Gli attacchi di panico sono prevedibili (e prevenibili)?
La sensazione che gli attacchi di panico arrivino a volte come fulmini a ciel sereno, senza alcun preavviso, non corrisponderebbe alla realtà: uno studio pubblicato su Biological Psychiatry rivela che sarebbe possibile prevedere l’insorgenza dei singoli attacchi di panico in base a modificazioni fisiologiche misurabili già 60-70 minuti prima della loro manifestazione, modificazioni che iniziano con l’accelerazione della frequenza respiratoria seguita da un periodo di alterazione dei parametri cardiorespiratori.
I ricercatori hanno monitorato un gruppo di persone che soffrono di attacchi di panico mediante la misurazione di una serie di parametri psicofisiologici (frequenza cardiaca, frequenza e volume respiratorio, quantità di CO2 nell’aria espirata, conduttanza cutanea - legata all’umidità della pelle e quindi alla sudorazione) e hanno così scoperto che già un’ora prima dell’esordio del panico sono riscontrabili importanti alterazioni dei parametri psicofisiologici (”instabilità cardiorespiratoria”). Dallo studio emerge anche che diverse tipologie di attivazione neurovegetativa corrispondono a differenti sintomi soggettivamente percepiti: la percezione di agitazione e perdita di controllo colpisce in particolare i soggetti che sviluppano tachicardia, mentre i valori più alti di CO2 nell’aria espirata sono correlati alla paura di morire e ai dolori al petto.
L’attacco di panico vissuto come improvviso e imprevedibile, che sopraggiunge quando non si individuano elementi esterni o sensazioni interne che lo scatenano, è quindi in realtà preceduto da segnali d’allarme che gli strumenti rilevano, ma che il paziente non percepisce a livello cosciente. L’analisi dei dati raccolti dimostrerebbe che l’attacco di panico vero e proprio è preceduto da attacchi parziali, corrispondenti alle fluttuazioni dei parametri cardiorespiratori che precedono la crisi: solo i soggetti più sensibili li percepiscono e li elaborano formulando un pensiero premonitore sul successivo presentarsi dell’attacco vero e proprio. Dal momento che le modificazioni misurate non sono per lo più soggettivamente percepibili non è possibile utilizzare questa scoperta per addestrare chi soffre di attacchi di panico a riconoscerne i segni premonitori, ma sarebbe comunque controproducente che queste persone rivolgessero l’attenzione al proprio corpo e ai segnali di malessere ancor più di quello che già fanno spontaneamente, tanto più che è proprio questa eccessiva attenzione ad innescare a volte le crisi.
L’aspetto importante per la clinica (e per la futura ricerca) è che, se i parametri psicofisiologici sono sempre alterati prima di una crisi, l’attivazione che precede gli attacchi di panico può essere contenuta attraverso l’impiego di tecniche di rilassamento e autodistensione come il Training Autogeno, che abbattono l’eccessiva carica emotiva che accompagna quotidianamente chi soffre di ansia con l’obiettivo di prevenire gli attacchi e ridurne numero e intensità. L’impiego di queste tecniche nel corso o ad integrazione di un trattamento psicoterapeutico può quindi costituire un utile strumento per intervenire direttamente sulle alterazioni psicofisiologiche che precedono il panico: ricorrere a queste tecniche permette a chi identifica tali alterazioni (e “sente” che sta per arrivare un attacco) di interrompere l’escalation e ritornare ad uno stato di quiete sia fisica sia mentale, ma consente anche ai pazienti che non sentono alcuna avvisaglia di rimodulare l’attivazione riportando i valori ai livelli fisiologici a scopo preventivo.
Per consultare i dati della ricerca: