Cyberbullismo, le conseguenze di una nuova forma di violenza
“E in che cosa consiste fondamentalmente un modo civilizzato di comportarsi? Consiste nel ridurre la violenza. È questa la funzione principale della civilizzazione ed è questo lo scopo dei nostri tentativi di migliorare il livello di civiltà delle nostre società.”
Karl Popper,1994
Il suicidio di ieri, 14/09/13, avvenuto negli USA (stato di Washington) che ha coinvolto una dodicenne, istigata alla morte dalle offese comparse sui social network, ci riporta alla mente il caso della quattordicenne Carolina Picchi, morta giovanissima gettandosi dal balcone di casa, nei pressi di Novara, all’inizio di quest’anno. La ragazza italiana si è uccisa dopo che su facebook fu postato un video in cui era oggetto di una violenza sessuale di gruppo. Da quel giorno, con forza sempre maggiore, l’opinione pubblica ha cominciato ad occuparsi di cyberbullismo. Ma che cosa è il cyber bullismo? Quali sono le dinamiche psicologiche che lo caratterizzano? Cosa spinge i ragazzi a questa pratica e quali possono essere le conseguenze per la vittima?
Il bullismo è un fenomeno che precede la sua definizione. Infatti, la psicologia ha iniziato ad occuparsene in tempi relativamente recenti, non prima degli inizi degli anni ’90. Con questo termine viene descritto un insieme di comportamenti ripetuti, esercitati da un singolo ma, più frequentemente, da un gruppo, in cui qualcuno (l’aggressore) fa o dice qualcosa al fine di dominare, umiliare, o comunque esercitare una qualche forma di potere su un’altra persona (la vittima). Il contesto a cui generalmente il bullismo è associato è la scuola, mentre il bullismo in azienda si chiama Mobbing.
Tali comportamenti non avrebbero dunque a che fare con i normali conflitti o rivalità tra ragazzi, si tratterebbe piuttosto di vere e proprie prepotenze preordinate, aggressioni sistematiche, con continue violenze fisiche, verbali, morali e psicologiche, nei confronti di soggetti incapaci di difendersi. Le conseguenze di queste azioni riducono spesso la vittima ad una condizione di soggezione, di sofferenza psicologica, isolamento ed emarginazione, nei confronti di tutto il gruppo classe e, in alcuni casi, di tutta la scuola.
Negli ultimi anni, grazie all’ascesa dei social network, le azioni “concrete” del bullo si sono spostate dai banchi di scuola all’arena virtuale, con una frequenza sempre maggiore. Una recente ricerca (febbraio 2013), effettuata dall’organizzazione Save the children, ha evidenziato come più di due ragazzi su tre (72%) avverte il cyberbullismo come il fenomeno sociale più pericoloso del proprio tempo. Per cercare di coglierne le caratteristiche ci viene in aiuto la psicologia sociale. Ciò che caratterizza il cyberbullismo è il far circolare su internet informazioni, immagini o video, spiacevoli, private e offensive. Rispetto al bullismo che avviene nella vita reale, l’uso di strumenti elettronici conferisce al cyber bullo alcune caratteristiche proprie:
In primo luogo, l’illusione dell’anonimato; infatti, anche se tutto ciò che circola on line lascia della tracce, l’assenza di una vessazione concreta deresponsabilizza apparentemente l’aggressore, che si sente più “protetto”. In ogni caso, questo peggiora la sensazione persecutoria della vittima, che può avere maggiori difficoltà nel risalire al molestatore.
In secondo luogo, c’è un indebolimento delle remore morali; infatti l’anonimato, associato alla possibilità di presentarsi sul web come un’altra persona, rafforza nell’aggressore l’idea di essere al sicuro dalle conseguenze. Questo è lo stesso meccanismo che porta le persone allo stadio ad essere aggressive; c’è l’illusione che essendo in tanti la responsabilità delle proprie azioni sia condivisa.
Infine, c’è un’assenza dei limiti spazio temporali; infatti, mentre nel caso del bullismo scolastico, l’aggressione avviene in momenti e contesti specifici, l’onnipresenza del web rende l’attacco sempre possibile, esponendo la vittima ad una costante azione vessatoria.
Quanto detto ci porta a concludere che se da un lato il cyber bullo si percepisce come un individuo protetto da una maschera virtuale, invisibile e, quindi, non accusabile o scopribile, dall’altro la vittima è avvertita dal vessatore non tanto come una persona reale, bensì come un’entità semi-anonima, non dotata di emozioni e sentimenti. La “distanza sociale” percepita, causata dal web, diviene un elemento fondamentale per comprendere l’efferatezza di alcuni comportamenti; infatti, in questo caso, mancano tutti quei feedback affettivi che fanno capire al bullo che l’altro sta soffrendo.
Attualmente il fenomeno tende ad essere arginato con azioni punitive e repressive; le autorità si occupano dei casi più eclatanti, punendo l’aggressore. Questo non basta. Data la sempre maggiore diffusione del fenomeno, diviene fondamentale una capillare opera di prevenzione che permetta di sensibilizzare i giovani circa le terribili conseguenze delle loro azioni. Infatti , oltre ai casi di maggiore risonanza riportati dalla cronaca, in cui la vittima si è suicidata, l’essere oggetto di vessazioni reiterate danneggia chi le subisce in modo talvolta irrimediabile. Vengono intaccate la stima di sé, la percezione delle proprie competenze sociali, diminuisce il sostegno relazionale ed aumenta l’isolamento. Da un punto di vista etico e di impegno sociale, anche noi, come professionisti della salute mentale, dobbiamo impegnarci maggiormente per ridurre il fenomeno, con campagne, progetti ed interventi. Il problema è sempre lo stesso: “dove sono le risorse?”.
Riferimenti
http://www.giornalettismo.com/archives/957647/lho-insultata-ma-mi-ero-scusato/
http://www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/Single?id_press=549