Diventare mamma e rimanere "amante"
La Festa della Mamma può essere una buona occasione per riflettere sui rapporti che intercorrono tra l'essere donna che ama - AMANTE - e donna procreatrice - MAMMA. Essi rappresentano degli snodi complessi della vita, pieni di ricchezza e di conflitti per la persona e per la coppia; ma al contempo di opportunità di crescita.
Diventare mamma aumenta la felicità della donna e della coppia?
O al contrario la rende più problematica?
Presso il nostro Centro di Psicologia e Sessuologia Clinica (Rovereto e Trento) le problematiche materne arrivano alla attenzione della psicoterapeuta con una certa frequenza: depressioni post-parto, difficoltà ad accettare il bambino, rifiuto a riprendere la sessualità di coppia, iper-investimento sul figlio, disinteresse verso il proprio compagno, perdita della dimensione di “donna amante".
Oggi la maternità è una scelta
Per secoli i bambini, i figli, sono arrivati quando volevano. E quando, qui, diciamo "bambini", "figli", intendiamo sempre bambini e bambine, figli e figlie.
Oggi invece un numero sempre maggiore di coppie riflette prima di avere un figlio: se ci si sente pronti, se è possibile permetterselo, se si è vissuta sufficientemente e completamente la vita di coppia. Alcune coppie scelgono consapevolmente di non procreare.
Porsi delle domande significa che:
- si è entrati in un'epoca in cui la maternità non è più un destino biologicamente ineluttabile o il frutto della pressione sociale;
- un figlio può essere desiderato “per se stesso”, anziché come possesso dei genitori;
- una contraccezione efficace ha reso e rende possibile staccare la riproduzione dalla sessualità, aprendo la strada a una intimità vivibile per sé, che non ha bisogno necessariamente del sigillo della maternità;
- si può procreare quando ci si sente pronti, più sicuri di sé e delle proprie decisioni; e non quando gli altri se lo aspettano o i futuri nonni lo chiedono;
- è possibile un rapporto riconciliato col proprio corpo potendolo vivere nella sua interezza; di cui la maternità è una parte, di cui la sessualità è una parte: le due parti talvolta coincidono, talvolta entrano in collisione.
Per approfondire:Come cambia la coppia dopo la nascita di un figlio?
Essere incinta
Occorre tenere conto, tuttavia, che ancor oggi il "rimanere incinta" continua ad essere percepita da alcune donne come una situazione biologicamente rassicurante, i cui significati psicologici profondi attengono al funzionamento del piano biologico, oltre che a modelli sociali consolidati nei secoli e interiorizzati.
Da questo punto di vista la gravidanza può essere: il frutto di una inconsapevole curiosità del proprio corpo e del suo funzionamento procreativo; una potenzialità generativa da sperimentare quando ancora non c’è una progettualità sul figlio; una sfida verso la possibilità di restare incinta; e, dopo i 40 anni, un sintomo dell’ansia verso il tempo che passa.
Quando i bisogni inconsci della donna riguardo all'essere incinta sono questi, essi non implicano automaticamente il desiderio di maternità, né quindi la volontà di portare a termine una eventuale gravidanza. Tuttavia nel senso comune restare incinta significa automaticamente "essere madre", di conseguenza l'interruzione volontaria di gravidanza è interpretata come "rifiuto della maternità". Ma non ci può essere rifiuto della maternità se non c’è stato desiderio di maternità...
E' necessario quindi evidenziare che il figlio, reale o concretamente potenziale, obbliga la donna a fare i conti con livelli profondi della psiche, per lo più inconsapevoli.
La coppia e il figlio: opportunità di maturazione
Se “donna e maternità” è un binomio profondo ma non certo inscindibile, anche la coppia (la nostra esperienza specialistica è maggiormente con coppie eterosessuali) è chiamata a fare i conti con il desiderio di un figlio. Esso non sempre coincide con il desiderio di dare vita a una persona, altra da noi, che avrà una vita sua propria. Talvolta è piuttosto il tentativo di rinsaldare l’unione di una coppia traballante, il riscatto di errori precedenti, la risposta ad aspettative sociali o a pressioni dei parenti, un desiderio narcisistico.
Anziché cioè essere desiderato “per sé”, il figlio può essere chiamato al mondo in funzione di qualcos’altro, servire cioè - nelle intenzioni consapevoli o meno - per altri fini. Tale impostazione può rendere problematica la maternità e rendere difficoltosa la necessaria accettazione del figlio reale.
In realtà qualsiasi sia stato il percorso che ha portato la coppia e la mamma alla maternità, è necessario che un posto importante venga dato al figlio e ai suoi compiti di sviluppo. Ciò non avviene automaticamente; è frutto di un processo di crescita dei genitori, e in particolare della madre come caregiver primaria solitamente; processo talvolta faticoso o doloroso, ma sempre necessario affinché il figlio possa crescere come persona individuata e non solo come prolungamento dei genitori.
In questo senso un bambino rappresenta una importante sfida per la coppia, giacché l’esperienza della genitorialità comporta parecchie modificazioni e difficoltà di adattamento attivo; eccone alcune:
- c'è una riduzione del tempo personale e di quello di coppia;
- lo spazio di intimità fisica e psichica deve essere allargato;
- l'identità di coppia deve essere mantenuta, ma contemporaneamente va dato spazio all’emergere dell'identità di famiglia;
- è necessario sacrificare parte dello spazio ludico, di gioco dell’adulto, a favore del nuovo arrivato;
- nella moglie può emergere il conflitto fra la “donna amante” e la madre;
- i genitori (o uno di essi) possono cadere nella dedizione totale al figlio, a scapito della reciprocità di coppia.
Eppure un figlio rappresenta per la coppia una rilevante opportunità di maturazione e crescita personale:
- attiva nei genitori la dimensione dela riflessione: su di lui, su di sè, sul figlio che è stato e sui propri genitori;
- la tenerezza verso il bambino è un recupero del proprio IO bambino; e della tenerezza dei propri genitori verso di sé quando si era bambini;
- il figlio rappresenta un proprio prolungamento; e contemporaneamente un progetto condiviso della coppia;
- la coppia fusionale ha una nuova opportunità di sviluppo quando riesce ad aprirsi al terzo, il bambino;
- la sessualità si fa più matura e integrata con l’affettività.
E se il figlio occupa il posto del compagno?
Non è raro però che un consistente, eccessivo, investimento libidico materno si sposti dalla coppia sul bambino.
Tutte le attenzioni della madre, le tenerezze, le affettuosità, il letto matrimoniale stesso, sono riservati a lui, al piccolo: il compagno/marito viene sfrattato, non occupa più il primo posto nella mente, nel cuore, nel letto. La “donna amante (che ama)” diviene unicamente “donna madre”.
Con il conseguente ritiro o impoverimento dalla sessualità di coppia e dello spostamento dell'erotismo femminile sul figlioletto.
Eppure si tratta di due tipi di amore così differenti che ci sarebbe la possibilità di mantenerli e farli crescere entrambi. Occorre avere la capacità matura di creare, tenere aperti, sviluppare, far interagire costantemente questi due ambiti, aree essenziali alla vita personale di ciascun genitore.
In tale contesto il padre-compagno ha il delicato e insostituibile compito di ricordare alla donna che non è solo madre, ma anche femmina desiderante, donna, amante. Evitando così che essa venga completamente risucchiata dalla dimensione procreativa.
Quando ciò non accade, i genitori deprivano il bambino di una realtà importante: quella dell'amore anche fisico dei genitori. Lo privano di una “scuola di amore”: una scuola di vita che dà i suoi frutti subito, ma soprattutto nella preadolescenza.
E al contempo tolgono alla coppia la sua energia, il suo respiro, talvolta il motivo stesso del suo esistere.