L'ossessione della Psicoanalisi
L’ossessione della Psicoanalisi
Innanzitutto devo riportare la presentazione che l’autore Armando De Vincentiis, ha fatto del suo libro in Medicitalia, perché è inserito in uno spazio riservato ai professionisti, e quindi non è visibile da parte di tutti i lettori che accedono al blog. Diversamente, i lettori, non conoscendo la presentazione dell’autore, potrebbero non rendersi conto degli argomenti che qui ho esposto:
PERIZIA sulla VALIDITA' dei processi PSICOANALITICI
"Carissimi sono lieto di annunciare l'imminente uscita del mio libro (perizia) sulle tecniche psicoanalitiche. (ed. Libellula collana Università&Ricerca).
Esattamente come in una perizia si mettono alla prova dei fatti le fondamenta teoriche di un percorso terapeutico: il metodo psicoanalitico, la sua capacità di risolvere i problemi e di affrontare determinate patologie. Davvero non è efficace per i disturbi d’ansia? Perché? E per quali disturbi può esserlo? Senza perdersi in disquisizioni filosofiche, questo lavoro cerca di rispondere nel modo più pragmatico possibile: la psicoanalisi funziona o non funziona?
I quesiti ai quali questo libro (perizia) è chiamato a rispondere sono:
1. Le basi teoriche sulle quali si fonda il metodo psicoanalitico hanno un fondamento scientifico?
2. Ci sono elementi che potrebbero far funzionare i metodi psicoanalitici?
3. Per quali patologie è più o meno indicata?
4. La psicoanalisi può avere effetti collaterali?
5. Come metodo di indagine psicologica, la sua funzione ha oggi un’applicazione razionale?
Il testo si completa con una postfazione del neuroscienziato Sergio Della Sala, responsabile del dipartimento di scienze cognitive dell'Università di Edimburgo ed un appendice sulla chimica della psicoanalisi di Silvano Fuso, chimico-teorico, dottore di ricerca in chimica.""
Autore del libro Dr. Armando De Vincentiis - Psicologo-psicoterapeuta – (Risponde in Medicitalia)
scritto mercoledì 25 gennaio 2012 - ore: 10:22:12"
Psicoanalisi: una terapia psicologica che getta ancora turbamento e inquietudine.
di Antonio Vita
Avvertenza
Non posso rispondere bene prima di aver letto il libro di De Vincentiis. Questo intervento non risponde a tutti i paragrafi accennati in breve dall’autore. Sono desideroso di leggere il suo lavoro.
Postfazione
Armando De Vincentiis. È stato da me conosciuto a Medicitalia come psicologo e intellettuale serio, quasi severo nell’affrontare ogni tematica psicologica, in modo razionale, quasi da illuminista. Lo conosco soltanto dai suoi scritti e dalle sue apparizione in TV come rappresentante del CICAP. Di lui apprezzo la preparazione professionale, l’intelligenza, il coraggio dimostrato nell’affrontare le ire di mezza nazione trattando argomenti come quelli dei fenomeni cosiddetti occulti, temi devastanti che spesso inquinano le coscienze di tante persone più o meno preparate culturalmente ad affrontare oscuri eventi che non sono riconducibili a fatti miracolosi e soprannaturali.
Siccome però il tema da lui impostato qui può provocare una risonanza trionfalistica, tripudiante, illegittima e inopportuna in molte persone, cioè a tutti quelli che vorrebbero ridurre la Psicoanalisi a una disciplina da oscurare, ho voluto sviluppare questa specie di difesa d’ufficio della disciplina oggetto del lavoro.
Io rappresento quanti sono posti all’ultimo gradino della scala dei cosiddetti “psicodinamici”, e sono una specie di “curato di campagna” nei confronti di tanti altri che occupano gradini più alti sia nella psicoanalisi classica, sia nella psicologia analitica. Starà a questi intervenire, se lo riterranno opportuno e se lo scritto di De Vincentiis li solleciterà a farlo.
1) La psicoanalisi non è così potente e dominante ai giorni nostri da considerarla un pericolo per le altre scuole psicoterapeutiche, né è tale da comprometterne l’apprezzamento, l’efficacia e la validità scientifica.
La Psicoanalisi, peraltro, era rimasta fuori dalla Legge 56/89 sulla nascita degli Ordini professionali che riguardavano gli psicologi e gli psicoterapeuti, e l’estensore della legge (Prof. Ossicini ed altri) non riuscì a far votare il Parlamento a favore di questa disciplina.
Così la Psicoanalisi rimase una disciplina occulta, di lavoro e di cura, e oggetto di ricorsi giudiziari.
2) La psicoanalisi è entrata recentemente agli onori della cronaca ed è stata riportata alla luce da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione che ne ha affermato l’efficacia curativa. Credo che a prescindere dalla Cassazione non sia mai stata messa in dubbio la sua validità teoretica e le sue nobilissime origini, almeno da molti medici e da numerosi studiosi che si sono formati sia sulla psicoanalisi classica o freudiana, sia sulle altre scuola analitiche, quella junghiana, adleriana e lacaniana, e che ne sono ancora fautori e ne condividono molti assunti. Della psicoanalisi trassero beneficio illustri scrittori, poeti, registi, musicisti, filosofi e letterati italiani e stranieri di grande livello culturale.
Inizialmente mi preme ricordare che tutte le forme di psicoterapia oggi esistenti, derivano, in bene o in male, per assimilazione o per contrasto, dalla psicoanalisi (si veda l’acclusa nota al termine di questo intervento); se non ci fosse stata la psicoanalisi, le nevrosi non sarebbero state oggetto di studio e di terapia da parte di nessuna scuola. Forse saremmo rimasti con la terapia a uno stadio di fine ottocento.
3) La pretesa che una psicoterapia deve essere verificata e confermata o confutata può essere una richiesta giusta, a patto che si stabiliscano alcune modalità fondamentali per portare avanti il discorso o almeno per iniziarlo.
Per conoscere e valutare occorre esprimersi in un linguaggio comune, che ha una stessa sintassi, una grammatica e una pragmatica comunicativa. Inoltre un codice comune. Allora si può comunicare.
Allora stabiliamo un comune linguaggio comunicativo:
- I punti concernenti la psicoanalisi hanno bisogno, come per altre discipline, di avere un linguaggio comune, principi pur non condivisi, ma sui quali almeno poter discutere e dialogare, studiati e compresi e che magari dovranno essere confutati convalidati;
- È necessaria cioè una sintassi simile e comune, (Es.:per farsi capire da un capomastro che costruisce la tua casa non basta parlare italiano, occorre una sintassi propria del linguaggio usato, ed è diverso a seconda che la casa venga costruita nelle Marche da quello che si ha se si costruisce in Calabria perché i capomastri usano termini tecnici diventati d’uso comune che non compaiono nemmeno nel dizionario della lingua italiana, e soltanto l’ingegnere abituato a comunicare con loro riesce a farsi capire e a capire gli altri).
- Lo ammettete voi l’esistenza di un inconscio? No, e allora di che parliamo? Ammettete voi l’esistenza di un transfert e di un controtransfert? Ammettete la presenza di un fenomeno che si avvera e di cui non si conoscono le cause? E il principio di a-causalità come nesso non causale tra due fenomeni? Jung diceva che un battito d’ali di una farfalla a Tokio poteva far scatenare un tifone nell' oceano Pacifico. Nessuno l’avrebbe ammesso sino a quando qualcuno rimise insieme delle nozioni e ipotizzò la teoria del Caos e dell’imprevedibilità.
- Se non crediamo, gli uni e gli altri, alla libido come forza della psiche e dell’organismo, come facciamo a parlare e a confrontarci?
- Se non crediamo entrambi in processi interni, consci o inconsci, come facciamo a parlare su di loro?
- Se non crediamo a un simbolismo della psiche, riusciremo a confutare o a capire cosa c’è di sbagliato nella simbologia freudiana o la differenza tra questa e quella junghiana? E da cosa si differenzia con la simbologia religiosa e quella antica? Perché si parla di simboli vivi e simboli morti, o ridotti a meri segni?
- Se non c’intendiamo sul casualismo psicologico della malattia, come si fa poi a capire e a confutarlo e a parlare invece di finalismo psichico di un sintomo?
- Per molti la mente è una scatola nera dentro la quale non si può penetrare e leggere; secondo la psicoanalisi, partendo dal linguaggio e dal racconto della persona si può arrivare a capire cosa c’è dentro la sua mente e investigare anche i lati più oscuri.
- Cambia quindi il modo di interpretare il comportamento umano - cambia anche tra freudiani e junghiani, e tra queste grandi scuole legate da una stretta parentela, NON ci si capisce, NON ci si spiega. Questo è il dramma che denuncia o vuole denunciare De Vincentiis? E come dargli torto? Ma non è una debacle, un fallimento soltanto della psicoanalisi, ma di tante altre psicoterapie. Allora, mettiamo sotto “accusa” tutte le altre psicoterapie esistenti, perché nessuna di loro è valida in senso assoluto? Almeno va riconosciuto che qualcosa è condiviso: tutte hanno in comune la finalità di restituire sanità mentale, liberare dall’ansia e dall’angoscia.
- Se non si parte da assunti teorici che una psicoterapia possiede e adopera nel parlare del comportamento, del pensiero e delle emozioni dell’uomo, non c’è possibilità di raccontarsele se non cambiando il luogo della conversazione, che diventerà un ring.
- Il libro di Paul Watzlawick, “Pragmatica della comunicazione umana” è un aiuto tangibile per un discorso che voglia essere fatto. Soltanto che Watzlawick, che studiò la psicologia analitica junghiana a Zurigo, presso l’Istituto analitico di C.G. Jung, dopo la laurea a Venezia, e che se ne andò dopo 6/8 mesi, insoddisfatto, per altri importanti lidi, se si fosse fermato alla pragmatica comunicativa e non l’avesse usata come teoria autoreferenziale per fondare una psicologia sua, avrebbe prodotto risultati ancora migliori e più vantaggiosi di quanti ne abbia elargiti a tutti. E ne ha elargiti tanti!
- Quindi, occorre un linguaggio comune, inoltre una conoscenza dei principi ispiratori della disciplina che si vuol confutare, onesta, avvenuta con letture fatte lealmente e non viziate già da incredulità, scetticismo e sospetti, una sintassi condivisa, e poi i codici (simboli, segni);
4) Nella psicoterapia non troviamo (sempre) un rapporto di causa-effetto, come in altre scienze antropologiche.
Nella psicoterapia occorre tener presente una serie di eventi diversi per ogni soggetto esaminato che entrano in gioco sul set terapeutico, oltre ai citati principi teorici che ne sono a fondamento dai quali non si può mai prescindere, poi dall’equazione personale ed anche dal principio d’indeterminazione di Heisenberg (se lo vogliamo scomodare).
a) I principi ispiratori della psicoterapia costituiscono un insieme, un complesso di norme, di scoperte e di “certezze” che sono oggetto, sempre, di discussione e sui quali sarà sempre difficile convenire; annoto subito che quelle risalenti a Freud, come l’inconscio, furono intuizioni dovute a studi fatti sin dall’antichità (si veda di Ellenberger, “La scoperta dell’inconscio”, Boringhieri), e dai fatti che scaturivano durante un rapporto di terapia e cura. Sono cioè fenomeni che Freud, poi Jung e Adler hanno riscontrato sul set terapeutico, sulla “pelle” dei propri pazienti, e che non hanno inventato a tavolino.
b) L’equazione personale - La differenza dell’interpretazione della Psicoanalisi, tra Freud che ne è il fondatore, Jung ed Adler, (peraltro riportata dallo stesso Jung in un volume dal titolo “Psicologia dell’inconscio” Boringhieri ed.), chiarisce come il carattere del personaggio, il tipo di logica, la sua formazione scientifica, la sua eredità culturale, portino più ad accentuare in Freud gli aspetti sessuali della persona, in Adler, che purtroppo aveva sofferto da bambino di una forma di rachitismo, della teoria della “volontà di potenza”. Jung si poneva come un ricercatore, in mezzo ai due, e definiva le basi della sua scelta sia verso la psicoanalisi come dottrina, sia verso la persona umana. Non che quella di Jung fosse stata una bella operazione, come dice anche in un saggio un ottimo psicoanalista freudiano come Facchinelli autore tra l’altro del libro “Il bambino dalle uova d’oro”, edito da Feltrinelli, perché Jung non si orienta soltanto verso uno degli aspetti della Psicoanalisi definendolo peggiore di altri, ma svuota completamente gli assunti freudiani (che erano pilastri messi da Freud) e tutti gli aspetti costituivi della psicoanalisi stessa. Cosicché l’intera impalcatura della Psicoanalisi freudiana rischiava di crollare, sotto gli strali di Jung (ma rimase ben salda).
Jung ripudiò il concetto di libido, la riduzione dei significati dei simboli in codice fisso, la risoluzione di tutte le espressioni culturali, il concetto del bambino come soggetto perverso polimorfo, il casualismo psicologico, la psicoanalisi come scienza positiva, la risolvibilità dell’equilibrio psichico dell’Io “dove c’è l’Id lì ci sia l’Io”. E non mi sembra poco, fu un’operazione di cesura che svuotava completamente tutti i temi centrali di Freud.
Ammesso e non concesso che Jung avesse torto in tutto, non aveva torto in un fenomeno che compare nella conoscenza, ma che ostacola sempre la valutazione di un proprio simile o un evento della vita, cioè “l’equazione personale”.
È per l’equazione personale se, nel sottoporre a una conoscenza “scientifica” e a una valutazione un altro da sé, la conoscenza e la valutazione possono assumere un significato diverso.
Se questo accadde fra tre grandi psicoanalisti, pensiamo a cosa può succedere se a giudicare un evento psichico o una persona da un punto di vista prettamente psicologico, lo fanno due psicologi, appartenenti a due scuole formative diverse.
Le due valutazioni non sono comparabili. Ciò vale a maggior ragione laddove si debba fare una valutazione di una persona portatrice di una nevrosi.
La tentazione di dare alla psicoanalisi una veste di “scienza medica della psiche”, forse tanto agognata da Freud che fu medico e neurologo di valore per tutta la vita, e che come clinico si è sempre distinto nella sua attività terapeutica e nell’organizzazione della sua struttura scientifica della psicoanalisi, fu da Jung e da altri condannata definitivamente.
5) Se ne desume addirittura che non esiste nessun metodo psicoterapeutico che risponda a un criterio giusto di validazione, di controllo oggettivo da parte di altri osservatori e valutatori e quindi di altri terapeuti (senza scomodare Heisenberg, per ora).
Con lo psicoterapeuta si stabilisce sempre un rapporto a due, terapeuta e paziente, in cui “tertium non datur”.
6) Togliendo per un momento la psicoanalisi di mezzo, se un soggetto che presenta problemi di ansia e/o di angoscia, lo affidiamo alla terapia di uno psicologo che sia cognitivo –comportamentale, o a un sistemico, o a un terapeuta della famiglia, o a un gestaltico etc., non è la stessa cosa.
Né una scuola può valutare, con i “suoi” mezzi e metodi, quello che è stato fatto da un’altra scuola. Non hanno modo, gli psicologi, di poter verificare, con i propri assunti teorici e le proprie “ricette” pratiche e terapeutiche, quello che è stato fatto da un altro terapeuta appartenente ad altra scuola.
Però possono essere verificati sperimentalmente gli effetti prodotti, una guarigione o una non guarigione, ma non i tempi, i modi, i processi.
7) Tutto ciò, quindi, sta a significare che una pratica terapeutica può raggiungere gli stessi risultati di un’altra pratica appartenente ad altra scuola, perché chiunque opera dal suo punto di vista e di dottrina con il fine di restituire, o di aiutare la persona malata a re-impossessarsi di una sanità temporaneamente perduta, pur partendo da principi teorici e da pratiche curative diverse tra loro, potrà raggiungere gli obiettivi prefissati.
Quindi le varie terapie, se ben condotte, portano o possono portare tutte a guarigione. Questo è del tutto verificabile da parte di altri terapeuti.
Aggiungo che a mio avviso ogni terapia sia stata inventata e realizzata onestamente per restituire ai malati una situazione di guarigione e di “liberazione dall’ansia e dall’angoscia”. Parimenti a tutte le altre, la Psicoanalisi, e per prima, si è posta questi obiettivi ed è la più antica forma di terapia e, per lungo tempo, è stata anche la più insigne.
8) La teoria psicoanalitica può dare adito a tante false e cattive interpretazioni: una questione è quella che va sotto il nome di “resistenza”. La resistenza si manifesta nel non voler leggere attentamente libri scientifici di psicoanalisi, e soprattutto resistenza a provare a sottoporsi a una serie anche limitatissima di sedute analitiche. Sono pochi coloro che, pur seguendo una scuola psicoterapeutica, si sono sottoposti a una terapia psicoanalitica, e spesso essi ne parlano in astratto, o per aver soltanto letto libri.
Ma un’esperienza analitica non l’hanno mai fatta.
Ci sono altri, invece, che hanno provato, ma hanno trovato difficoltà a rapportarsi con la psicoanalisi, a volte insormontabili e non imputabili a loro stessi, tanto che poi hanno costituito attorno a loro, e ad altri, una cortina d’invalicabilità: quindi una resistenza.
Ma non si può giudicare ciò che non si conosce appieno e di cui non si è fatta esperienza.
Inoltre, poiché la psicoanalisi studia i meccanismi e i processi psichici sottesi al comportamento e più in generale alla personalità del soggetto umano, sia preso singolarmente, sia in relazione ad altri, è impossibile parlare di psicoanalisi e di dinamismi psichici senza riferirsi all'inconscio, poiché, i processi mentali legati al comportamento manifesto sono da considerarsi come elementi dalle radici inconsce, cioè tali che agiscono al di sotto di stati di coscienza e di consapevolezza.
Negare l’inconscio è negare o amputare metà del proprio sé.
9) La psicoterapia analitica è lunga, ma se si tratta di condurre il paziente a investigare nella sua vita passata, in tutte quelle esperienze formative apparentemente più importanti o meno importanti della sua vita, quanto tempo ci si deve mettere? Dieci, cento o più sedute? Non lo sappiamo. Ci sono terapie, e ce ne parla anche Jung, che durarono dieci sedute. Altre che furono interminabili. Protocolli certi, condivisi e pratici d’intervento non ci sono, e se ci sono, variano sul set terapeutico perché devono rapportarsi a quel determinato paziente.
10) Ritengo che i protocolli di molte altre psicoterapie non dinamiche siano prestabiliti, ma quando non sono risolutivi, i terapeuti divergono e ritornano ad affidarsi agli indirizzi generali. Penso che spesso se li creino da soli perché il caso che trattano non è mai uguale a quelli che gli sono stati presentati nella loro scuola durante il periodo di formazione.
11) Lo psicoanalista ha un “percorso” particolare di formazione che prima lo vede come “paziente”. D’altronde si dice spesso, e tutti convengono su questo, che se due si devono incontrare uno per fare la psicoterapia ed uno per sottoporsi alla terapia, almeno uno dei due deve essere “sano”, libero da nevrosi, da sensi di colpa, dall’ansia, dall’angoscia etc. e questo deve essere, per forza di cose, l’analista o il terapeuta.
A questo ha guardato bene la psicoanalisi: se l’analista deve essere libero dall’ansia e dall’angoscia, per raggiungere questo stadio di equilibrio non basta studiare libri e soltanto libri, e anche molti, ma occorre sottoporsi come “umili pazienti” ad un’analisi personale che dura molto anche per coloro che diventeranno soltanto psicoterapeuti junghiani (o freudiani). Più difficile e più sedute dovranno fare ancora quelli che vorranno accedere al gradino superiore di psicoanalisti.
La preparazione analitica è quindi molto difficile, costosa, impegnativa.
C’è chi ha cercato e costruito scuole diverse, dove l’analisi personale non è richiesta. Ci sono alcune scuole, che pur non essendo scuole analitiche, pur lavorando soltanto sull’Io, pretendono o consigliano ai loro allievi un’esperienza analitica personale.
Il problema che si manifesta dopo aver scelto altre scuole formative, sembra quello che la presenza della “psicoanalisi” costituisca, per alcuni, un’ombra nella propria vita e nella propria professione, ombra da eliminare o da negare.
12) Eliminando la psicoanalisi, pare che si voglia togliere di mezzo una testimonianza scomoda per la propria attuale professione, non se vuole lasciare traccia, ma si finisce per non ricordarsi e non trasmettere alle giovani generazioni di psicologi che tutte le psicoterapie hanno lontane o recenti radici mutuate dalla psicoanalisi.
È la rescissione totale di un cordone ombelicale. E tutto ciò può essere “interpretato analiticamente”.
13) Però c’è una parte di alcuni professionisti, formatisi in altre scuole di specializzazione, che cercano di recuperare il contatto con la psicoanalisi e lo fanno in modo critico, onesto, corretto e leale.
14) È vero che la psicoanalisi è spesso una terapia abbastanza lunga, ma non sempre. Ma vediamo perché.
Riporto un’esperienza mia. Su sette casi di soggetti con attacchi di panico, sei sono guariti totalmente, alla seconda o terza seduta. Ma in questi sei (lasciamo stare per un attimo il settimo caso), durante i colloqui, essi hanno riportato per dieci sedute, e più, la loro storia personale, ognuno le proprie paure, i ricordi dell’infanzia, l’approccio alla vita, le frustrazioni subite, le vecchie ansie, le angosce a lungo combattute, i fallimenti, gli amori persi, le gioie lontane, una vita che non sopportavano più etc. etc. Cioè si sono aperti degli scenari infinitamente grandi, dove il sintomo dell’attacco di panico non esisteva più. Ciononostante essi non potevano fare a meno di raccontare tutto quello che avevano dentro, come se vuotassero il loro “Vaso di Pandora”.
Siamo in piena fase analitica.
E badate bene, i sei casi hanno avuto una remissione dei sintomi dopo due o tre sedute, ma la loro analisi è iniziata qui, dopo la terza o la quarta seduta e si è protratta per tanto tempo. Quindi non è nemmeno vero che la psicoanalisi non guarisce i sintomi, e nel breve tempo. È notizia falsa, ingiusta.
Spesso molte scuole terapeutiche hanno un immediato ed urgente bisogno di togliere immediatamente i sintomi con pratici interventi, dimenticandosi che dentro il nostro paziente ci sono migliaia di sensazioni sgradevoli che giacciono lì da anni, di cui essi hanno bisogno di liberarsi, e che non riescono a farlo o che non si trovano nell’ambiente giusto per farlo. A questi va detto: fate un’analisi personale.
L’aspetto critico della psicoanalisi compare nel 7^ soggetto, ricordate?, quello che avevo messo temporaneamente da parte. A quello i sintomi del panico non vanno via. Per quanto ci si metta d’impegno il terapeuta che segue un indirizzo analitico junghiano, non riesce a venire a capo dei problemi che provocano nel 7^ soggetto degli attacchi di panico. E qui per aggiustare la situazione si ricorre ad altri accorgimenti, non per ultimo quello più doloroso: farsi aiutare.
15) Ma la psicoanalisi è soprattutto necessaria, indispensabile, INSOSTITUIBILE per una ri-strutturazione della personalità di un paziente.
C’è chi sente una sommessa e incalzante e odiosa insofferenza di vivere e non ce la fa più ad andare avanti e cerca disperatamente di riappropriarsi del desiderio di esistere, di “respirare”, di godere, di togliersi quella “spina dal fianco” (Kierkegard, Jaspers). E la persona sta male e può mostrare anche molti sintomi della sua sofferenza.
Questi soggetti hanno bisogno di un’analisi personale o freudiana, o junghiana. Propendo per la junghiana per motivi personali, perché l’analisi junghiana, a mio avviso, è più dolce, meno invasiva, il paziente è più protagonista.
Jung parla di “trasformazione della personalità”, una trasformazione libidica che diventa il fondamento e il fine ultimo della psicologia analitica: la guarigione totale, la liberazione dall’ansia e dall’angoscia.
16) Per concludere, La prefazione al lavoro di De Vincentiis assume le sembianze di un attacco alla Psicoanalisi e del tentativo di volerla relegare a una funzione vicariante nei confronti di quelle che svolgono le altre scuole terapeutiche. Mi sto chiedendo il perché di questo tentativo di rinchiudere la psicoanalisi in recinti e in luoghi che piacciono ad altri. E con quali criteri lo fate? E perché? È un attacco del tutto immotivato alla Psicoanalisi, quando ci sarebbero ben altre cose di cui interessarsi. Il tema proposto è una nota stonata, perché ingiusta verso la Psicoanalisi, la prima forma di psicoterapia. Se l’obiettivo è di screditarla non se ne comprende il senso e il fine. Non è così che ci si libera dall’ansia e dall’angoscia. Sembra, al contrario, che si voglia arrivare alla conclusione che la Psicoanalisi investe l’animo di molti psicologi e di alcuni “intellettuali”, venendo a turbarne sonni e sogni…..
Forse la spiegazione di questa appassionata e impetuosa provocazione può essere la seguente: liberiamoci dalla psicoanalisi, dall’inconscio, dai brutti sogni e saremo liberi dall’ansia e dall’angoscia.
Chi deve beneficiare di questa operazione di esilio e di confino??
Note
Nota 1: Non ho risposto a tutti i quesiti che il collega De Vincentiis ha esposto nella sua presentazione del lavoro. Aspetto di leggere il libro. Ma forse non ci sarà molto altro da aggiungere.
Nota 2: Qui sotto, senza alcuna intenzione lesiva per nessuno, e senza perverse e recondite finalità, riporto l’estratto di una ricerca fatta in passato per altri motivi su Wikipedia, riguardante la nascita di altre scuole psicoterapeutiche che sono da considerarsi come derivanti direttamente o indirettamente dalla psicoanalisi, con la storia brevissima dei loro fondatori.
1 - Nota su alcuni capiscuola psicoanalitiche del dopo Freud
• Jung, Adler, Reich, (Jones), Otto Rank - Anna Freud - Melanie Klein
• Otto Rank - Ampliò la teoria psicoanalitica allo studio della leggenda, del mito, dell'arte ed altre opere di creatività – Rank favorì una relazione con i pazienti più egualitaria ed è talvolta considerato il precursore della terapia centrata sul cliente di Rogers.
• 2 – Nota sui Capi scuola non analitiche influenzati dalla teoria psicoanalitica
• Carl Rogers fondatore della terapia non direttiva e noto in tutto il mondo per i suoi studi sul counseling e la psicoterapia all'interno della corrente umanistica. Affascinato e stimolato sia dalle teorie di Otto Rank (psicoanalista freudiano).
• Berne è noto in America e in Europa come colui che ha dato origine e sviluppo all'Analisi Transazionale -
• Berne aspirava a lavorare nella psicoanalisi. Già allora però sfidò nei suoi scritti il concetto di "inconscio".
• Nel 1941 al New York Psychoanalytic Institute e al San Francisco Psychoanalytic Institute, Berne entrò in analisi personale, e aveva l'obiettivo di diventare uno psicanalista. Nel 1956 però la sua candidatura fu bocciata, dai 5 analisti che dovevano ammetterlo all’analisi didattica, con il suggerimento di fare altri quattro anni di analisi personale prima di ritentare a chiedere il riconoscimento.
Terapia sistemica e della famiglia
Paul Watzlawick (Villach, 25 luglio 1921 – Palo Alto, 31 marzo 2007) è stato uno psicologo austriaco naturalizzato statunitense, primo esponente della statunitense Scuola di Palo Alto. Conseguì la laurea in Lingue moderne e Filosofia all'Università di Venezia per poi proseguire gli studi presso l'Istituto Carl G. Jung di Psicologia analitica di Zurigo.
Gregory Bateson , è stato un antropologo, sociologo, linguista e studioso di cibernetica britannico, il cui lavoro ha toccato anche molti altri campi. Due delle sue opere più influenti sono Verso un'ecologia della Mente (Steps to an Ecology of Mind, 1972), e Mente e Natura (Mind and Nature, 1980). Bateson era figlio del famoso genetista William Bateson.
A partire dal 1939, a causa della guerra si trasferì negli Stati Uniti dove in breve tempo divenne l'ispiratore dei lavori del Mental Research Institute di Palo Alto (conosciuta in seguito come Scuola di Palo Alto), California che rivoluzionò l'approccio alla malattia mentale e creò nuovi strumenti psicoterapeutici completamente alternativi alla psicoanalisi tradizionale, dichiaratamente impotente contro quasi tutto quello che esulava dal campo della nevrosi[citazione necessaria] e quindi inefficace sia nell'area della psicosi che in quello dei più gravi disturbi di personalità (inclusi i vari tipi di dipendenza), e può essere considerato il padre della terapia familiare ad orientamento sistemico .
Anche la Selvini Palazzoli dopo una vita trascorsa con la psicoanalisi classica a curare le anoressiche si cimentò con la terapia familiare con ottimi risultati.
Terapia Cognitivo-Comportamentale
Albert Ellis (Pittsburgh, 27 settembre 1913 – New York, 24 luglio 2007) è stato uno psicologo statunitense.
Fondatore della Rational Emotive Behavior Therapy, è considerato il precursore delle terapia razionale emotiva e terapia cognitivo-comportamentale. È stato valutato, dalle Associazioni di Psicologi statunitense e canadese in una stima del 1982, come uno dei tre più influenti psicoterapeuti del XX secolo (primo Carl Rogers; terzo Sigmund Freud).[1] Ha fondato a New York il Albert Ellis Institute (AEI).[2] di cui è stato presidente e poi presidente emerito.
Conseguito il Ph.D. nel 1947, continuò la sua formazione di psicoanalista. Come molti psicologi di quel tempo, era interessato alle teorie di Freud. Si sottopose ad analisi e al programma di supervisione con Richard Hulbeck (il cui analista era stato Hermann Rorschach), del Karen Horney Institute. Proprio l'opera di Karen Horney sarà l'unica significativa influenza di scuola psicoanalica nel pensiero di Ellis, sebbene anche gli scritti di Alfred Adler, Erich Fromm e Harry Stack Sullivan giocheranno un ruolo nella formazione dei suoi modelli psicologici. Ma egli attribuirà poi ad Alfred Korzybski, e al suo libro Science and Sanity, lo stimolo intellettuale che lo spinse ad esplorare un nuovo percorso filosofico e a fondare la Rational-Emotive Therapy.
Per la sue opinioni liberali e anticonvenzionali, è da molti considerato uno degli autori che più influenzarono la rivoluzione sessuale americana degli anni sessanta.
Teorizzò che l'ansia e il senso di inadeguatezza legati alla sessualità, fossero principalmente originati dalle pretese assolutistiche che gli individui si impongono riguardo alla loro vita sessuale e di coppia.
Si distaccò dalla Psicoanalisi, colpito anche dalla lunga durata e dalla scarsa efficacia della terapia psicoanalitica, che poteva sperimentare nella sua attività professionale, cominciò ad allontanarsene. La rottura definitiva maturò dal gennaio 1953, quando egli iniziò ad autodefinirsi terapeuta razionale (rational therapist). Stava sviluppando un nuovo tipo di psicoterapia, più attivo e direttivo. Dal 1955, con la pubblicazione del saggio New approches to psychoterapy techniques, denominò il suo nuovo approccio Rational Therapy (RT). La denominazione verrà successivamente modificata in Rational-Emotive Therapy (RET), ed infine in Rational Emotive Behavior Therapy (REBT).
Terapia della Gestalt
La terapia della Gestalt viene ufficializzata da Fritz Perls e sua moglie Laura, negli anni '40 a New York, come terapia che raccoglie e organizza le idee tradizionali della psicoterapia freudiana, junghiana e reichiana, nonché i principi della teoria del campo di Lewin e i contributi filosofici dell’esistenzialismo, della fenomenologia, e della Psicologia della Gestalt da cui prende il nome.
Note tratte da Wikipedia.