E' davvero psicoterapia cognitivo-comportamentale?
Sempre più spesso, nei consulti cui rispondiamo su Medicitalia.it, gli Utenti dichiarano di aver seguito un percorso psicoterapico di orientamento cognitivo-comportamentale (TCC) e di non aver avuto alcun beneficio.
In particolare gli Utenti riferiscono di non aver mai ricevuto prescrizioni di alcun tipo. Alcune volte la perplessità dell’utente riguarda gli obiettivi posti ad inizio trattamento che, in una TCC, mirano immediatamente al riconoscimento di schemi automatici ma disfunzionali che generano e mantengono il problema, e alla modificazione di tali schemi cognitivi e comportamentali; altre volte, i dubbi riguardano la durata della terapia per quei disturbi, come l’ansia o le fobie, che solitamente vengono trattati in tempi più brevi.
Molte persone dichiarano infatti di non aver mai discusso alcun obiettivo in terapia e di non aver compreso bene o affatto quale modalità di funzionamento del pensiero possa creare dei problemi ad es. nelle relazioni interpersonali.
Appare quindi sempre più diffusa la confusione di quei pazienti che, una volta raccolte le necessarie informazioni sul trattamento più adatto al proprio disturbo, sono certi di aver intrapreso una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale, ma magari ricevono un trattamento di altro tipo.
Le ragioni possono essere diverse: considerata l'efficacia di tale trattamento, molti affermano di erogare una TCC. Bisogna tuttavia distinguere tra le tecniche CC, utilizzate anche in altri contesti (ogni genitore che rinforza i comportamenti graditi del figlio è un comportamentista!) e la TCC vera e propria.
Molto spesso le tecniche utilizzate dalla TCC vengono implementate anche in terapie di altro orientamento. Questo può essere sensato, dal momento che tali tecniche sono utilizzate anche in contesti altri rispetto alla TCC (es. in ambito educativo).
In realtà la TCC segue protocolli standardizzati adeguandoli al paziente.
Ma i punti salienti di questo trattamento psicoterapico sono comunque:
- la prescrizione di compiti da eseguire fuori della seduta;
- la compilazione di un diario in cui vengono registrate in prima battuta emozioni, pensieri, comportamenti e situazioni in cui si trova il paziente;
- la discussione col terapeuta di tali annotazioni e di modificazioni degli schemi automatici;
- eventuali frame psicoeducativi durante le sedute;
- durata del trattamento “limitata”*
Soprattutto una TCC aiuta il paziente ad assumere la capacità critica di vagliare in modo razionale il proprio modo di pensare, facendo attenzione alle distorsioni cognitive del paziente, in cui il terapeuta è molto attivo e assume il ruolo di "validatore autorevole". Inoltre aiuta a prendere consapevolezza dei propri schemi cognitivi e comportamentali e ad averne padronanza, permettendo un cambiamento profondo e duraturo.
*La durata "limitata" di un trattamento di tipo cognitivo-comportamentale può variare a seconda della diagnosi posta dal clinico; in genere i trattamenti per i disturbi della personalità hanno tempi decisamente più lunghi rispetto ad una fobia sociale. In molti casi una TCC può durare anche qualche anno.
Quindi l’invito per i lettori del sito Medicitalia.it è di diffidare di chi asserisce di applicare un trattamento di tipo cognitivo-comportamentale ma che non applica nei fatti una TCC.
Per approfondimenti sulla TCC, potete leggere l’articolo allegato del dott. Gianluca Calì.