L'omosessualità si cura? La posizione ufficiale dell'Ordine degli Psicologi

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In un comunicato stampa del 19 Luglio 2011 il Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, dott. Giuseppe Luigi Palma, ha espresso la posizione ufficiale dell'Ordine degli Psicologi in merito all'omofobia (cioè alle reazioni emozionali negative nei confronti delle persone omosessuali) ed alle cosiddette terapie di conversione e riparative (espressione generica che, in modo un pò impreciso, accomuna i tentativi di modificare "terapeuticamente" l'orientamento sessuale di un soggetto, qui un esempio); potete leggere il comunicato integrale qui.

Il contenuto del comunicato non lascia spazio ad interpretazioni; afferma nettamente che l'omosessualità non è una malattia da curare, e che l'orientamento omosessuale non è da modificare.

Il comunicato prosegue affermando, in linea con quanto sostenuto da anni dalla comunità scientifica internazionale, che:

 

  1. affermare che l'omosessualità si "curi" o che l'orientamento sessuale di una persona si debba modificare è non solo scientificamente infondato, ma anche socialmente pericoloso, in quanto alimenta lo stigma e la condanna sociale che, secondo i modelli più accreditati, sarebbe alla base del rifiuto del proprio orientamento omosessuale in molti soggetti ("omofobia interiorizzata")
  2. i tentativi di "conversione" dell'orientamento sessuale non solo falliscono, ma sono iatrogeni (cioè dannosi) per il soggetto
  3. gli Psicologi non derogano dal loro codice deontologico, e non si prestano a questi tentativi, condotti molto spesso su base ideologico-religiosa o su modelli scientifici ormai datati

 

Quanto espresso dall'Ordine non lascia molto campo ad interpretazioni o distorsioni. Personalmente sono in pieno accordo con quanto espresso, sia per ragioni scientifiche che culturali in senso più ampio.

E voi che ne pensate?

Data pubblicazione: 24 luglio 2011

42 commenti

#1
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Dr.ssa Valeria Randone

Ciao Gianluca,
da psico-sessuologa non posso che condividere quanto emanato dall'ordine, ma cosa si dovrebbe curare poi?
Meglio un adulto nevrotico, nella migliore delle ipotesi, ma "ben orientato" o un omosessuale felice e risolto?
I paradossi della nostra società.
Saluti e buon lavoro
Valeria Randone

#2
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Psicoterapeuta

Grazie Valeria! Purtroppo su questo punto c'è ancora parecchia confusione: perchè una persona omosessuale rifiuta di esserlo? Esistono tanti "omosessuali egodistonici" nelle società in cui l'omofobia non è diffusa come lo è nella nostra?

Buon lavoro anche a te!

#3
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Dr.ssa Valeria Randone

Si certo , ma la "presunta cura", non è la redenzione di cattolica memoria....., ma l'eventuale accettazione verso l'egosintonia.
Saluti cari

#4
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Dr.ssa Angela Pileci

"...le cause dell'omosessualità risalgono all'autopercezione del bambino o della bambina nella prima infanzia..."

Questa è una affermazione che di scientifico non ha nulla. Ad oggi non esistono spiegazioni scientifiche in merito ma soltanto ipotesi.

La posizione dell'Ordine mi sembra l'unica possibile.

#5
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Psicoterapeuta

@Valeria: le principali associazioni scientifiche internazionali sostengono la stessa tesi, l'unica strada percorribile (da un punto di vista psicologico, si intende) è il lavoro sull'omofobia interiorizzata.

@Angela: ho citato quest'articolo perchè in nota riporta che è stato revisionato da Nicolosi in persona, e quindi riporta proprio il suo pensiero. Spacciare per "psicologia" un guazzabuglio di frasi fatte, luoghi comuni e moralismo è un'operazione perlomeno in cattiva fede...

#6
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Dr. Giuseppe Santonocito

A me la posizione dell'APA sembra altrettanto assolutista di quella omofoba, solo di segno opposto. Se non esistono prove certe sulla genesi dell'omosessualità, non ha senso qualunque posizione troppo rigida e prescrittiva, che riconosca l'esistenza solo di omofobia interiorizzata e non di genuina egodistonia.

#7
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Psicoterapeuta

@Giuseppe: sarebbe interessante verificare empiricamente se nei Paesi in cui l'omofobia non è culturalmente e socialmente accreditata si registra un tasso di sofferenza, legata ad un'omosessualità egodistonica, elevato quanto quello dei Paesi culturalmente più omofobi.

La questione si potrebbe esprimere pressappoco in questi termini:

"Mi sento sessualmente attratto/a dalle persone del mio stesso sesso, ma non voglio che sia così". E perchè?

Nella maggior parte dei report clinici, si tratta del fatto che non si possono avere figli, che non si può avere una famiglia, che si sconvolgeranno parenti ed amici, etc.

Altrimenti, quale potrebbe essere il motivo?

#8
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Dr. Giuseppe Santonocito

Gianluca, io vedo la questione da un punto di vista diverso, in queesto caso più clinico che statistico.

Dal momento che non ci sono ancora prove conclusive sull'origine dell'omosessualità, non possiamo escludere con assoluta certezza che in alcuni casi (comunque rari e selezionati) la tendenza all'omosessualità possa avere una componente appresa importante.

Ricordiamoci che ogni comportamento, anche sgradevole, ripetuto un numero sufficiente di volte può diventare piacevole. Se una vomiter impara a far diventare il vomito il massimo dei suoi piaceri, per quale motivo dovremmo escludere a priori che qualcuno si "faccia piacere" l'omosessualità?

Se non conosciamo per certo le cause di qualcosa, come si fa a essere trancianti nell'interpretarne le conseguenze?

#9
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Psicoterapeuta

Giuseppe, il punto di vista che esponi mi interessa sopratutto perchè sembra originarsi proprio da questioni cliniche "pure", cioè (per quanto possibile) non ideologiche.

Mi ha fatto pensare a due aspetti:

- a prescindere dalla "causa" dell'omosessualità (ammesso che ne abbia una), quando si lavora con una persona si lavora sul suo presente, e non sulle cause remote (almeno, secondo i modelli cui faccio riferimento)

- indipendentemente da ciò che è avvenuto in passato (che sia apprendimento, che sia biologia, che sia un mix di fattori) la sofferenza che molti clienti omosessuali egodistonici portano si può riassumere in "sono omosex ma vorrei essere etero".

Se approfondiamo un pò la questione, il problema è che spesso considerano l'omosessualità "una cosa sporca", o "contro natura", o "immorale" etc.

E poi rimane un'ultima questione di fondo: non sono a tutt'oggi a conoscenza di studi che depongano a favore della possibilità di convertire un orientamento sessuale senza "danni psicologici" per il soggetto (tranne l'aneddotica riportata da chi effettua queste pratiche), mentre diversi studi sembrano convergere sul fatto che le modifiche sono temporanee, o che sono pagate a caro prezzo

#11
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Dr. Giuseppe Santonocito

Sì, conosco quel documento. L'avevo già segnalato tempo fa in SpazioMedici. Sarebbe di parte dire che si tratta di uno studio di parte?

Anche il modello cui faccio riferimento io lavora sul presente e di solito non considera prioritario il passato. Tuttavia, essere consapevoli delle origini di un certo schema comportamentale può essere determinante ai fini di decidere se e come trattarlo. Se so che è appreso, so che in principio si può anche disapprendere. Ma se dò per scontato che non lo sia (anche se non ne sono sicuro) mi sono già imposto un limite.

Riguardo ai fattori genetici, se come psicoterapeuti dovessimo pensare che siccome uno è predisposto per esempio all'ansia dovrà soffrirne per tutta la vita, sarebbe inutile anche provare ad aiutarlo. Oppure, dovremmo pensare che siccome una ragazza è prediposta a diventare vomiter, anoressica o autolesionista, dovrà esserlo per sempre. Eppure anche la terapia di tutti questi pazienti spesso comporta sforzi, sofferenze notevoli e ricadute, ma nessuno si sognerebbe di dire "è meglio se non ci provate nemmeno, altrimenti i pazienti pagheranno a caro prezzo il tentativo".

In realtà è singolare che la psicologia e la psicoterapia, scienze del cambiamento, abbiano assunto una posizione ufficiale così rigidamente assolutista *solo* a proposito dell'omosessualità. A me sembra altrettanto ideologica di quella di chi vorrebbe "correggere" gli omosessuali per motivi religiosi, solo di segno opposto. Quando c'è di mezzo la sessualità, chissà come mai gli irrigidimenti vengono sempre fuori, anche dalle direzioni più insospettabili...

Riguardo agli studi disponibili sui tentativi di "conversione" riusciti, neanche a me ne risultano. Ma quei "tentativi di modifica pagati a caro prezzo" bisognerebbe andare ad analizzarli a fondo: che aspettative sono state alimentate nei pz., che tipi d'interventi fatti, quali erano le convinzioni dei terapeuti in merito, in che modo il desiderio di cambiamento del pz. è stato ristrutturato dal terapeuta ecc.

#12
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Psicoterapeuta

>>Sarebbe di parte dire che si tratta di uno studio di parte?

Forse sì, ma non ci vedrei nulla di male! ;D

Relativamente al discorso sull'apprendimento, in linea teorica non è nè più nè meno fondato di tutte le altre ipotesi al momento "in gioco".

Il paragone con il vomiting, con l'anoressia o con l'autolesionismo centra secondo me il punto intorno cui stiamo ragionando: il problema "comportamento normale vs patologico".

Sarebbe come ipotizzare che, dato che molte persone anoressiche provano un forte disagio per la loro immagine corporea, in linea di principio dovremmo aiutarle a modificarla per eliminare l'egodistonia.

Il fatto è che, mentre le conseguenze del vomiting, dell'anoressia o dell'autolesionismo sono biologicamente dannose per il soggetto, le "conseguenze dell'omosessualità" sono psicologicamente dannose solo per chi viva l'essere omosessuale come in conflitto con altri aspetti di Sé (ad esempio, il codice morale o l'immagine sociale).

In questo caso, mi sembra clinicamente più economico lavorare su tale conflitto che sulla struttura del soggetto.

Credo che la posizione che definisci "assolutista" del "mondo psi" nei confronti dell'omosessualità si possa spiegare agevolmente sia per lo stigma sociale di cui sono a tutt'oggi vittima le persone omosessuali in molti Paesi (compreso il nostro), sia per il fatto che le conseguenze di tale stigma sono spesso molto violente (vedi le aggressioni omofobe che spesso sono riportate dai media), mentre altri comportamenti o modi di essere non sono altrettanto censurati o "pericolosi".

#13
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Dr. Armando De Vincentiis

sono anch'io d'accordo sul fatto che certe posizioni sianno estreme in antrambe le parti. Un eccesso di moralismo in entrambi gli schieramenti. un sentimento esageratamente religioso che vorrebbe modificare l'orientamento sessuale se considerato contro natura ed un sentimento moralisticamente opposto che tende verso una assoluta accettazione che considera scandaloso il tentativo di "riforma sessuale".
Concordo con Giuseppe sul fatto che se non si hanno certezze sull'origine di un comportamento non è scientificamente plausibile assumere posizioni estreme e, secondo me, moralistiche in senso opposto come quelle dell'APA, per non dire "bonariamente" di parte.
Vi sono situazioni in cui la scelta omosessuale è l'unica possibile per sublimare una inibizione verso il sesso opposto, determinate incompetenze sociali/relazionali o fobie di qualche genere. Queste a priori andrebbero non considerate per far fronte a certe posizioni assolute? No, non ci siamo affatto! Altrimenti dovremmo lavorare per l'accettazione di comportamenti dettati da personalità evitanti, fobie sessuali, inibizioni e cose simili.
Se si dovesse creare qualche comitato per i diritti della personalità evitante, forse, anche per questa si lavorerebbe sulla sua accettazione.
Qui non è la scienza che detta le regole ma la cultura. ed i poveri omosex egodistonici devono sentirsi dire, devi accettarti per quello che sei.


#14
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Qui non è la scienza che detta le regole ma la cultura. ed i poveri omosex egodistonici devono sentirsi dire, devi accettarti per quello che sei.
>>>

Esatto, quella dell'APA è una posizione ideologica dettata da pressioni culturali ed emotive, più che da riflessioni scientifiche approfondite.

>>> Relativamente al discorso sull'apprendimento, in linea teorica non è nè più nè meno fondato di tutte le altre ipotesi al momento "in gioco".
>>>

Benissimo, e quindi, se non ci sono certezze, perché assumere posizioni conclusive e trancianti come quella dell'APA?

Non ci dimentichiamo di Popper.

>>> Il fatto è che, mentre le conseguenze del vomiting, dell'anoressia o dell'autolesionismo sono biologicamente dannose per il soggetto, le "conseguenze dell'omosessualità" sono psicologicamente dannose solo per chi viva l'essere omosessuale come in conflitto con altri aspetti di Sé (ad esempio, il codice morale o l'immagine sociale).
>>>

Le conseguenze psicologiche non sono meno gravi di quelle biologiche. E anche se interessassero una sola persona, per me sarebbero sempre degne di essere considerate. La statistica ci vuole, ma prima viene la clinica.

Per chi non è omosessuale può essere scontato arrivare alla tua conclusione: sei gay, fattene una ragione. Ma se andiamo ad ascoltare le ragioni dei gay egodistonici, non è codesto il quadro che viene fuori. Parlando di economia, per queste persone è molto più antieconomico accettarsi.

>>> Credo che la posizione che definisci "assolutista" del "mondo psi" nei confronti dell'omosessualità si possa spiegare agevolmente sia per lo stigma sociale di cui sono a tutt'oggi vittima le persone omosessuali in molti Paesi (compreso il nostro), sia per il fatto che le conseguenze di tale stigma sono spesso molto violente (vedi le aggressioni omofobe che spesso sono riportate dai media), mentre altri comportamenti o modi di essere non sono altrettanto censurati o "pericolosi".
>>>

E quindi si ritorna al punto di partenza: quella dell'APA è una posizione ideologica, dettata da pressioni culturali ed emotive, volta addirittura a promuovere certi modelli culturali invece di altri. Ma la scienza mi pare che c'entri poco.

#15
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Psicoterapeuta

>>Vi sono situazioni in cui la scelta omosessuale è l'unica possibile per sublimare una inibizione verso il sesso opposto, determinate incompetenze sociali/relazionali o fobie di qualche genere.

Questo è un altro aspetto interessante. Ipersemplificando, se dovessi concettualizzare un caso come quelli che descrivi, non lo considererei un caso di "omosessualità egodistonica", ma un caso di fobia sociale, di inadeguate social skills etc.

In questo caso, non si tratta di re-orientare un orientamento sessuale "distorto", ma di aiutare il soggetto a sviluppare quelle competenze o rimuovere quegli ostacoli che rendono così doloroso e difficoltoso rapportarsi con l'altro sesso.

E non è solo questione di "etichette verbali": si tratta proprio di un'altra impostazione nella pianificazione del trattamento (obiettivi, metodologie, tecniche).

>>Le conseguenze psicologiche non sono meno gravi di quelle biologiche. E anche se interessassero una sola persona, per me sarebbero sempre degne di essere considerate. La statistica ci vuole, ma prima viene la clinica.

Condivido. Infatti non suggerisco un "non-intervento", ma un intervento che abbia obiettivi diversi, cioè la risoluzione (per quanto possibile) del conflitto tra orientamento sessuale e sistema cognitivo-valoriale. In questi casi, è il cliente a scegliere, ma noi siamo liberi di assumerci la responsabilità di condividere o meno un suo obiettivo terapeutico, e per me anche questo è fare terapia.

Se arrivasse in studio una persona che vuole "cambiare il suo orientamento sessuale" (in un senso o nell'altro) riterrei prioritario effettuare un assessment adeguato ed una accurata formulazione del caso. In terapia cognitivo-comportamentale ogni caso è storia a sè, e la case-formulation va effettuata construendo un modello condiviso e verosimile di funzionamento di ogni persona.

Per cui, accogliendo il tuo suggerimento, declinerei le proposte operative caso per caso.

Ma non accolgo l'idea che l'omosessualità derivi tout-court da un conflitto con la figura paterna, da una distorsione dello sviluppo psicosessuale o da altri fattori non dimostrabili (ricordate i danni che hanno prodotto decenni di ipotesi psicogenetiche dell'autismo?); sono più propenso a valutare e formulare un'ipotesi funzionale e di sviluppo caso per caso, e questo è poco compatibile con l'idea che "l'omosessualità si possa curare".

Estenderei la valutazione di Giuseppe alla scienza tutta: il modello scientifico è una posizione ideologica, e presuppone visioni del mondo, della realtà inter-umana e prassi, come tutti i modelli ideologici.

#16
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Estenderei la valutazione di Giuseppe alla scienza tutta: il modello scientifico è una posizione ideologica, e presuppone visioni del mondo, della realtà inter-umana e prassi, come tutti i modelli ideologici.
>>>

Assolutamente no! La differenza fra scienza e ideologia è che alla seconda interessa poco dei dati empirici. Come diceva Hegel: "Se i fatti non si conformano alla teoria, tanto peggio per i fatti".

La scienza può partire con ipotesi anche forti, ma poi queste devono essere accettate o respinte sulla base dei dati. Altrimenti non è scienza ma ideologia.

Riguardo all'argomento di cui stiamo parlando, quella dell'APA è una posizione ideologica, mentre quella scientifica è: finché non ci sono dati più certi, non è corretto assumere posizioni definitive.

Ti faccio notare inoltre che la questione non è solo scientifica o ideologica, ma anche NORMATIVA, perché dal momento che l'APA o un Ordine emettono un editto, anche se basato su un'ideologia, tutti sono tenuti a rispettarlo. E questo con la scienza ha veramente poco a che fare.

Per il resto, anch'io credo che nella maggior parte dei casi di persone gay che non accettano il proprio orientamento sessuale si tratti di risolvere la non accettazione (che però a me sembra improprio chiamare "omofobia interiorizzata"). Credo però che in alcuni casi, rari e selezionati, non si tratti di questo.

#17
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Psicoterapeuta

>>La scienza può partire con ipotesi anche forti, ma poi queste devono essere accettate o respinte sulla base dei dati. Altrimenti non è scienza ma ideologia

Se ti riferisci all'accezione marxista di "ideologia", sono d'accordo con te.

Ma se prendiamo in considerazione la ricerca sociologica successiva (ad esempio, Weber, Lukács, Mannheim etc.), allora l'indagine sul rapporto tra conoscenza, realtà, scienza ed ideologia si fa un pò più complessa (sicuramente, più che in Hegel!). Semplificando, ad un'accezione più ampia di ideologia se ne affianca una più "debole", che presuppone che ogni processo conoscitivo origini da un sistema di valori, presupposti più o meno impliciti, cardini interpretativi che hanno statuto di validità ontologica all'interno del sistema stesso.

Questo vale per ogni sistema conoscitivo; altrimenti, dovremmo ipotizzare una forma di "oggettivismo" che identifica l'atto del conoscere come isomorfo all'oggetto conosciuto.

Dovremmo così presupporre una scienza "pura", e mi sembra che la realtà non lo confermi. Se mi parli di "metodo scientifico" (a livello teoretico), sono d'accordo; se mi parli di scienza, no.

E nessun operatore sanitario (che sia Medico o Psicologo) agisce prassi che sono scientificamente "pure"; basti pensare alle pressioni economiche e politiche che influenzano il "curare".

La posizione dell'APA è: proprio perchè non esistono dati certi, definire l'omosessualità una "patologia da curare" è esattamente una posizione ideologica "in senso ampio", cioè determinata esclusivamente da fattori socio-culturali e valoriali esterni all'indagine scientifica (e che pertanto in essa non hanno statuto).

Condivido che in alcuni casi, rari e selezionati, non si tratti semplicemente di "accettare la propria omosessualità"; ma penso che il discorso sia più complesso che "ri-orientare" in senso eterosessuale la persona; in questi casi, non si cura l'omosessualità, si affronta il problema di una struttura di personalità (secondo i modelli cui faccio riferimento, una struttura cognitiva) fragile, estremamente incoerente, inflessibile etc.

#18
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Condivido che in alcuni casi, rari e selezionati, non si tratti semplicemente di "accettare la propria omosessualità"; ma penso che il discorso sia più complesso che "ri-orientare" in senso eterosessuale la persona; in questi casi, non si cura l'omosessualità, si affronta il problema di una struttura di personalità (secondo i modelli cui faccio riferimento, una struttura cognitiva) fragile, estremamente incoerente, inflessibile etc.
>>>

Bene, quindi nel merito mi pare che siamo d'accordo. Anch'io penso che in tali casi non si tratti di riorientare, ma di riportare alla luce un orientamento sessuale "originale" che potrebbe essere stato sepolto da schemi comportamentali, abitudini e atteggiamenti confusivi. Notare perciò che qui avrebbe perfettamente senso parlare di perversione.

Sull'APA, anche se vogliamo rendere sfumata e graduale l'idea di ideologia, trovo che la loro posizione sia ben più ideologica della nostra, perché loro dicono, normativamente: "Non si dovrebbe tentare MAI in nessun caso". Invece noi stiamo dicendo: "Forse, in alcuni casi si potrebbe".

È in questo senso di normatività assoluta, anti-popperiana, che l'APA è fortemente ideologica: esclude a priori la possibilità che esistano cigni neri. E ovviamente, dato il suo potere e la sua influenza, assumendo tale posizione rende meno probabile che qualche psicoterapeuta ribelle faccia "outing" e affermi: "Io l'ho fatto, ci sono riuscito!"

Non so, per me è così evidente che si tratta di un'ideologia identica a quelle omofobo-religiose e antiscientifiche, solo di segno opposto.

#19
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Psicoterapeuta

>>Bene, quindi nel merito mi pare che siamo d'accordo. Anch'io penso che in tali casi non si tratti di riorientare, ma di riportare alla luce un orientamento sessuale "originale" che potrebbe essere stato sepolto da schemi comportamentali, abitudini e atteggiamenti confusivi. Notare perciò che qui avrebbe perfettamente senso parlare di perversione.

No, proprio su questo siamo in disaccordo.

Per me non si tratta nè di ri-orientare, nè di riportare alla luce orientamenti originali.

I pochi casi a cui mi riferivo non sono pochi casi in cui riorienterei il soggetto; mi riferivo a specifici quadri di personalità in cui il "comportamento" omosessuale è esito, più che di un "orientamento" omosessuale, di una generale confusione identitaria.

Ed anche in questi casi l'obiettivo non sarebbe la modificazione di una "perversione", bensì la ridefinizione di una struttura cognitiva.

Se no, non si comprende perchè dovrebbe essere egodistonico.

Possiamo ragionarci caso per caso, ma secondo me la posizione dell'APA e dell'Ordine nazionale riassume una responsabilità che, oltre che scientifica, è anche culturale e sociale, e che condivido.

Secondo me è una posizione ideologica come lo sono tutte le posizioni di principio, ma almeno si basa su dati di ricerca.

#20
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> generale confusione identitaria [...] ridefinizione di una struttura cognitiva
>>>

Scusa, e quale sarebbe la differenza rispetto a: "riportare alla luce l'orientamento originale"? Altrimenti la "generale confusione identitaria" sarebbe su... cosa?

Stai per caso dicendo che non sarebbe politically correct ipotizzare un "orientamento originale da riportar fuori", e che quindi il concetto andrebbe ridefinito in modo più indolore?

>>> responsabilità che, oltre che scientifica, è anche culturale e sociale, e che condivido.
>>>

Accetto la tua posizione, io invece sono convinto che gli interessi di salute dell'individuo che si rivolge a noi contino più della cultura.

>>> Secondo me è una posizione ideologica come lo sono tutte le posizioni di principio, ma almeno si basa su dati di ricerca.
>>>

Si basa su dati di ricerca che andrebbero approfonditi per vedere, ripeto, quali aspettative sono state alimentate nei pz, che tipi d'intervento sono stati fatti, quali le convinzioni dei terapeuti, in che modo il desiderio di cambiamento dei pz è stato accolto e/o ristrutturato dal terapeuta ecc.

Fatto nel modo dovuto, un tentativo di "risolvere una generale confusione identitaria" non sarebbe certamente più pericoloso del tentativo d'intervento su altri disturbi.

E comunque non aver mai visto un cigno nero non dà diritto ad affermare che non ne esistano. Non lo dà nemmeno all'APA.

A meno che, naturalmente, lo si sia visto ma si sia chiuso un occhio...

https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/1152-ricerca-cattiva-scienza-e-cattivi-risultati.html

#21
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Psicoterapeuta

>>Scusa, e quale sarebbe la differenza rispetto a: "riportare alla luce l'orientamento originale"? Altrimenti la "generale confusione identitaria" sarebbe su... cosa?

L'obiettivo, il che non è politicamente corretto, bensì metodologicamente coerente (almeno nel modello cui mi rispecchio).

Provo a schematizzare con una vignetta clinica (è fiction, ogni riferimento a fatti o persone reali è solo casuale).

Giovane adulto, si rivolge a consulenza per comportamenti omosessuali cui non sa resistere e che gli procurano disagio nei giorni successivi. Chiede di modificarli ed aiutarlo a "resistere alle tentazioni".

Ipotizziamo diverse possibilità di formulazione del caso:

- esempio1: ha difficoltà con l'altro sesso, non è mai riuscito ad avere rapporti sessuali etero soddisfacenti per problemi di eiaculazione precoce, ha "dirottato" il suo comportamento su opzioni omosessuali per non confrontarsi con le sue difficoltà erettili -> su cosa intervengo? Lo "ri-oriento"? O lo aiuto a ridefinire la domanda, poichè so che definire "proibito" qualcosa lo rende molto più appetibile, e che "imporsi di resistere" agli impulsi sessuali bene bene non fa?

- esempio 2: non sa se è eterosessuale, omosessuale, cosa vuole, quali obiettivi ha, se rimanere a casa con i suoi o andare in giro per il mondo a fare l'artista di strada, se studiare o tentare carriera militare, se perseguire l'obiettivo di una famiglia o cercare avventure sessuali senza coinvolgimento -> Si potrebbe intervenire su una ridefinizione di obiettivi, sull'implementazione della capacità di scegliere (e quindi di tollerare la frustrazione delle opzioni che abbandoniamo), a fare un bilancio delle proprie life skills etc. Anche in questo caso, lo ri-oriento?

- esempio 3: sente pulsioni omosessuali ma gli fa schifo. Domanda: come è possibile? Cosa vuol dire? Cosa gli fa schifo, il rapporto con persone dello stesso sesso? Se sì, cosa lo attrae? Il fatto che lo trovi disgustoso? Ricava eccitazione da pratiche sessuali in cui è implicato il disgusto? -> Si potrebbe ipotizzare una confusione nei sistemi motivazionali, per cui si attivano sistemi generalmente antagonisti. Va approfondito.

Come vedi, non è una questione di correttezza formale; è un problema di metodologia clinica, che implica il modo in cui effettuiamo l'analisi della domanda. Se accogliessimo tutte le richieste che ci vengono portate esattamente per come vengono formulate, il nostro lavoro, almeno secondo il mio modello, sarebbe parecchio meno efficace ed efficiente.

Sono pienamente d'accordo sul fatto che la contrapposizione ideologica (che pure c'è, non voglio negarlo) nuoce alla ricerca (il quadretto sui risultati della ricerca che hai linkato è molto intelligente e raffinato!).

Ma la ricerca, attualmente, non ha escluso che si possa modificare l'orientamento sessuale (del resto, sai meglio di me che la scienza non può dimostrare l'impossibilità di un evento, al più può affermare che una data preposizione non è verificata!).

Ha mostrato come chi afferma di poterlo modificare non solo non è riuscito a provare di poterlo fare (l'onere della prova è di chi afferma!), ma ha anche prodotto degli "effetti collaterali" a livello individuale e collettivo (e la psicologia sociale e quella clinica si occupano anche di questo livello, ed a pieno diritto!) negativi per i soggetti e per le comunità in cui vivono.

#22
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Dr. Giuseppe Santonocito

>>> Ma la ricerca, attualmente, non ha escluso che si possa modificare l'orientamento sessuale
>>>

Ma il punto è proprio questo!

La RICERCA non l'ha escluso, ma l'APA e l'Ordine t'impongono normativamente di NON fare ricerca per vedere come stanno le cose! Ed è questo che trovo inaccettabile!

Almeno, questo è ciò che ho capito io.

Se l'APA dicesse: "Ok, i dati finora in nostro possesso dicono che provarci potrebbe essere controproducente e troppo costoso, tutto considerato. Ma se, da professionisti responsabili, prendendo tutte le precauzioni del caso e dopo che un'analisi della domanda feroce rivelerà che potrebbe valer la pena tentare, potete farlo", non avrei nulla da eccepire.

Invece a me sembra che l'APA in buona sostanza dica: "I dati in nostro possesso vi proibiscono di raccogliere altri dati".

Questo ti pare atteggiamento scientifico?

Sto dando per scontato che un'analisi della domanda approfondita è certamente indispensabile. Per questo ho parlato di "casi rari e selezionati".

#23
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Psicoterapeuta

>>Invece a me sembra che l'APA in buona sostanza dica: "I dati in nostro possesso vi proibiscono di raccogliere altri dati".

Non so, mi sembra un lettura un pò forzata. Non mi sembra che nè nel comunicato dell'Ordine nè nelle linee-guida APA si vieti la ricerca, anche perchè questi ultimi raccolgono pagine e pagine di dati provenienti proprio dalla ricerca; ma i protocolli di ricerca si elaborano in situazioni molto, molto controllate.

Credo che la loro presa di posizione sia più relativa alle svariate figure che si propongono, spesso appoggiate da questo o quel gruppo di influenza, come "salvatori di omosessuali e delle loro famiglie".

E praticare interventi selvaggi, senza alcun razionale se non pasticci come quelli di Nicolosi, mi sembra molto a-scientifico!

#24
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Dr. Giuseppe Santonocito

Nicolosi agisce in base a convinzioni religiose e la religione è pur sempre una forma d'ideologia. Perciò, i movimenti che perseguono il fine della "riconversione" di tutti gli omosessuali indiscriminatamente, per motivi ideologici, stanno sullo stesso piano dell'APA, solo con segno opposto.

A meno che le cose non stiano come suggerisci tu e l'APA fosse più possibilista. A me però non sembra.