Craving: la dipendenza da social nella versione di Seneca
La traccia di latino per la maturità classica quest'anno era una versione di Seneca. Seneca lo ricordo come autore traducibile con fatica intermedia, si prestava molto ai compiti in classe o alle versioni per casa. Scriveva di argomenti morali, in generale sulla linea dell'elogio della moderazione nei costumi.
In realtà alcuni di questi passi sono considerazioni tanto semplici quanto centrate sul piano psichiatrico e biologico. Stupisce come la ricostruzione dei comportamenti fuori controllo, o deviati verso un'unica direzione, o inconcludenti, sia una specie di osservazione clinica.
Il desiderio di mostrarsi secondo Seneca
In questo brano Seneca se la prende con chi è ossessionato dal mostrarsi, argomento quanto mai attuale se si pensa alla questione dei comportamenti e delle tendenze collettive indotte dalla visibilità sociale virtuale.
Il fatto di essere visti fa nascere il desiderio di compiere certe azioni, dal vestirsi e acconciarsi, alle sfide, agli atti di aggressività gratuita, verso la ricerca di una approvazione o gradimento.
Direbbe Seneca oggi: senza i like, non si posterebbe quasi nulla.
Ma se i like ci mettono di buon umore, che male c'è? Risponderebbe Seneca: perché esibirsi e riscuotere approvazione svuotano la propria identità se sono fondati sull'esteriorità.
Divenire dipendenti dalla propria immagine riflessa negli altri è una gabbia. La ricerca dell'approvazione, che può anche ingenuamente nascere come bisogno di condivisione di gioie, piaceri e bellezze, facilmente scivola nella dipendenza, ed è qui che il desiderio fisiologico si transforma in “inritamentum”, cioè quello che oggi si direbbe craving.
Dice infatti Seneca “La smania di desiderio infatti consiste nell'ammirazione e nella ricerca di complicità con tutto ciò che l'accende fino a perdere il controllo”. Il latino è molto più secco, con meno parole, eppure contiene in sé anche la distinzione tra patologico e fisiologico. Ad esempio, il desiderio è una cosa, l'inritamentum è diverso, dà l'idea di un'infiammazione del desiderio, e non in senso benigno, come un fuoco che arde impetuoso, ma come un bruciore, una puntura che non lascia in pace, una smania appunto, che peggiora la capacità di gestire l'oggetto del desiderio stesso e di ottenere la resa che si vorrebbe.
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Chi è dipendente, non si distingue massimamente da chi non è interessato allo stesso oggetto: l'alcolista non è cioè il contrario dell'astemio. L'alcolista è il contrario del bevitore non alcolista. Uno ha il desiderio, l'altro ha l'inritamentum per l'alcol.
Ora, Seneca in realtà vorrebbe suggerire che certe voglie partono già in maniera distorta, cioè ne fa una questione di morale generale, e non di patologia. Mostrarsi con begli abiti per lui già è un inritamentum, sfoggiare un rolex, un'auto, far vedere i soldi organizzando feste lussuose, e così via. Ma un legame esiste, perché in effetti un legame che nasce già in questo modo, cioè su oggetti esterni, che servono a “dare un'impressione” porta facilmente ad una perdita di controllo. Il principio, secondo Seneca, è che è un piacere non fondato sulla sostanza, ma su una illusione: illusione di chi guarda, e illusione di chi si fa guardare. Ad essere ingannato dall'esteriorità non è solo colui che ammira, ma anche chi è ammirato, perché vive di un'ammirazione basata sul nulla. Chi è ammirato per elementi esterni, senza questi elementi non è più nessuno.
In questo concetto rientrano sicuramente anche le cose che danno dipendenza, perché sono effettivamente elementi esterni. Nelle dipendenze, si potrebbe dire, alla fine la questione non è di esibizione, ma tra sé e l'oggetto da cui si è dipendenti. Se uno dipende dai social, dipende dalla visibilità. Ma se è dipendente dall'alcol, la visibilità non c'entra. L'alcolista, e chiunque sia preso i una dipendenza, è anzi solitario, e non condivide con gli altri la sua condizione, se non per convenienza, non certo per esibizione.
Però, biologicamente, la frase di Seneca torna, ed è ancora più esatta. Non si riferisce infatti alla presenza di spettatori veri e propri, alla lettera.
La “smania di desiderio” nella dipendenza ha due caratteristiche: è admirator dell'oggetto della dipendenza, cioè lo vede, ogni volta, con lo stupore positivo di chi scopre ed è colpito da una cosa. Lo desidera come fosse qualcosa di attraente, che va preso come oro, che non va fatto sfuggire, e anzi come l'oro va cercato e setacciato.
Il dipendente non si annoia, non si raffredda, come gli accade per ciò da cui non è dipendente; come accade a tutti noi dopo un po' come la maggior parte delle cose che ci piacciono. Egli si innamora della cosa da cui è dipendente, e rimane in una fase di innamoramento, magari di amore-odio, per la consapevolezza dei danni che si sta facendo, ma non si riesce a distaccare per lo sviluppo di un disinteresse.
Poi c'è la seconda caratteristica: conscius. Chi cerca la sostanza è in sintonia con il proprio desiderio, non lo fa “al di là” della sua volontà, lo fa se mai al di là della sua intenzione. La volontà c'è, ed è “piratata” ma nel senso che è corrotta (come direbbe Seneca), o hijacked (come direbbero gli autori inglesi, con un termine che si usa per il dirottamento degli aerei per esempio). Diremmo con un termine più neutro, che la volontà è cavalcata dal desiderio, che la dirige in maniera talmente imperativa da non lasciare spazio ad altro orientamento. Si intende, la volontà è piratata se parliamo dell'oggetto della dipendenza, mentre per il resto può essere intatta.
Il desiderio è conscius di sé, e in cerca di complicità: il rapporto tra alcolista e alcol, tra cocainomane e cocaina, tra giocatore patologico e gioco, è di complicità: l'oggetto è vissuto come fosse un amico con cui basta uno sguardo, non servono parole: sa esattamente di cosa hai bisogno ed lì per assecondarti.
Quindi, chi ha una dipendenza è come se vivesse nell'ammirazione segreta (mista magari a odio) e nella ricerca di complicità con l'oggetto della sua dipendenza. Come se fosse un qualcosa da cui pretende soddisfazione, spendendosi per esso. E in effetti anche chi si mostra, ed è schiavo dell'apparire, altro non fa che questo: si spende per costruire un'immagine attraente, e poi vive del ritorno dell'attrazione che produce sugli altri, e che misura in like, in soldi, in fama.
Guarda il video: 3 domande sulla dipendenza da Internet
Esiste una nuova dipendenza da social?
È in studio se questo tipo di dipendenza da social sia effettivamente una nuova forma di dipendenza, resa possibile dalla velocità con cui ci si può rapportare agli altri. Nell'antica Roma per constatare il gradimento si doveva attendere le occasioni pubbliche, mentre invece oggi vi è un canale continuo che consente il mostrarsi e il verificare il risultato. La “debolezza” dell'apparire, quella contro cui Seneca si scaglia, è sempre esistita. La dipendenza forse è un fenomeno recente, e forse è davvero definibile al pari delle altre dipendenze, come un qualcosa che recidiva nel tempo, da cui non si esce, a costo di farsi anche del male, o di fare cose inutilmente rischiose.
Per alcuni ne è un esempio il caso dei Borderline e dell'incidente fatto durante una delle “prove” per guadagnare visualizzazioni, per altri i casi di storie “inventate” da alcuni personaggi per far parlare di sé, senza prevedere o saper gestire poi la fase in cui le invenzioni vengono a galla. O anche casi di personaggi che sembrano, ad un certo punto, preferire una visibilità negativa, criminale, o problematica, piuttosto che niente, senza riuscire a fermarsi o retrocedere nella scala della popolarità. Sotto ci sono una serie di soggetti che invece si affannano a crescere con i propri like, spesso arrampicandosi sugli specchi, o con un netto prevalere dei video, discorsi e post sull'effettivo “perché” della loro presenza social, la quale diventa una presenza fine a se stessa, cioè un inritamentum. Non essere per poi apparire anche, e goderne, ma apparire per essere.
Certi disturbi di personalità trovano in questo una maschera automatica, come per i tratti narcisistici o istrionici. Ma il punto è l'aggravamento che si può ottenere al di là del modo in cui si entra in determinati meccanismi. Il meccanismo è sempre qualcosa che ha a che vedere con la rapidità dello scambio tra persona e fonte del piacere (che sia una droga o un click) e dalla vivacità del desiderio di partenza. Poiché nella fisiologia è auspicabile che abbiamo vivaci desideri, siamo esposti quasi tutti, se stiamo bene.
Non est per se magistra innocentiae solitudo nec frugalitatem docent rura, sed ubi testis ac spectator abscessit, vitia subsidunt, quorum monstrari et conspici fructus est. Quis eam quam nulli ostenderet induit purpuram? Quis posuit secretam in auro dapem? Quis sub alicuius arboris rusticae proiectus umbra luxuriae suae pompam solus explicuit? Nemo oculis suis lautus est, ne paucorum quidem aut familiarium, sed apparatum vitiorum suorum pro modo turbae spectantis expandit. Ita est: inritamentum est omnium in quae insanimus admirator et conscius. Ne concupiscamus efficies si ne ostendamus effeceris. Ambitio et luxuria et inpotentia scaenam desiderant: sanabis ista si absconderis. Itaque si in medio urbium fremitu conlocati sumus, stet ad latus monitor et contra laudatores ingentium patrimoniorum laudet parvo divitem et usu opes metientem. Contra illos qui gratiam ac potentiam attollunt otium ipse suspiciat traditum litteris et animum ab externis ad sua reversum.
Per approfondire:Generazione Z a rischio dipendenza
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