Depressione e "cattivi pensieri". Il perché delle stragi familiari

francesco.mori
Dr. Francesco Mori Psicoterapeuta, Psicologo

 

La felicità è reale solo quando è condivisa

dal film Into the wild, (2007)

 

  

L’attenzione dei media si sofferma sovente sulle stragi familiari, dove uno dei coniugi uccide l’altro, i figli e, talvolta, se stesso assieme ad altri familiari. Questi eventi ci appaiono spesso “senza senso”, distanti, orribili, proprio perché provengono da un contesto, quello familiare, rappresentato come luogo sicuro, sede degli affetti, della reciprocità e della condivisione. Pensare che il pericolo possa venire proprio dal cuore della famiglia, trasformandola in una sorta di “teatro di morte”, getta un’ombra d’angoscia in ciascuno di noi.

Come sempre, di fronte all’ansia, tutti cercano di trovare confortanti spiegazioni, in modo da allontanare pensieri da cui mai si vorrebbe essere sfiorati. Allora si scava nella vita dell’omicida/suicida, si utilizzano parole come “mostro” e “malattia psichiatrica”, si cercano rassicuranti e lineari rapporti di causa effetto (“Lui ha fatto questo perché lei ha fatto quest’altro…”), che hanno la funzione di allontanare la possibilità che qualcosa di simile possa sfiorarci.

Quasi sempre viene chiamata in causa la depressione che affligge il protagonista, il quale è “vittima” di una visione assolutamente negativa della realtà e del futuro (il così detto delirio di rovina) arrivando ad uccidere i propri cari per sottrarli ad un destino tanto infausto.

 

La questione, a mio avviso, è che questi orrori non sono poi così estranei alla “gente comune”. Dopo tutto stati estemporanei di depressione, il così detto umore nero, fanno parte dell’esperienza di ciascuno. Quindi forse è utile non distogliere celermente l’attenzione, riflettendo sulle abitudini di pensiero e sugli atteggiamenti che predominano negli stati di depressione.

Numerosi psicologi ritengono che non sono tanto gli eventi negativi occasionali a determinare il disturbo psichico, quanto piuttosto il modo di “vedere” la realtà, di costruirla e dargli significato. Nelle stragi familiari, così come nelle situazioni negative di ogni giorno, non sono tanto gli eventi in sé a causare il malessere ma piuttosto le valutazioni che ne vengono date dagli attori.Sia nella meno comune depressione che nel più frequente umore nero, prevale uno stile di pensiero egocentrico e pessimistico, nel quale gli eventi negativi vengono autoriferiti, attribuiti alle proprie mancanze, mentre quelli positivi sono minimizzati e non concessi ai propri meriti.

 

L’egocentrismo, inoltre, impedisce di considerare in modo realistico quali ambiti sono davvero sotto il proprio controllo, ponendo gli individui in affannose situazioni nelle quali si sforzano di rovesciare l’esito di eventi sui quali hanno poche possibilità di azione. Per di più la propensione a rimuginare da soli aggrava gli atteggiamenti negativi, provocando un crescendo di valutazioni pessimistiche ed interpretazioni erronee.Tale visione distorta fa si che gli impedimenti della vita non si presentano più come sfide, le quali potrebbero essere superate solo adottando un’interpretazione diversa, ma come difficoltà insormontabili, prove tangibili della propria inettitudine.

 

L’alternativa ha una costruzione pessimistica della realtà è l’uso di una lente interpretativa diversa, fondata sull’apertura alle novità, su una visione creativa dei problemi, che consenta, di fronte agli imprevisti, di non catalogarli come “catastrofi” ma come opportunità di mettersi in gioco. Questo stile di pensiero contiene un decentramento da sé, la capacità (e l’umiltà) di pensare che il proprio punto di vista non è l’unico possibile. Esso implica condivisione, confronto, flessibilità. Senza apertura all’altro non c’è possibilità di rinnovamento.

 

Contrariamente a quanto si possa pensare, un’interpretazione pessimistica del mondo non è più profonda ed intelligente; da parte sua l’ottimismo non è sciocca convinzione che “tutto si sistemerà”, ma capacità creativa, di adattamento, che anche le situazioni più impervie e complesse concedono.

 

Data pubblicazione: 10 settembre 2013

5 commenti

#1
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Dr. Giuseppe Santonocito

Sono d'accordo sui pensieri che esprimi. È la volontà di esorcizzare e allontanare da sé la possibilità che tragedie come quelle riportate dai media possano toccarci di persona, a farcene prendere le distanze: quando qualcuno fa del male ai propri cari, dev'essere ovviamente malato o cattivo, parafrasando Watzlawick. È più facile pensare di essere più sani e buoni di queste persone che prendere in considerazione l'eventualità che anche loro potrebbero, in più di un modo, essere considerate normali.

Condivido anche il discorso sull'umor nero come atteggiamento incancrenito di egocentrismo vissuto in negativo. Ogni intervento teso a aiutare queste persone dovrebbe basarsi sul cercare di far loro assumere punti di vista diversi, meno associati con se stessi e più ampi.


#4
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Ex utente

Ormai queste "stragi" sono in accrescimento.Psicologi,medici,psichiatri siate più collaborativi e immedesimatevi nella persona che avete davanti e aiutatela con trucchi o segreti se così possiamo chiamarli per evitare che il mondo muoia.Più che prescrivere dei farmaci che sì,anche essi fanno la loro parte,insegnate alle persone "malate" a come e a che cosa si deve pensare o fare...

#5
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Dr. Francesco Mori

Gentile utente 160047,
è difficile fare ciò che chiede. Capisco il suo "accalorato" commento, non so se di origine personale o "sociale". Quello delle "stragi familiari è un problema quanto mai attuale, così come la depressione. Gli psicologi non somministrano farmaci, io non li somministro, non sono un medico. Per quanto riguarda il lavoro psicologico con le persone che hanno delle difficoltà che rientrano nello spettro depressivo, non ci sono dritte o "insegnamenti magici" che risolvono il problema, ma la necessità di duro lavoro, un cm alla volta, giorno per giorno. Purtroppo le scarse risorse economiche del SSN e dei cittadini stessi limitano la possibilità di interventi di questo tipo.
Inoltre il cambiamento è possibile solo se l'altro riesce ad accoglierlo e spesso non è così scontato

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