavia quello che il Dr Raggi definisce "punto di vista" senza fondamento scientifico, ha in realtà una ben ampia utilizzazione in cliniche dedicate alla cura delle condizioni gravi e gravissime di disturbi alimentari o semplicemente in reparti di medicina dove arrivano queste pazienti in fin di vita e che si cerca di salvare per poterle reinseire in un circuito di cura psicoterapeutico come quelli conosciuti dal Raggi appunto.

Probabilmente si tratta degli stessi pazienti che giungono alle vostre osservazioni in fasi della malattia differenti e le tecniche di punizione/premio non sono altro che il rinforzo positivo o negativo di scuola comportamentale.
E' chiaro che non basta e che il percorso terapeutico non si risolve solo in questo.

D'altronde lo scritto esordisce chiaramente mettendo in evidenza che si parla di forme gravi al limite della morte.

>>>L'anoressia mentale, nelle sue forme più gravi, rappresenta una vera e propria emergenza medica, in quanto la morte sopraggiunge, in genere, per uno scompenso funzionale in più organi, oppure per un grave squilibrio elettrolitico, sempre entrambi comunque dovuti al deperimento organico.<<<

Detto questo, tengo a precisare che neanche nelle forme più gravi si agisce contro il consenso del paziente e l'utilizzazione del sondino naso-gastrico, tecnica che esiste e che mi stupisco che uno che segue pazienti con disturbi alimentari non conosca anche se non medico, viene utilizzata, mi ripeto nelle pazienti in fin di vita. Di solito ci si limita a riportarle a un livello di BMI sempre molto basso ma almeno temporaneamente stabili dal punto di vista medico. Una volta uscite dal reparto di medicina di solito queste pazienti vengono inviate dallo psichiatra/psicologo.
E' un percorso lungo e impervio fatto di successi e molte più sconfitte con pazienti, ripeto, cachettiche.
Non tutte si salvano.

Detto questo non ci vedo niente di scandaloso nell'eposizione di queste tecniche che rappresentano solo una tappa nel processo di cura delle forme più gravi e che non vengono mai eseguite senza il consenso del paziente salvo casi in fin di vita di emergenza medica in cui il medico si trova tra l'incudine e il martello della non assistenza di persona incapace e costrizione contro la volontà del paziente.

#6
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Dr. Alessandro Raggi

Ciò che scrive dott. Lai sul trattamento medico dei pazienti anoressici in stato di seria compromissione organica corrisponde ai processi che i colleghi medici e psichiatri si vedono costretti ad attivare nel momento in cui per il paziente c’è rischio imminente di vita.
Dico di più, in molti casi si dispongono tutte le procedure persino per i cosiddetti TSO (trattamenti sanitari obbligatori) ed in talune circostanze si deve provvedere all’alimentazione artificiale del paziente non solo tramite sondino nasogastrico, ma anche per via parenterale. Pertanto vorrei rassicurare il dott. Lai sul mio livello di conoscenze poiché anche se non medico, ho la grande fortuna di lavorare in equipe con medici e psichiatri molto preparati ed in collaborazione con tutte le strutture pubbliche presenti sul territorio.
Piuttosto sembra che il dott. Lai, che però è davvero scusato poiché non è psicologo, fraintenda il senso di “rinforzo positivo o negativo di scuola comportamentale” in psicoterapia – poiché – e si esprimano in caso contrario colleghi comportamentisti – non mi sembra che “rinforzo positivo” in psicoterapia anche di stampo comportamentista si possa in alcun modo esprimere per mezzo di : « concedere piccoli privilegi quali poter guardare più a lungo la televisione, uscire con gli amici, passare più tempo al telefono..» - o che rinforzo negativo significhi «minacciare l’uso del sondino naso gastrico». Si tratta di rinforzi in termini comportamentisti stretti, certamente, ma non di psicoterapia basata sull’uso del rinforzo. Il fatto poi che cose del genere, come lei afferma, si pratichino in sedicenti cliniche “specializzate” non significa che ci sia alcuna scientificità in metodologie simili e mi sembra comunque molto strano. Può fare qualche esempio per favore?
Le faccio inoltre notare, ma unicamente a beneficio dell’utenza, che il trattamento medico delle conseguenze dell’anoressia (quando lei si riferisce alla gravità credo parli di questo aspetto descrittivo immagino, non della categoria psicodiagnostica) non è l’oggetto della news del collega e dunque nemmeno dei miei rilievi, poiché si sta scrivendo in un blog di psicologia, una news di psicologia. Ed è a quello che evidentemente io mi riferisco come può comprendere bene chiunque legga con attenzione la news e i miei successivi commenti in merito.
Concludo invitandola a rileggere con maggiore attenzione sia la news del collega che i miei rilievi che come forse adesso noterà non sono affatto relativi al primo passaggio – che lei riporta – sugli aspetti medici del trattamento delle conseguenze dell’inedia prolungata, ma si riferiscono alle metodologie di intervento psicologiche e psicoterapeutiche proposte: «Una volta stabilizzati i parametri vitali..» e come «..passo successivo..».

#7
Foto profilo Dr. Stefano Garbolino
Dr. Stefano Garbolino

Si può essere più o meno d'accordo con la proposta terapeutica descritta dal Dott. Falasca, ma non sono presenti elementi di per sé criticabili in modo aprioristico. Lo stesso rinforzo positivo e negativo può assumere valenze così come descritte.

#8
Foto profilo Dr. Alessandro Raggi
Dr. Alessandro Raggi

gentile Dott. Garbolino, anche lei è invitato a rileggere prima di sentenziare "aprioristicamente"; ho già specificato che effettivamente il rinforzo può esprimersi tramite meccanismi fortemente punitivi ed anche coercitivi, ci mancherebbe, lo sappiamo tutti. Ma cos'ha a che vedere questo con la psicoterapia? Siamo ancora in attesa di capirlo.

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