E’ la relazione che cura?

a.devincentiis
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta

Uno dei miti del processo psicoterapeutico più duro a morire è rappresentato dall’idea che la relazione, più che la tecnica terapeutica,  rappresenti il vero elemento di guarigione all’interno di un percorso psicologico di cura.

Ma le cose stanno davvero in questi termini? Ciò poteva essere sostenuto fino a quando la ricerca sull’efficacia delle psicoterapie tendeva a confermare una parità dei risultati per tutti i modelli terapeutici. Una volta evidenziato che ogni psicoterapia otteneva benefici, indipendentemente dal suo modello teorico, si considerava che il vero elemento curativo fosse rappresentato da fattori aspecifici tra i quali una certa enfasi fu data alla relazione tra terapeuta e paziente (1)

Questa concezione fu ribaltata da ulteriori revisioni che evidenziarono degli errori metodologici nella suddivisione delle terapie a tal punto da falsarne i risultati. Nel 2002 un gruppo di ricercatori (2) rilevò che le revisioni precedenti divisero i modelli terapeutici da un lato, in terapie verbali, includendo quelle psicodinamiche, umanistiche e cognitive e, dall’altro, in terapie del comportamento. Includendo in quelle verbali modelli con metodologie lontanissime tra di loro e più legate a modelli inseriti nell’altro gruppo.

Da una distribuzione del genere appariva inevitabile che il rapporto dei risultati sarebbe stato paritario visto che il confronto riguardava terapie appartenenti alla stessa classe (cognitive e comportamentali). Modificando la distribuzione, i risultati cambiavano inesorabilmente. Inoltre quando ulteriori revisioni della letteratura sull’efficacia dei metodi terapeutici entravano nel merito dei sintomi specifici si dimostrò, senza ombra di dubbio, che non vi fosse nessuna equivalenza dei risultati (3) Alcune terapie funzionavano rispetto ad altre che non si dimostravano efficaci.

Se non vi è quindi alcuna equivalenza dei risultati che ruolo ha, in realtà, la relazione? Se fosse davvero il principio curativo di un percorso psicoterapico essa dovrebbe rendere paritario ogni processo di cura al punto da rimodellarne i risultati e renderli equivalenti. Ma, sottoposta alla prova dei fatti, l’elemento relazione tende ad apparire piuttosto irrilevante. La relazione è importante nella misura in cui, grazie ad un rapporto di fiducia, il paziente tende a considerare meglio le restituzioni del suo terapeuta, esattamente come un paziente tende a non mettere in discussione e ad assumere con maggior fiducia i farmaci prescritti dal suo medico. La fiducia può rinforzare l’efficacia della tecnica (4). Più si entra nello specifico della cura di un sintomo più gli effetti di essa tendono però a diminuire. Quindi, la cosiddetta relazione è solo una causa necessaria ma non sufficiente per ottenere una guarigione. Purtroppo, il mito della relazione terapeutica, come fattore curativo, continua a resistere ed è utilizzato ogni  volta  in cui si vuole far passare come adeguato un modello terapeutico che, sotto l’aspetto empirico, per un determinato problema, non ha dato alcun risultato. E’ la relazione o il rapporto che conta! Certo, ma solo nelle idee.

Note:
1) Si vedano i Lavori di Luborsky ed il suo gruppo di ricerca sull’efficacia delle psicoterapie (1974/1993)
2) John Hunsley et al.,  2002,  in The Scientific Review of Mental Health Practice
3) Roth A., Fonagy P. 1996, Psicoterapie e prove di efficacia, Il Pensiero Scientifico.
4) Sibilia L., affronta lo stesso problema  in Efficacia delle psicoterapie, alcuni miti da sfatare. Idee in psicoterapia, APC. vol. n°3.
Data pubblicazione: 09 novembre 2011

66 commenti

#3
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Io non sono d'accordo e spero di sentire altre opinioni.

Tutti i lavori sociali (non solo chi si occupa di psicoterapia, ma anche insegnanti o pedagogisti) sono basati sulla relazione; quando si ha a che fare con le persone, la relazione è imprescindibile!

Mi sembra molto grave definire la relazione terapeutica come "un mito da sfatare".

Conta solo la tecnica? Sarebbe cosi se fossimo delle macchine.

Le persone non sono computer da riprogrammare!

Cosa ne pensano gli altri professionisti? E gli utenti?

#4
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Dr. Armando De Vincentiis

come evidenziato, la relazione è causa necessaria ma non sufficiente. La relazione è un coadiuvante della tecnica, senza relazione, sicuramente, la tecnica è inefficace, ma la relazione da sola fa molto poco. Altrimenti non si spiegherebbe la differenza di risultati nelle ricerche sull'efficacia delle psicoterapie. Una cosa è la relazione in ambito pedagogico e sociale un'altra è nella cura dei distrubi psicopatologici.

#5
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Dr.ssa Giselle Ferretti

Ogni psicoterapia ha le sue tecniche, ma senza la relazione sarebbero aride e sterili. Nessuna psicoterapia si basa esclusivamente sulla relazione.

Cosi come lo hai scritto, trovo il tuo post pericoloso e fuorviante.

#6
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Dr. Armando De Vincentiis

dal momento in cui scrivi:
(..)Ogni psicoterapia ha le sue tecniche, ma senza la relazione sarebbero aride e sterili. Nessuna psicoterapia si basa esclusivamente sulla relazione (..)

sembra che tu non ti accorga che stai dicendo la stessa cosa che io, con maggior chiarezza tecnica, ho affermato nel post.

Non ho mai affermato che ci sono terapie che usano solo la relazione, ma c'è chi sostiene che essa sia l'unica cosa veramente terapeutica ed è questo che metto in discussione e che ritengo davvero pericoloso!

Basarsi solo sulla relazione sarebbe un tentativo illusorio di ettenere risultati, soprattutto al cospetto di patologie particolarmente invalidanti.
Se tu hai ottenuto risultati solo con la relazione in problemi come, ad esempio, disturbi di panico e/o ossessioni, allora dovresti rendere pubblici i tuoi dati e sottoporli all'opinione dei colleghi. Non si sostengono i dati a colpi di opinione personale.

#9
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Dr.ssa Giselle Ferretti

"la relazione, c'è chi sostiene che essa sia l'unica cosa veramente terapeutica"

E chi dice questo? Non io, e non mi sembra neanche di averlo mai letto nelle risposte ai consulti qui su MI.

Si sottolinea che la relazione è fondamentale e imprescindibile in un rapporto terapeutico. Ovviamente associata alla tecnica.

"Non si sostengono i dati a colpi di opinione personale"

Beh, come professionista vado fiera di avere un'opinione personale che si basa su anni di studi universitari, post-universitari, su aggiornamenti e, soprattutto sull'esperienza clinica.

Mi sembrerebbe più grave non averla un'opinione personale.

#11
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Dr. Armando De Vincentiis

(..)come professionista vado fiera di avere un'opinione personale che si basa su anni di studi universitari, post-universitari, su aggiornamenti e, soprattutto sull'esperienza clinica(..)

aggiungi la conoscenza dei dati di letteratura e sarai completa!

#13
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Dr. Armando De Vincentiis

(..)Si sottolinea che la relazione è fondamentale e imprescindibile in un rapporto terapeutico. Ovviamente associata alla tecnica (..)

è allora dov'è il problema? e chi lo nega?
in tutti i processi terapeutici si impianta una relazione, ma non in tutti si ottengono gli stessi risultati.

questo è UN FATTO!

quindi? relazione necessaria ma non sufficiente! ma non lo eveva già scritto in apertura ?

#22
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Dr.ssa Federica Meriggioli

La relazione è una condizione necessaria e assolutamente imprescindibile nel momento in cui si decide di fare un lavoro psicoterapeutico clinico e curativo, quindi rivolto a, e svolto con un'altra persona, ovvero il paziente.
La psicoterapia si avvale della necessità umana, ma comune a tutti gli essere viventi, di stare in relazione e a ciò aggiunge competenze tecniche perchè la condizione relazionale di base possa diventare curativa.

Pensare di poter fare psicoterapia con un paziente con cui non si è o non si gradisce essere in relazione è come pensare di voler operare sterilmente sul sistema cerebrale, aggiustandolo là dove si è "inceppato".

Forse è anche il caso di ricordare, però, che ci sono specifiche situazioni dove già solo il fatto di riuscire a stabilire una relazione, intesa come un riconoscere l'altro da sè con i suoi pensieri, bisogni, e le sue emozioni, ha un alto valore terapeutico.

#26
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Dr. Armando De Vincentiis

La relazione è qualcosa di automatico dal momento in cui si decide di portare avanti un contratto terapeutico. Certo che è fondamentale ma solo su di essa non si puà fare affidamento.
Si può fare tutta la filosofia che si vuole ma se la tecnica non funziona la relazione, da sola, non cura. E i dati lo confermano.
Nessuno pretende di lavorare senza relazionarsi, ma nessuno deve pretendere di curare solo con il relazionarsi!

#27
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Psicoterapeuta

>>Nessuno pretende di lavorare senza relazionarsi, ma nessuno deve pretendere di curare solo con il relazionarsi!

Espressione elegante ed efficace, secondo me riassume il nocciolo del problema.

Anni ed anni di ricerca sull'efficacia delle terapie (e la letteratura citata da Armando ne è un buon estratto) hanno dimostrato proprio che una buona relazione terapeutica, da sola, non spiega gli effetti terapeutici neppure nei modelli più "relazionali".

Anzi, spiegazioni più semplici e verificabili (ad esempio, l'ipotesi che una psicoterapia aiuti perchè è un'enorme "esposizione" a contenuti e tematiche ansiogeni, e quindi faccia il lavoro opposto a quello dell'evitamento) sono oggi molto più accreditate, più semplici e, secondo me, anche più realistiche.

#29
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Pensare di poter fare psicoterapia con un paziente con cui non si è o non si gradisce essere in relazione è come pensare di voler operare sterilmente sul sistema cerebrale, aggiustandolo là dove si è "inceppato".
>>>

Secondo la mia esperienza non è vero. Altrimenti non si spiegherebbe come mai, di fatto, si possano ottenere risultati terapeutici eccellenti con pazienti che si gradiscono di meno, e risultati non così eccellenti con pazienti che il terapeuta gradisce molto. Non è quella la discriminante.

La relazione è fondamentale (o dovrebbe esserlo) dal punto di vista del PAZIENTE, non del terapeuta. È il paziente a dover sentire di essere in relazione con il terapeuta, il contrario NON è necessariamente vero. Se il terapeuta riesce a far sì che il paziente collabori, a quel punto sarà un problema suo (del terapeuta) adattarsi e far sì che il processo funzioni. Non si può lasciare al caso l'esito di una terapia, del tipo, se il fato vorrà che io terapeuta con te mi trovi bene, allora ok, altrimenti pazienza.

È il terapeuta a doversi ADATTARE al paziente, altrimenti che esperto della comunicazione sarebbe?

Questo senza neanche dire che, da un punto di vista strategico, la relazione può essere modulata e resa più o meno ravvicinata, più o meno calda a seconda del caso.



#31
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Dr.ssa Federica Meriggioli

La relazione in quanto tale è un elemento che si instaura tra due o più soggetti, pertanto è fondamentale sia per il PAZIENTE che per il TERAPEUTA. Se ciò non è, non c'è relazione.
Ricordo anche che il terapeuta non è solo e semplicemente un esperto della comunicazione, per questo ci sono altri specialisti.
Lo psicoterapeuta è un esperto della comunicazione che si svolge all'interno di una relazione, che a sua volta è fatta anche di aspetti emotivi, di pensieri, di fantasie e di elementi inconsci.

Ovviamente il terapeuta non può fare esclusivo affidamento sulla relazione, deve avere ben presente e deve essere in grado di applicare e di calibrare la propria formazione teorica e tecnica a quello specifico paziente preso nella sua singolarità.

#32
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> La relazione in quanto tale è un elemento che si instaura tra due o più soggetti, pertanto è fondamentale sia per il PAZIENTE che per il TERAPEUTA. Se ciò non è, non c'è relazione.
>>>

La relazione TERAPEUTICA è differente dalla relazione GENERICA che può instaurarsi fra due o più soggetti. La relazione terapeutica ha un FINE PRECISO, mentre la relazione generica può anche essere fine a se stessa. Perciò è logico che, trattandosi di un tipo specifico di relazione, debba avere delle caratteristiche che la distinguono da quelle generiche.

Puo benissimo esserci relazione terapeutica senza relazione generica, e la terapia andare in porto comunque. Rasoio di Occam.

Anzi, la necessità di far sì che sia il terapeuta ad adattarsi serve proprio per AUMENTARE la possibilità di poter tornare utile a un numero maggiore di persone. Ove, invece, affidandosi al caso e sperando che con un certo paziente si venga a creare una buona relazione terapeutica, senza fare deliberatamente nulla perché ciò accada, il terapeuta starebbe limitando se stesso.

A meno che non si creda che una malintesa "spontaneità" debba avere la precedenza sui risultati.

>>> Ricordo anche che il terapeuta non è solo e semplicemente un esperto della comunicazione, per questo ci sono altri specialisti.
>>>

Ovviamente, ma anche qui, così come la relazione in terapia è indispensabile (e la sua gestione, sempre dal mio punto di vista) altrettanto indispensabile è la comunicazione. E la capacità comunicativa non può che essere del terapeuta, non ci si può aspettare che sia il paziente a farsene carico. È il terapeuta a dover parlare la lingua del paziente, non viceversa.

>>> Lo psicoterapeuta è un esperto della comunicazione che si svolge all'interno di una relazione, che a sua volta è fatta anche di aspetti emotivi, di pensieri, di fantasie e di elementi inconsci.
>>>

Questo non sposta la sostanza del discorso. Tutti questi elementi sono presenti, ma si possono senz'altro ottenere risultati in terapia senza per forza dover gradire tali aspetti, come terapeuti.



#33
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Dr.ssa Federica Meriggioli

I dizionari citano le seguenti definizioni per RELAZIONE: rapporto, connessione che intercorre tra due o più elementi; legame tra due o più persone o cose.

A chi sa instaurare una relazione terapeutica, quindi al terapeuta, la competenza di saperla creare innanzitutto e saperla utlizzare a fini curativi. Concordo sul fatto che la relazione generica è differente, ma non mi sembra che si stesse ragionando su questa.

>>> Questo non sposta la sostanza del discorso. Tutti questi elementi sono presenti, ma si possono senz'altro ottenere risultati in terapia senza per forza dover gradire tali aspetti, come terapeuti.

In ambito psicoterapeutico ci sono ormai numerosissimi orientamenti, ognuno dei quali, sembra, da risultati soddisfacenti nella cura delle diverse problematiche e patologie, scopo ultimo del lavoro di tutti noi.

Fortunatamente i pazienti hanno la libertà di scegliere quale approccio è più confacente al loro modo di essere e di vivere, nello specifico se hanno la necessità di un terapeuta che li veda prima di tutto come persone con cui potersi relazionare clinicamente o se necessitano invece di un approccio più strettamente comunicativo.

Sono approcci teorici molto diversificati e, talvolta, inconciliabili a partire proprio dall'uso tecnico che si desidera fare della relazione.


#34
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> In ambito psicoterapeutico ci sono ormai numerosissimi orientamenti, ognuno dei quali, sembra, da risultati soddisfacenti nella cura delle diverse problematiche e patologie, scopo ultimo del lavoro di tutti noi.
>>>

Sì, ma se un orientamento mi permette di ottenere lo stesso risultato con meno risorse (tempo, denaro, impegno emotivo) preferirò sempre quello agli altri. Rasoio di Occam. Se posso utilizzare un certo strumento (per es. la relazione) in modo più economico, non vedo per quale motivo fare diversamente. Certamente non per andare a convalidare teorie o una visione precostituita delle cose.

>>> Fortunatamente i pazienti hanno la libertà di scegliere quale approccio è più confacente al loro modo di essere e di vivere
>>>

In teoria sarei perfettamente d'accordo su questo. Anzi, sono convinto che sul lungo periodo gli approcci molto dispendiosi in termini di risorse alla fine tenderanno a essere meno richiesti.

In pratica, però, i pazienti non sempre sono in grado di distinguere fra bisogno di relazione e bisogno di cura, spesso si tende a confondere il primo con il secondo. Prendiamo l'ansioso. La sua convinzione, erronea, è di dover essere molto rassicurato, mentre è un dato di fatto che, concedendosi troppo nella relazione con questo tipo di pazienti, si finisce per alimentare il disturbo anziché risolverlo. In questi casi la relazione dovrà essere diversa e più direttiva (almeno dal punto di vista di un approccio come quello breve strategico). Con altri pazienti, ad esempio con chi è portatore di un disturbo di personalità, la relazione certamente merita più spazio.

Ma in ogni caso il terapeuta è SEMPRE libero di sentire e sperimentare ciò che vuole di fronte al paziente, fintantoché riesce a svolgere bene il suo lavoro.




#35
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Dr.ssa Federica Meriggioli

Il Rasoio di Occam, in quanto tale, taglia sfacettature importanti che compongono la personalità, costituita da elementi ridondanti e interconnessi tra loro.

Rispetto alla metologia terapeutica che si decide di utilizzare, molto dipende dal fatto se si vuole agire solo sul sintomo manifesto risolvendolo, o se invece si decide di risalire alle cause che lo hanno originato per evitare che si ripresenti sotto altra forma (approccio psicoanalitico).

#36
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Psicoterapeuta

>>Rispetto alla metologia terapeutica che si decide di utilizzare, molto dipende dal fatto se si vuole agire solo sul sintomo manifesto risolvendolo, o se invece si decide di risalire alle cause che lo hanno originato per evitare che si ripresenti sotto altra forma (approccio psicoanalitico)

Gentile Federica, se ho capito bene questo significherebbe che:

- è possibile agire solo sul sintomo
- esistono approcci che "curano le cause" ed altri che "curano gli effetti"
- curando un sintomo, se non se ne eradica la causa inconscia, questo ritornerà, magari sotto forma di altri sintomi

Sono tre ipotesi, mai verificate e puntualmente smentite dai dati di ricerca.

Riguardo la prima, anche solo "curando l'ansia" in una persona che soffra di agorafobia le modificazioni sui sistemi cognitivo, comportamentale ed emotivo che avvengono "a valanga" sono tali e tante che mi sembra impossibile sostenere che si possa "isolare un sintomo" e curarlo. Persino la farmacoterapia modifica alcune cognizioni!

L'idea che i sintomi manifesti siano determinati in senso univoco da cause inconsce era la grande conquista e la grande sfida della psicoanalisi. Per ciò che attiene la letteratura non aneddotica (e quindi la ricerca), questa ipotesi è stata smentita in tanti e tali di quei modi che non sarebbe possibile elencarli tutti. Basti pensare al fatto che non esiste ormai modello terapeutico condiviso largamente che non riconosca le influenze reciproche, complesse e multi-direzionali di ogni aspetto della psiche su tutti gli altri. Ormai c'è davvero poco spazio per i determinismi, compreso quello inconscio!

Infine, il vecchio mito della sostituzione del sintomo sembra valere più per le terapie psicoanalitiche che per altri approcci. In ambito cognitivo-comportamentale, in cui i follow-up fanno parte della metodologia propria dell'approccio, si registrano per i principali protocolli di terapia (depressione, DOC, etc.) tassi di ricadute molto più bassi dei controlli (e questo è prova di efficacia); inoltre, chi abbia ricevuto una psicoterapia cognitivo-comportamentale non presenta rischio di nuove psicopatologie maggiore di chi non l'ha ricevuta (e qui casca il mito della sostituzione del sintomo). Esistono dati analoghi per la psicoanalisi?

#37
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Dr. Giuseppe Santonocito

Il collega Calì mi ha preceduto a proposito delle ipotesi "causali" della psicoanalisi, mai confermate.

Inoltre la distinzione fra terapie suppostamente sintomatiche e quelle che risalirebbero alle supposte "cause" ha fatto da un pezzo il suo tempo. Ciò che fa identificare le "cause" come tali è solo una teoria.

Nei sistemi complessi, quale certamente è la psichie umana, le condizioni iniziali sono ininfluenti nel determinare come si è giunti a un certo stato. E comunque spesso non è possibile identificarle con certezza. Invece, individuando i parametri che mantengono in vita il problema oggi, quasi sempre non c'è bisogno di altro. Metafore, allegorie e mitologia possono certamente tornare utili, ma più come strumenti d'intervento che d'interpretazione.

Se devo andare da Firenze a Rimini, poco m'importerà di come in origine ero giunto a Firenze, dovrò preoccuparmi solo dei passi necessari per andare da Firenze a Rimini.



#38
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Dr.ssa Federica Meriggioli

>>Sì, ma se un orientamento mi permette di ottenere lo stesso risultato con meno risorse (tempo, denaro, impegno emotivo) preferirò sempre quello agli altri. Rasoio di Occam. Se posso utilizzare un certo strumento (per es. la relazione) in modo più economico, non vedo per quale motivo fare diversamente.

Mi riferivo a questo passaggio; pensare di utilizzare parzialmente gli strumenti a disposizione mi sembra significhi anche decidere di agire in senso curativo su alcuni aspetti e non su altri.

Ribadisco comunque l'importanza della relazione come elemento fondante del processo psicoterapeutico, sia esso breve o lungo, dal momento che ci si muove nell'ambito della cura dell'individuo.

#39
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> pensare di utilizzare parzialmente gli strumenti a disposizione mi sembra significhi anche decidere di agire in senso curativo su alcuni aspetti e non su altri.
>>>

"Parziale" non significa "insufficiente", significa un uso economico, minimalista, finalizzato all'obiettivo. Tutto ciò che serve e niente di più.

Quanti agli effetti curativi, dipende da come si misurano (e innanzitutto SE li si vuol misurare). Se il paziente riferisce di aver risolto il suo problema o di esser molto migliorato, e se ciò resta vero a distanza di un certo tempo, per me è sufficiente per affermare che una terapia ha avuto successo.

>>> Ribadisco comunque l'importanza della relazione come elemento fondante del processo psicoterapeutico, sia esso breve o lungo, dal momento che ci si muove nell'ambito della cura dell'individuo.
>>>

Nessuno lo sta negando, quello che è in questione è la visione della relazione come condizione necessaria *E* sufficiente, come sostenuto da alcuni.



#49
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Psicoterapeuta

A mio parere l'efficacia consiste nell'utilizzare la relazione individuo-contesto (nel nostro caso utente -clinico) per saper leggere la domanda dell'utente, espressa con e nella relazione con il clinico per promuovere sviluppo con e nelle relazioni dell'utente.
Dopo questa analisi, la ricerca psicologica e psicoterapeutica ha raggiunto ottime conoscenze e strumenti per promuovere sviluppo e benessere e la tecnica è fondamentale come gli strumenti per un chirurgo che sa però dove e cosa andare a "toccare". Avrei preferito trovare una metafora non medica, ma stando in un portale medico, va bene comunque...
Cordiali saluti

#50
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Dr. Roberto Callina

Cari colleghi,

mi sono preso la briga di leggere questo articolo di Armando avendo trovato, nel titolo, stimoli interessanti.
Non ho letto tutti i post ma mi sembra che il dibattito al riguardo sia abbastanza acceso.
Io credo che la relazione sia FONDAMENTALE per la buona riuscita di una psicoterapia; anzi, credo che da sola possa essere la chiave di volta per la cura di molti gravi disturbi del sé.
Forse le tecniche vanno bene per rimuovere il sintomo velocemente ma non possono sostituire la relazione se l'obiettivo è ristrutturare il sé.

Basta leggere Schore per avere conferme scientifiche in tal senso. Basta rifarsi agli studi di Gallese e Rizzolati, o magari a Fonagy, se preferite; pensate forse che "vedere con gli occhi dell'altro, sentire con le sue orecchie e vibrare con il suo cuore" siano dettagli?
Compito primario del terapeuta è quello di una assunzione tardiva della funzione materna e, a meno che l'obiettivo non sia quello di "rimuovere", ad esempio, una fobia, al cui scopo possono essere sufficienti delle tecniche validate scientificamente, il vero cambiamento terapeutico deve passare, a mio pare, necessariamente attraverso la relazione che, da sola, può essere curativa.
Di fronte a un disturbo di personalità, di fronte a un paziente borderline, di fronte a una vera crisi esistenziale, la tecnica può far ben poco.
Forse si tratta solo di distinguere tra gli obiettivi che ci si pone in terapia e una modalità non esclude l'altra... anche se la relazione resta condizione necessaria per ottenere dei risultati, da sola o abbinata a specifiche tecniche.

#51
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Psicoterapeuta

>>Di fronte a un disturbo di personalità, di fronte a un paziente borderline, di fronte a una vera crisi esistenziale, la tecnica può far ben poco.

Caro Roberto, non condivido questa affermazione.

In primis, perchè anche la "relazione" è fatta di precetti tecnici, anche nel più relazionale dei modelli di terapia. Altrimenti, basterebbe un buon amico ed ogni paziente con personalità border starebbe bene da sè.

Che alcuni precetti funzionino per il motivo che sostengono, o che funzionino "per altri motivi" questo è un altro discorso.

Che il cambiamento terapeutico passi per la relazione lo condivido, ed infatti non condivido i libri di auto-aiuto, le terapie su cassetta ed i video anti-panico. Che la relazione in sè basti a curare no, altrimenti sembra che esista una relazione come ente astratto, trascendente il lavoro di terapia, e "sotto" le tecniche. Anche la relazione può essere utilizzata in senso tecnico.

Un esempio? L'essere in una relazione non-giudicante potrebbe non "curare" in sè. Potrebbe curare per alcuni impliciti che trasmette:

- che non è necessario giudicare, e che non giudicando si vive meglio (molti pazienti che soffrono per il giudizio altrui spesso giudicano massivamente gli altri)
- che quello che ci accade non ci rende persone terribili, e che anche comportamenti stupidi o autolesionisti non implicano che "siamo" stupidi
- che possiamo esporci alle cose che temiamo (ad esempio, a nostri comportamenti o modi di pensare o sentire che giudichiamo molto negativamente) senza "sfuggire" all'imbarazzo o alla vergogna, ma anzi imparando a gestirli e viverli

Tutti questi (e molti altri) impliciti sono "tecnici", ed infatti non capisco perchè non si possa considerare la relazione terapeutica uno strumento, più importante per alcuni orientamenti e meno centrale in altri; ma comunque presente in tutti, come fattore aspecifico di cambiamento.

E, se è aspecifico, vuol dire che non funziona forse in nessuno dei modi che utilizziamo per descriverla; e, forse, che il suo peso nel cambiamento è importante, ma non sufficiente. Altrimenti, basterebbe la relazione, mentre ogni orientamento teorico "fa" qualcosa (le tecniche specifiche, tra cui anche ascoltare empaticamente in silenzio).

Ed infine perchè proprio per i disturbi di personalità, tra cui il borderline rappresenta una sfida per ogni orientamento teorico e per ogni professionista che si accosti alla cura dell'altro, esiste un modello di intervento validato, che è tra i pochissimi ad aver dato prove di efficacia, la Terapia Comportamentale Dialettica. Che è fatta di tecniche *ed anche* di relazione.

#52
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Dr. Roberto Callina

<<Anche la relazione può essere utilizzata in senso tecnico>>

Caro Gianluca,

è proprio questo il punto centrale del mio dire. La relazione è essa stessa tecnica e non ha bisogno di tecniche ulteriori se l'obiettivo è la ristrutturazione del sé.

Certo che un buon amico non può svolgere la stessa funzione del terapeuta; il terapeuta che lavora sulla relazione ha, dalla sua, anni di analisi personale, capacità di analisi dei processi transferali e controtransferali, capacità di orientare la relazione.... ma è sempre la relazione, volendo enfatizzare, anche come "ente trascendente" come tu dici, foriera del cambiamento.
Ente trascendente perché diviene quasi un "processo implicito", una comunicazione tra emisferi destri...

Ci sono orientamenti che lavorano con le tecniche (e fanno della relazione un "accessorio" meno significativo) ed io non li discuto. Credo solo che siano orientamenti che hanno un loro posizionamento nel "mercato" così come lo hanno quelli più basati sulla relazione.

Per inciso, molti incontri significativi nella vita di un individuo con disagi psicologici, possono assolvere alla stessa funzione terapeutica perché la relazione, in sè, porta il cambiamento.

Sul discorso delle prove di efficacia, senza voler mettere in dubbio i tuoi dati e il modello d'intervento che proponi, permettimi di dire che, come ben sappiamo, il fatto che un orientamento dia prove di efficacia ed un altro no, può anche significare che su quell'orientamento sono state fatte ricerche che su un altro non sono state fatte.

#53
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Psicoterapeuta

>>Ci sono orientamenti che lavorano con le tecniche (e fanno della relazione un "accessorio" meno significativo)

Ecco, è questo il punto su cui forse potremmo trovare un incontro, anche se io la vedo un pò diversamente: ci sono orientamenti che lavorano "tecnicamente" sulla relazione ed orientamenti che ritengono la relazione un fattore curativo "in sè".

>>Per inciso, molti incontri significativi nella vita di un individuo con disagi psicologici, possono assolvere alla stessa funzione terapeutica perché la relazione, in sè, porta il cambiamento.

Nella mia esperienza non sempre è così. Anzi, penso proprio ai casi che citavi tu, ad esempio ai disturbi di personalità: in questi casi, le relazioni divengono terreno di ripetizione di modelli interpersonali dolorosi, e sembra che non portino proprio nessun cambiamento, ed anzi rafforzino le convinzioni profonde sul sè e sul mondo delle persone che ne soffrono.

>>il fatto che un orientamento dia prove di efficacia ed un altro no, può anche significare che su quell'orientamento sono state fatte ricerche che su un altro non sono state fatte

Concordo in pieno: infatti il senso del mio intervento non era quello di promuovere come "migliori" o "efficaci" soltanto i modelli che hanno dato prove di efficacia, ma di ribadire che è possibile un lavoro "tecnico" sulla relazione anche nei casi di disturbi di personalità, ed anche secondo paradigmi non squisitamente relazionali (ma ne esistono davvero? ^___^)

#54
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Dr. Gianmaria Benedetti

Una domanda solo per richiamare qualcosa che anche Armando un tempo riteneva importante, credo:
Qual è la 'tecnica' sottostante all'effetto placebo, responsabile sempre di una buona percentuale degli effetti 'terapeutici', come si sa...? (tant'è vero che le prove di efficacia dei farmaci sono fatte vs un placebo...). Di solito il placebo viene considerato un effetto connesso alla relazione e alle aspettative del paziente (me lo passate anche se non cito la bibliografia...?)
Quindi quasi tutte le ricerche sui farmaci, ad esempio, riconoscono implicitamente un grande effetto al placebo/relazione...
La contrapposizione fra sostenitori di tecniche ( molto disparate, spesso, dai farmaci, alle istruzioni ai compiti a casa...) e sostenitori della relazione e del contesto come fattori di cambiamento, è di vecchia data e promette di durare ancora a lungo. Mi ricorda, anche nell'atteggiamento, la contrapposizione fra 'religiosi' e 'laici', o atei, o come si vogliano chiamare: spesso i 'religiosi', di qualunque religione, si sentono alleati comtro i comuni nemici, i perfidi atei... Ricordate le 'evidenze', pardòn, prove sull'esistenza di Dio?
Infastidisce un po' solo la pretesa di incarnare la 'scientificità', come se il resto fosse solo credulità e superstizione; a meno che questa parola ( un po' abusata, spesso, tando da diventare quasi un must della pubblicità) non abbia ormai preso un significato di cui qualcuno ha comprato il copyright...

#55
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Dr. Roberto Callina

<<Nella mia esperienza non sempre è così.>>

Neppure nella mia è SEMPRE così... tuttavia esistono casi in cui un incontro significativo è foriero di importanti cambiamenti, senza alcun utilizzo di tecniche ma, semplicemente, tramite una relazione emotiva correttiva del "deficit" di base.

Certo che non è regola, altrimenti non avremmo ragione di esistere noi psicologi clinici.

<<paradigmi non squisitamente relazionali (ma ne esistono davvero? ^___^)>>
Certo che esistono... ti stai confrontando con un sostenitore della terapia basata sulla relazione anche se, con certi pazienti e in determinate situazioni, l'uso di una metodologia più direttiva e più tecnica è richiesta anche a me.

<<orientamenti che ritengono la relazione un fattore curativo "in sè">>
dire che la relazione è un fattore curativo in sè può apparire riduttivo e fuorviante ma credo che il problema sia semantico. E' chiaro che la relazione può essere curativa in sè se si sa cosa farne della relazione... altrimenti parliamo di aria fritta! :-))

#56
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Psicoterapeuta

>>Certo che esistono...

Roberto, chiedevo se esistessere paradigmi NON relazionali (imbrogli della comunicazione online...)! Che esistano quelli relazionali è certo, mi chiedevo un pò provocatoriamente se certe distinzioni (tipo approcci basati sulla relazione VS approcci basati sulla tecnica) non siano soltanto questioni di lana caprina...

Come sottolineavi tu, " E' chiaro che la relazione può essere curativa in sè se si sa cosa farne della relazione...", e quindi, in un modo un pò più complesso di "relazione VS tecniche", si può ipotizzare un uso "relazionale" delle tecniche, o, se vogliamo, un uso "tecnico" della relazione...

E questo forse potrebbe essere un terreno di incontro tra professionisti che si occupano dello stesso "oggetto" da punti di vista spesso molto differenti...

#57
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Dr. Giuseppe Santonocito

C'è un proverbio buffo e provocatorio che dice: "Chi non ha il cane va a caccia col gatto".

In TBS relazione e tecnica sono due dei tre pilastri della terapia (l'altro è la comunicazione). Tutti e tre sono indispensabili, ma vanno dosati a seconda del caso.

È impensabile credere di poter curare tutto solo con la relazione, così come di far tutto solo con la tecnica. Dipende anche da cosa s'intende con "curare"; ci sono colleghi che rifiutano o contestano il concetto stesso di psicopatologia.

E dipende anche dal problema alla mano. È chiaro che con un borderline la relazione è fondamentale, però è anche vero che alcune tecniche sono state riconosciute valide nel lavoro con i borderline. Quindi, se funzionano, perché non usarle?

Al contrario, nei disturbi d'ansia puri la relazione è molto meno importante, mentre la tecnica è fondamentale. Non mi risulta sia possibile ad esempio curare panico od ossessioni _solo_ con la relazione.



#58
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Psicoterapeuta

>>"Chi non ha il cane va a caccia col gatto".

Questo me lo segno nella mia "cassetta degli attrezzi"...

#60
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Dr. Roberto Callina

<<Non mi risulta sia possibile ad esempio curare panico od ossessioni _solo_ con la relazione.>>

e qui torniamo a quanto stavo sostenendo; dipende solo dal posizionamento sul "mercato".

<<si può ipotizzare un uso "relazionale" delle tecniche, o, se vogliamo, un uso "tecnico" della relazione...
E questo forse potrebbe essere un terreno di incontro tra professionisti che si occupano dello stesso "oggetto" da punti di vista spesso molto differenti...>>

questo potrebbe essere, effettivamente, un buon punto di incontro.

#61
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> e qui torniamo a quanto stavo sostenendo; dipende solo dal posizionamento sul "mercato".
>>>

Roberto, io però ho fatto un'affermazione opinabile ma precisa ("non mi risulta che") alla quale tu rispondi in termini vaghi.

Puoi specificare meglio cosa intendi con "posizionamento sul mercato"?


#62
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Dr. Roberto Callina

Giuseppe,

intendo che concordo sul fatto che con certi disturbi sia raccomandabile(per ragioni di tempo)un approccio basato su tecniche. Tuttavia, dal mio punto di vista, anche panico e ossessioni possono essere curate con un approccio relazionale; può, però, risultare antieconomico in quanto i tempi di risposta si allungano.

E' proprio questo che intendo con "posizionamento sul mercato". Se devo lavorare con un paziente fobico e rimuovere la fobia preferisco un approccio tecnico. Se l'obiettivo è una ristrutturazione del sè sono decisamente più propenso a un approccio relazionale.

#63
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Dr. Giuseppe Santonocito

Ok Roberto, allora siamo d'accordo.

Leggendo "mercato" anche il mio pensiero era andato subito a: "economico/antieconomico", che però è cosa completamente diversa da: "mercato come luogo di libera concorrenza fra approcci diversi".

Ma se un dato approccio è antieconomico, dato che siamo appunto in un'economia di "mercato", come fa a sopravvivere? Semplice: perché i mercati sono efficienti sono quando le informazioni diffuse sono complete.

Molti utenti non sanno che per togliere una "semplice" fobia non è necessario scavare nel passato alla ricerca di chissà quali traumi reconditi, eppure ancora oggi c'è chi lo sostiene con convinzione, "altrimenti ti ritorna". Il grande pubblico ancora crede in cose come queste, condizionato da secoli d'informazione incompleta.



#64
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Ex utente

Trovo questa discussione estremamente interessante.
Rifacendomi a questo passaggio del Dott. Callina: "E' proprio questo che intendo con "posizionamento sul mercato". Se devo lavorare con un paziente fobico e rimuovere la fobia preferisco un approccio tecnico. Se l'obiettivo è una ristrutturazione del sè sono decisamente più propenso a un approccio relazionale." ---> se un paziente ossessivo o fobico o panicante che sia, viene da lei e le presenta il problema fobia/ossessione/panico, come fa lei a decidere se per il paziente sia + giusto operare una ristrutturazione del sè, e quindi intraprendere un percorso lungo e dispensioso (sia economicamente sia come investimento emotivo e di risorse personali), oppure risolvere il disturbo con delle tecniche?
La psicodinamica ha delle tecniche a disposizione come la TBS o la cognitivo comportamentale? Non ne ero a conoscenza!

Perchè non si puo' puntare, con delle tecniche, PRIMA a lenire la sofferenza del paziente risolvendo i sintomi e POI -se il pz è disposto- andare a lavorare + sul profondo??
E' questo che non riesco a comprendere!!
Sento dire che i pazienti a volte "si accontentano" di togliere i sintomi coi farmaci o con le psicoterapie strategiche... beh io che ho conosciuto la sofferenza che certi tipi di ansia possono causare dico grazie ai farmaci -se servono- e ben vengano le tenciche stretegiche!! Ma no rinuncerei nemmeno ad un lavoro sul profondo!

#65
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Dr. Roberto Callina

Gent.le Utente 253774,

<<se un paziente ossessivo o fobico o panicante che sia, viene da lei e le presenta il problema fobia/ossessione/panico, come fa lei a decidere se per il paziente sia + giusto operare una ristrutturazione del sè, e quindi intraprendere un percorso lungo e dispensioso (sia economicamente sia come investimento emotivo e di risorse personali), oppure risolvere il disturbo con delle tecniche?>>

non sono io a decidere se sia + giusto operare in un modo o nell'altro. L'obiettivo dell'intervento si definisce con il paziente e si struttura nel tempo con il consenso consapevole del paziente stesso.

E per rispondere alle sue altre domande, la terapia psicodinamica, e mi riferisco a quella adleriana cui faccio riferimento (ma il discorso potrebbe essere esteso a tutte le terapie contemporanee di stampo psicodinamico) non utilizza propriamente delle tecniche, bensì un medodo che mira alla cura del sintomo acuto nel minor tempo possibile, eventualmente proponendo anche un supporto farmacologico per lenire, come lei dice, la sofferenza del paziente nelle fasi iniziali del trattamento.

L'obiettivo della cura è il medesimo; il metodo è differente.

Il lavoro sul profondo, sempre per usare parole sue, è qualcosa che viene concordato con il paziente, laddove ci sia la sua volontà e laddove il terapeuta ravveda le capacità introspettive del paziente a lavorare in tal senso (tenga conto che non tutti i pazienti sono adatti ad una terapia psicodinamica intesa in senso "classico").

La relazione, per riprendere il tema di questa discussione, viene utilizzata dal clinico psicodinamico come strumento di cura.
L'analisi del transfert e del controtransfert consente, in un andamento della terapia che va dal supportivo all'espressivo a seconda dei momenti e a seconda delle "capacità" e "caratteristiche" di ogni singolo paziente, di raggiungere gli obiettivi concordati con il paziente stesso.

Un clinico psicodinamico che si proponesse, di fronte a <<un paziente ossessivo o fobico o panicante che sia>>, di offrire come unica soluzione un'analisi del profondo "tout court", non sarebbe, a mio parere, un clinico capace e attento alle "richieste del mercato".

La psicoanalisi classica, quella proposta dalla cinematografia alla "Woody Allen" per intenderci, si pratica oggi solo in contesti particolari e con obiettivi che non sono quelli cui si riferisce questa discussione.

Spero di aver risposto ai suoi interrogativi ma, per qualsiasi chiarimento in merito, resto in ascolto.

Un caro saluto

#66
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Dr. Fernando Bellizzi

E per dirla in termini ericksoniani l'abilità del terapeuta è quella di trovare la modalità d'intervento più adatta alla persona, trovando quel che per quella persona è economico.
Terapeuti esperti hanno a disposizione diversi strumenti nella loro scatola degli attrezzi, proprio per venire incontro alle esigenze del paziente stesso.

Sarà il paziente stesso, esplicitamente o implicitamente, a dare le indicazioni al terapeuta su quale è il metodo che meglio si adatta.

Una scelta a priori vuol dire non tenere conto dell'individualità del paziente stesso: se il paziente ha bisogno di scavare nel passato, si scaverà nel passato, se vuole stare nel presente, si starà nel presente, e se vuole orientarsi nel futuro ci si orienterà nel futuro.

Ed è in questo senso che è la relazione che cura, laddove il terapeuta è in grado di entrare in contatto con la persona, e non con la patologia.

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