Interpretazione psicologica del Saggio di Sarah Genga

a.vita
Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta

Teatro, cinema e psicologia

Un mio amico e collega mi ha fatto conoscere il libro di Sarah Genga, attrice e maestra di teatro. È stata una piacevole e appassionante lettura che mi ha stimolato a scrivere un commento che ho inviato a Sarah e che qui riassumo.

Il saggio si occupa di tecniche di recitazione, ma inevitabilmente, tocca punti importanti e vicini alla psicoanalisi e s’interessa degli influssi che questa scienza ha conferito a molte iniziative culturali. A mio avviso, nel secolo scorso, va ricordato il cospicuo e valido filone psico-terapeutico che va dal Teatro della Spontaneità di Jacob Moreno, sino ai Gruppi Balint. Medici, psichiatri, psicoterapeuti, e tutti quelli che si occupano della salute mentale, trovano nel “gruppo” strumenti efficaci per mettere i pazienti in relazione interpersonale come membri dell’evento terapeutico.

La vicinanza della psicoanalisi con alcuni aspetti della recitazione e del teatro è dovuta alla somiglianza tra metafora teatrale e il percorso psicoanalitico, sia freudiano, sia junghiano.

La tripartizione teatrale rappresentata dagli spettatori, dagli attori e dalla trama del racconto, assomiglia a una riproduzione del setting analitico, dove l’”Io” è l’”attore”, l’analista rappresenta lo spettatore, la trama narrativa è il contenuto che l’io espone. L’io è preso dai temi del suo dire, costituiti da elementi consci e inconsci che egli coglie dentro di sé e cerca di dipanare dal groviglio in cui sono ammassati dando loro un’interpretazione e una sistemazione, nell’ambito della storia che egli vive.

L’autrice del lavoro, Sarah Genga, attrice e studiosa di recitazione, suggerisce, come condizione ineliminabile per “fare teatro”, che l’attore allarghi l’orizzonte interpretativo verso aspetti propri della terapia psicologica. I suoi pensieri e le sue riflessioni, quindi, sono vicini alla psicoanalisi e soprattutto, a mio avviso, alla psicologia analitica junghiana.

Infatti, fin dalle prime pagine, Sarah inizia con l’affermare che “recitare una parte” porta il soggetto a sviluppare una grande e progressiva trasformazione di sé “rimodellandosi”, volta per volta, sino ad assumere sembianze che sono a lui proprie, ma che erano e sono spesso nascoste nel proprio animo e quindi inoperose e sconosciute a se medesimo. Occorre un’attività come quella della recitazione a far rivelare queste espressioni dell’animo umano in tutta la loro travolgente energia.

Siamo vicini a C. G. Jung, lo psicologo dell’anima, com’è spesso definito. Non possiamo non pensare a lui quando parlava di “trasformazione psichica” del soggetto, itinerario volto ad un cambiamento radicale di Sé perché il soggetto umano potesse assumere sembianze psicologiche più progredite e più consapevoli.

L’esperienza di Sarah è quella di un percorso intimo, del suo animo, verso mete di trasformazione che si succedono in modo progressivo. Lei va da un modo virtuale di recitare e di interpretare ad un modo reale di esprimere se stessa nella finzione scenica. Trasforma Sé e il suo animo superando resistenze, titubanze, riservatezze, e lasciando che la sua coscienza si sveli.

La funzione pedagogica di Sarah si esprime con grande bravura nel dare gli stimoli necessari per far cogliere ai suoi lettori e lettrici, e aspiranti attori, l’importanza che per “controllare un’emozione” il soggetto deve arrivare sino all’importante traguardo di “costruirla volontariamente”. Quando tocca questo importante punto, si risente la lezione, forse studiata o appresa, che è propria di Jung quando egli parla dell’”immaginazione attiva”, di cui ha scritto molto nelle sue opere, ma che soltanto con una pubblicazione postuma, “Il libro rosso”, ha sviluppato in modo più adeguato, con pensieri e immagini di straordinaria bellezza.

Sarah ripete spesso la lezione e raccomanda più volte agli attori di vivere, anche “a livello inconscio”,  il ruolo che interpretano. Lei riesce ad essere un’educatrice importante e credibile perché entra soprattutto con i suoi insegnamenti nell’animo delle sue allieve e delle aspiranti attrici.

Sarah è persona attenta ai conflitti psichici, tanto che, con la recitazione lei prova ad avventurarsi nel difficile mondo della terapia psicologica e a emendare i soggetti malati aiutandoli a ritrovare la luce della speranza e i primi risultati di una sanità mentale riacquistata.

Nelle sue lezioni Sarah conduce le sue allieve verso una conoscenza degli altri ”per poter meglio rappresentare e recitare”, e, pur non avendo la presunzione di operare nell’ambito della psicopatologia, riesce a conseguire “un successo terapeutico”.

Sarah è una ragazza che, oltre ad un’intelligenza acuta e pregevole nel cogliere gli elementi essenziali della recitazione, è sollecitata da una grande sensibilità dell’animo ad entrare, con molta attenzione, nella verità o nella finzione del racconto, aiutata anche da una particolare capacità di emozionarsi e di cogliere nelle vicende umane l’autentica natura degli eventi.

""Pochi attimi per recitare meglio. Coaching attoriale e relazionale ""
di Sarah Genga


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Data pubblicazione: 11 febbraio 2013

6 commenti

#3
Foto profilo Utente 961XXX
Utente 961XXX

Una intrigante interpretazione psicologica, mi intriga il tuo commento al punto da cercare il libro e comprarlo...ed anche uno stimolo ad approcciarmi alla recitazione...se riuscissi a smuovere la mia pigrizia serale ad uscire di casa...e forse il timore di essere inadeguata per timidezza...conoscerei maggiormente me stessa o tirerei fuori quello che ancora trattengo dentro di me...anche alla mia non più freschissima età...non si finisce mai di conoscersi e meravigliarsi di se stessi.
un caro saluto!

#5
Foto profilo Specialista deceduto
Dr. Antonio Vita

Lo consiglio a molti. La recitazione, ma soprattutto il teatro come una comunione laica di molte persone è terapia efficace e porta all'esternazione di Sé che conduce verso forme diverse di essere e di agire in questo mondo. Vinca la sua pigrizia ed esca di casa. Le farà senz'altro bene.
Ho usato il termine "laica" perchè già per coloro che hanno il carisma della fede esiste anche una comunione religiosa, che non è certo da meno.
Ma se non tutti sono in possesso del carisma della fede, devono trovare altre vie di comunione e di comunicazione con gli altri. A prescindere poi dai gruppi terapeutici che sono per pochi non eletti e bisognosi. Ma questo appartiene più alla psicopatologia.