La depressione, i media e la genetica

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Dr. Gianluca Lisco Psicologo, Psicoterapeuta

Nei mesi passati si è parlato molto sui giornali e i mass-media di un nuovo studio sul rapporto fra depressione e genetica.

Una nuova ricerca rivela ora che una particolare variante di un gene (5-HTT) indebolisce i circuiti cerebrali che elaborano le emozioni negative, ne altera il funzionamento e scatena il rischio di sviluppare la depressione, soprattutto in presenza di eventi stressanti.

Gli scienziati dell'University of Michigan (Usa) smentiscono le ultime ricerche sull'argomento e con un accurato lavoro di metanalisi (tramite la comparazione di 54 studi sull'argomento) rinsaldano le teorie sulla base genetica della depressione.

Come afferma Srijan Sen, psichiatra della University of Michigan Medical School “Questo ci porta più vicini alla possibilità di identificare gli individui che potrebbero beneficiare di interventi precoci o di trattamenti su misura”.

Si apre la strada alla cosidetta "carta d'identità genetica della depressione" e al controllo della malattia che secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2020 potrebbe essere la seconda patologia più diffusa nel mondo dopo i disturbi cardiovascolari.

I media hanno dato diffusione di queste ricerche dando risalto al fatto che la "depressione è nei geni" alimentando una rappresentazione della depressione come qualcosa di già stabilito, scritto nel misterioso, per i profani e il pubblico, codice del DNA.

Il codice genetico diventa sempre più oggetto di numerosi studi sulla eziologia di alcune patologie e da diversi anni i media riportano le più recenti ricerche.

Quello che mi preme sottolineare è la modalità con cui queste scoperte scientifiche vengono comunicate al pubblico e le finalità che diversi scienziati si pongono nello studio e analisi delle correlazioni fra DNA e disturbi depressivi.

Il focus delle ricerche è centrato sull'individuazione dei legami tra DNA e depressione come se le variabili ambientali e i fattori socio-culturali fossero in secondo piano. Non potrebbe essere altrimenti per studi che intendono analizzare quel determinato gene e che confermano nella comunicazione dei risultati e nelle parole di alcuni scienziati la volontà di arrivare ad una mappatura della popolazione e al trattamento generalizzato o ad una eventuale terapia genica come metodo e strumento per ridurre l'incidenza della depressione.

Senza nulla togliere al valore scientifico delle ricerche è evidente come nella comunicazione dei risultati i media e gli scienziati preferiscano restituire al pubblico un'immagine della depressione come malattia, come patologia oggetto degli studi della più scientifica medicina e psichiatria, tralasciando anche negli orizzonti applicativi degli studi stessi la correlazione con i fattori sociali e culturali associati.

Se la depressione si avvia ad essere la malattia del secolo e la seconda patologia più diffusa c'è anche da chiedersi come mai. Che senso ha insistere sulla diatriba base genetica o meno della depressione e delineare la carta d'identità genetica della depressione? Quanto contano gli interessi delle case farmaceutiche nel finanziamento di tali studi? Una volta che scopriamo i fattori genetici che facilitano la depressione che cosa ce ne facciamo?

Sono quesiti che vanno posti al pubblico nel momento in cui nella comunicazione dei risultati di queste ricerche si punta all'effetto mediatico e sensazionalistico della notizia: ecco il gene della depressione!

La depressione e i sintomi depressivi hanno a che fare con un male dell'anima che vede la persona in preda all'impotenza appresa, alla rassegnazione, all'inutilità del vivere e alla rinuncia del proprio protagonismo nelle relazioni e nella società.

Credo che gli scienziati e i professionisti della salute mentale debbano monitorare la rappresentazione sociale della depressione che viene veicolata dai mass-media. E' molto raro che i media riportino studi o riflessioni inerenti a cosa può davvero aumentare la depressione, quali sono i fattori che facilitano il fenomeno e l'insorgenza della malattia.

La prospettiva altamente specialistica e scientista nello studio di quello che è un male esistenziale, un fenomeno umano e relazionale rischia di travolgere il pubblico nella rappresentazione che depressi si nasce o si diventa se si è predisposti, che importa maggiormente la struttura del DNA che come si conduce la propria vita, intesa nella qualità degli affetti, delle relazioni, del gioco e del lavoro.

Se nel 2020 l'OMS prevede una diffusione enorme della depressione nella popolazione mondiale occorre chiedersi come mai stia succedendo ora, in questa epoca storica, cosa può fare la conoscenza del DNA umano e cosa possono fare gli uomini e le donne nelle loro società per prevenire la propria depressione, cosa favorisce il benessere sociale e di comunità?

E' abbastanza ovvio che una qualità soddisfacente delle proprie relazioni affettive e lavorative possa prevenire l'insorgere di malesseri esistenziali di una tale gravità come ad esempio i disturbi depressivi.

Indagare sulla qualità della vita e sul potenziamento della possibilità di cambiare e lavorare per il cambiamento personale e sociale credo siano dimensioni da considerare come fattori di prevenzione per la depressione.

Le predizioni economiche e sociali che vedono per il nostro pianeta un futuro caratterizzato da disastri ambientali, conflitti per l'approvigionamento delle risorse energetiche, precarietà lavorativa e welfare sempre più "leggero" ove inesistente diventano fattori di rischio non solo per la depressione ma per un disagio ed una difficoltà esistenziale al vivere comune che devono essere oggetto di studi e ricerche.

La capacità di poter lavorare per il cambiamento passa attraverso la consapevolezza di essere attori e protagonisti della propria vita, il mio timore è che la scienza del DNA unita alla manipolazione e parzialità nella comunicazione mass-mediatica possa favorire atteggiamenti di delega, rinuncia e impotenza di fronte a ciò che appare come niente di più radicalmente umano: il mal di vivere e la sofferenza esistenziale, che nelle sue diverse forme può assumere l'aspetto della depressione clinica e dei disturbi depressivi.

L' eccessiva medicalizzazione o tendenza allo scientismo che ci offre l'era di Internet e delle tecnologie avanzate può contribuire ad affrontare qualsiasi tema oggetto della esperienza umana come una malattia , come un disagio da combattere a suon di pillole e farmaci piuttosto che anche attraverso programmi di prevenzione che passino per un miglioramento delle condizioni di vita delle persone e delle comunità di appartenenza.

La depressione pertanto dobbiamo assumerla come parte della vita "normale" di una popolazione, come fenomeno con cui relazionarsi facilitando il contatto con gli aspetti umani e relazionali della depressione, lavorando anche per la promozione di una cultura del dialogo, della pace e della solidarietà che possa esser quel "fattore ambientale" di sostegno di fronte al mal di vivere.

Gli studi sulla depressione e le "malattie mentali" non sono solo materia da scienziati, psicologi e sociologi ma sono un fatto umano e politico, appartengono all'uomo e alla polis, alla società.

 

La Repubblica - "La depressione è scritta nei geni. Uno studio spazza via ogni dubbio"

La Stampa - "Uno studio lo conferma la depressione è scritta nei geni"

ADN Kronos - La depressione? E' "scritta" nei geni

Data pubblicazione: 26 novembre 2011

26 commenti

#1
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Dr. Giuseppe Santonocito

È vero che la depressione non dipende esclusivamente dalla biologia, l'ambiente e le esperienze possono essere decisive per la sua genesi. Ma NON sono assolutamente d'accordo sul degradare la depressione a materia di studio non esclusivamente scientifica, addirittura delegandola a società e politica.

Fare questo sarebbe un implicito detrarre dallo status di scienza della psicologia clinica, facendola tornare ciò che non avrebbe mai dovuto essere: un racconto romanzato delle umane vicende. Significherebbe anche alimentare nel pubblico l'illusione che uscire dalla depressione non sia una questione di cura, ma di buona volontà, di solidarietà, di trovare le amicizie giuste ecc., equivoco fin troppo diffuso.

La depressione *È* una malattia ed è pertanto corretto riservarne lo studio alle scienze biologiche e psicologiche, la politica non c'entra nulla.



#2
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Dr. Gianluca Lisco

Non è mia intenzione "degradare" la depressione ma riflettere sule connessione tra le malattie mentali, la cultura e il contesto socio-ambientale. Una dimostrazione della direzione che la scienza può prendere nello studio del disagio psico-fisico ci è data dalla storia della psichiatria istituzionale e coercitiva del '900 e della istituzione dei manicomi.
Non è mia intenzione nè denigrare la scienza nè alimentare illusioni, bensì soffermarsi sulla modalità di comunicare dei media le nuove scoperte e sulle illusioni propugnate.
La depressione è una condizione psico-fisica non abilitante che impoverisca la qualità della vita ed è anche un problema sociale, la politica non è solo quella dei politici ma è ciò che riguarda la società.
Quando la depressione è in aumento cosa vuol dire?chi riguarda? come mai?nasce e diventa un problema sociale non solo individuale.

#3
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Quando la depressione è in aumento cosa vuol dire?chi riguarda? come mai?nasce e diventa un problema sociale non solo individuale.
>>>

Credo che se ognuno svolgesse al meglio il proprio lavoro, non rimarrebbe troppo spazio libero per gli sconfinamenti. È fuori discussione che i disturbi mentali siano influenzati dalla cultura di riferimento, ma se c'è un problema nella società non possono essere lo psicologo, lo psicoterapeuta o lo psichiatra a occuparsene. A loro si richiede solo che facciano bene il proprio lavoro, che restituiscano serenità alla persona e che le diano strumenti per fronteggiare in modo più adeguato le sfide dell'ambiente.



#4
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Dr.ssa Angela Pileci

In effetti è anche un problema di politiche sociali ma, mancando i fondi o utilizzandoli per altro, molti interventi di prevenzione e di cura non vengono attuati. Oppure, nella mia esperienza, ho visto che agli interventi con adulti o handicap vengono destinati pochi fondi che sono maggiormente investiti nell'area minori. E' un problema sociale ed economico perchè chi soffre di depressione, quale condizione invalidante, spesso deve assentarsi dal lavoro. E la malattia in tal senso ha un costo per tutti.

Bello questo post. Grazie!

#5
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Dr. Giuseppe Santonocito

Angela, stabiliamo una distinzione: dire che la depressione è un problema sociale significa che le CAUSE possono aver a che fare con la società, che gli effetti si possono sentire nel sociale, ma certamente NON che lo psicologo debba agire nel sociale per RISOLVERLI. Almeno non in modo primario.

Che cosa vuol dire, pragmaticamente, per uno psicologo, che una certa malattia è un problema sociale? A mio parere nulla. A meno che uno non smetta di fare lo psicologo e decida di assumere posizioni di potere per cambiare le cose (ovvero di fare il politico).



#7
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Dr.ssa Angela Pileci

" ...NON che lo psicologo debba agire nel sociale per RISOLVERLI"

Ma scusa le politiche sociali che cosa sono?
Lo psicologo sociale e di comunità di che cosa si occuperebbe?

Una malattia diventa un problema sociale: le dipendenze ad es. che cosa sono? non sono anche un problema sociale e lo psicologo non agisce nel sociale?

Tutta il lavoro nell'ambito della prevenzione e della promozione della salute dove verrebbe implementato se non ne sociale?

#9
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Ma scusa le politiche sociali che cosa sono?
Lo psicologo sociale e di comunità di che cosa si occuperebbe?
>>>

Infatti - i colleghi che se ne occupano non me ne vogliano - dal mio punto di vista quella è pura politica, chiamata con altro nome. Per me lo psicologo è colui che si occupa d'individui, o anche di gruppi, ma senza aderire a presupposti o colorazioni ideologiche preferenziali.

Ai tempi dell'università alcuni professori illuminati ci facevano notare che la psicologia, siccome si occupa di persone, a volte eccede in flessibilità e si lascia "tirare per la giacca" da altri ambiti, come quello sociologico. Di fatto certa psicologia somiglia più a una lotta politica in sordina che ad altro, ma a mio parere si tratta di una distorsione, di uno sconfinamento improprio in un territorio che non le appartiene.



#11
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Dr.ssa Angela Pileci

Occuparsi della persona e del benessere della persona significa considerare tutti gli aspetti, anche sociali. Una persona che sta bene, non depressa per restare in tema, ma che non ha il lavoro, può andare incontro a sofferenza e stress. Non mi pare affatto assurdo. Le politiche sociali ci sono per questo. Quanti soldi dei cittadini vengono destinati ad interventi di prevenzione? o di riabilitazione? Pensiamo ai progetti di inserimento lavorativo per ex tossicodipendenti o pz psichiatrici. Questo è un lavoro da psicologo.

#13
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Dr. Gianluca Lisco

sono d'accordo con la collega angela... parlare di sconfinamenti o lotta politica non ha senso quando si vuole parlare di un tema come la depressione esaminando le comunicazioni dei media e le tendenze di parte della ricerca scientifica a partire dalle riflessioni proposte nel post.Ognuno può scegliere come svolgere la sua professione e in quali modi dato che oltre ad esser un professionista è anche un cittadino, non credo esuli dai confini commentare alcune notizie o esprimere pareri su leggi, politiche sociali o quant'altro non sia la clinica in studio, ad esempio.

#18
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Dr. Giuseppe Santonocito

Giunti a questo punto della discussione non posso far altro che ribadire quanto già detto in precedenza, aggiungendo semmai che, per quanto il lavoro dello psicologo di comunità dovrebbe essere scollegato da appartenenze politiche, e per quanto ciò sia in principio sicuramente realizzabile, così non è in Italia. Le persone che decidono di diventare psicologo di comunità, in questo paese, hanno quasi sempre un'appartenenza e una militanza politica precisa.

Senza voler dare o togliere nulla alla dignità di alcuna parte politica, il mio punto di vista è che tale fatto sia però difficilmente conciliabile con un'idea di scienza libera da condizionamenti ideologici.

Ecco perché, personalmente, preferisco che la malattia mentale - si tratti di depressione o altro - sia lasciata in mano a clinici e non a politici.



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