Gli antidepressivi sono ancora utili?
La domanda, in forma più o meno velata, è stata posta nelle ultime settimane su molti giornali popolari dopo un articolo apparso il 22 luglio 2022 su Molecular Psichiatry a firma di un team di ricercatori guidati da Joanna Moncrieff (1) che, come si evince dal suo profilo su Wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Joanna_Moncrieff) è: “Professore di psichiatria sociale allo University College di Londra e autorevole critico del moderno modello psicofarmacologico dei disturbi mentali e del [loro] trattamento farmacologico, nonché del ruolo dell’industria farmaceutica”.
Correlazione tra depressione e serotonina
I risultati della ricerca sono stati espressi in un'intervista rilasciata dagli autori alla rivista medica online “Medscape”(2): “Non abbiamo riscontrato evidenze rilevanti (…) che esista una correlazione fra serotonina e depressione e non abbiamo trovato supporto all’ipotesi che una bassa attività o concentrazione della serotonina siano responsabili della depressione.
Se non esistono evidenze che la depressione sia dovuta a bassi livelli di serotonina, (…) dovremmo dire ai pazienti che un antidepressivo può avere una qualche utilità nell’attenuare i sintomi, ma che è estremamente improbabile che sarà la soluzione o la cura dei loro problemi.
È noto da tempo negli ambienti accademici che non ci sono evidenze valide di bassi livelli di serotonina nella depressione, ma le compagnie farmaceutiche hanno ingigantito l’ipotesi dello squilibrio biochimico e dei bassi livelli di serotonina [nella genesi della depressione].
La ricerca di una singola causa chimica all’origine della depressione è probabilmente sbagliata perché esistono solide evidenze che le circostanze della vita - eventi stressanti, povertà, insicurezza sul lavoro, relazioni - hanno un grande impatto nel rischio di depressione”.
Le conclusioni della professoressa Moncrieff sono state: “Percentuali epidemiche della popolazione inglese stanno assumendo in questo momento antidepressivi. Migliaia di persone soffrono dei loro effetti collaterali, inclusi importanti sintomi di astinenza quando cercano di sospendere la terapia, ma, nonostante tutto, il numero di prescrizioni aumenta. Questa situazione è alimentata della falsa credenza che la depressione sia dovuta a uno squilibrio biochimico. È arrivato il momento di informare il pubblico che questa ipotesi non ha fondamenti scientifici”.
I risultati dello studio e le deduzioni degli autori sono state riportate con enfasi (e approvazione più o meno esplicita) su molti giornali nazionali ed esteri. Cito fra tutti il commento del 3 agosto su “La Repubblica”(3): “La ricerca supera la tesi secondo la quale la depressione è solo "un prodotto della biochimica del cervello" che ha generato l'idea che c'è bisogno di una sostanza chimica (il farmaco) per curarla”.
Ritengo le conclusioni degli autori del lavoro una generalizzazione impropria dei risultati pubblicati.
L'inconsistenza della teoria serotoninergica della depressione è nota da tempo e non può essere generalizzata fino “all’assenza di un globale squilibrio biochimico nella patogenesi della depressione”, visto che Moncrieff e collaboratori non forniscono alcun dato scientifico a supporto di quest’ipotesi.
Inoltre, queste affermazioni, amplificate dalla stampa popolare, possono avere potenziali e gravi conseguenze per i milioni di persone che assumono antidepressivi con beneficio e potrebbero, nel dubbio di star seguendo una terapia inutile (se non dannosa), sospenderla con possibili e gravi ricadute del disturbo di cui soffrono.
Il ruolo degli antidepressivi
A questo proposito, va ricordato che la depressione non è un capriccio o una debolezza, bensì un disturbo REALE, a volte grave e resistente ai trattamenti farmacologici e psicoterapici disponibili, e che colpisce ogni anno in Italia circa 2.6 milioni di persone (4).
I primi antidepressivi sono stati scoperti nei primi anni ’60. Gli studi di laboratorio hanno rivelato che tutti questi farmaci aumentano la concentrazione sinaptica delle monoamine (in particolare serotonina e noradrenalina, alcuni anche dopamina). Da qui, l’origine della “teoria serotoninergica” della depressione, criticata dai recenti dati di Moncrieff.
Quello che gli autori non dicono è che questa teoria è stata superata da molto tempo e che il meccanismo d’azione degli antidepressivi, seppure in parte legato all’incremento della concentrazione sinaptica delle monoamine, è molto più complesso.
Con la scoperta dei meccanismi biochimici (che l’articolo tende a escludere come causa della depressione), cellulari e genetici che presiedono al funzionamento del cervello, la ricerca del meccanismo d’azione degli antidepressivi si è spostata sulla neuroplasticità, cioè le modificazioni dell’attività dei circuiti cerebrali che sono alla base dell’attività cerebrale (5) e di cui ho ampiamente parlato nei miei due recenti articoli sul connettoma a cui rimando il lettore interessato.
Nassir Ghaemi, psicofarmacologo di fama internazionale e docente di psichiatria alla Harvard Medical School, interrogato sui risultati dell’articolo di Mongrieff, ha risposto: “L’articolo documenta semplicemente l’assenza [già nota da tempo] di evidenze scientifiche per la semplicistica e superata ipotesi serotoninergica della depressione. I medici dovrebbero spiegare ai loro pazienti che il cervello è complesso e molte sostanze chimiche agiscono nel cervello con varie funzioni. La depressione va considerata una malattia biologica nella quale queste sostanze chimiche stanno funzionando male, ma questo non significa che ci sia una singola carenza o un eccesso di una o più di esse e che la soluzione stia semplicisticamente nel “bilanciarle”: occorre, invece, affrontare la malattia nella sua globalità” (2).
Anche se siamo lungi dall’avere una chiara e completa visione della patogenesi della depressione, ci sono documentate evidenze che gli antidepressivi, modificando la plasticità neuronale, agiscono sulla depressione riducendo sia i livelli di stress sia le emozioni negative e il ruminio che ne sono all’origine, secondo il moderno modello biopsicosociale della depressione (5).
Non dimentichiamo che esiste una letteratura sconfinata sull’efficacia e la sicurezza, anche nel lungo periodo, degli antidepressivi “serotoninergici”(6) nella depressione medio-grave, pur dovendo ammettere che, specie negli ultimi anni, la prescrizione degli antidepressivi è stata a volte impropriamente estesa a forme depressive lievi che potrebbero essere affrontate con un valido supporto psicoterapico.
Bibliografia
- J. Moncrieff et al. The serotonin theory of depression: a systematic umbrella review of the evidence. Mol Psychiatry (2022). https://doi.org/10.1038/s41380-022-01661-0.
- No Evidence Low Serotonin Causes Depression?. https://www.medscape.com/viewarticle/977753
- La depressione? Non è questione di biochimica (e quindi di serotonina). https://www.repubblica.it/salute/2022/08/03/news/la_depressione_non_dipende_dallormone_della_felicita-359266078/
- https://www.istat.it/it/archivio/219807
- CJ. Harmer et al. How do antidepressants work? New perspectives for refining future treatment approaches. Lancet Psychiatry. 2017 May; 4(5): 409–418. doi:10.1016/S2215-0366(17)30015-9.
- M. Kato et al. Discontinuation of antidepressants after remission with antidepressant medication in major depressive disorder: a systematic review and meta-analysis. Molecular Psychiatry (2021) 26:118–133 https://doi.org/10.1038/s41380-020-0843-0.