Il cervello è un labirinto: il connettoma può aiutarci a trovare l’uscita
Il cervello umano è certamente la macchina più complessa e affascinante del nostro universo. Ancora oggi c’è molto da sapere sulla sua struttura e il suo funzionamento. Si sa che è costituito da una rete di cellule nervose, aree e sistemi interconnessi, ancora in parte sconosciuti.
Comprenderne il funzionamento e rivelare questa rete di connessioni attraverso una vera e propria mappatura, costituisce il campo di studio della connettomica.
Cos’è il connettoma?
Il termine connettoma è stato definito per la prima volta nel 2005, in un rivoluzionario articolo, da Sporns-Tononi- Kötter come: “una descrizione strutturale completa della rete di elementi e connessioni che formano il cervello umano”. La sfida posta dagli scienziati è quella di svelare l’attività di ben 100 miliardi di neuroni, considerando che nel cervello ci sono un milione di volte più connessioni di quante lettere ci siano nel nostro DNA!
Qualche anno dopo, nel 2009, Stati Uniti, Europa, Giappone e Cina, hanno avviato il progetto Human Connectome, con l’obiettivo di creare un modello dettagliato del cervello umano che includesse le relazioni struttura-funzione, proprio come suggerito dagli scienziati autori dell’articolo del 2005. Si è partiti dall’analisi a livello cellulare fino allo studio macroscopico per aree cerebrali.
La mappatura del cervello
Per avere una mappatura chiara, andavano incrociati due procedimenti paralleli basati sulla struttura e sulle funzioni del cervello: il connettoma strutturale e il connettoma funzionale.
Il connettoma strutturale identifica le connessioni “fisiche” fra le cellule cerebrali (neuroni). Tali connessioni si realizzano attraverso le fibre (assoni e dendriti) che si diramano dai neuroni, mettendo in comunicazione, attraverso dei collegamenti (sinapsi), diverse “aree cerebrali”. Conoscere tali strutture cerebrali aiuta a comprendere gli aspetti funzionali dell’architettura neurale.
Il connettoma funzionale, invece, fornisce la mappa delle aree del cervello che lavorano insieme, indipendentemente dalla conoscenza delle loro connessioni fisiche.
Mettere in relazione le informazioni prodotte dall’incrocio fra i connettoma strutturale e funzionale, è la parte più difficile della sfida scientifica ancora in essere. Queste informazioni infatti, se ben analizzate, possono fornire elementi chiari sia per stabilire patologie di natura neurologico-strutturale che di alterazioni a livello funzionale.
Come si studia il connettoma?
Per iniziare la mappatura del cervello sono state usate varie tecniche diagnostiche, come TAC e RMN classica, che consentono di osservare la struttura macroscopica del cervello in maniera non invasiva.
Si è però cominciato ad esplorare il funzionamento del cervello in attività, sottoposto a stimoli precisi, mentre pensa o agisce ad esempio, per poter osservare, in assenza di alterazioni cerebrali macroscopiche, le differenze di funzionamento di specifiche aree cerebrali fra persone sane e persone affette da patologie.
Le moderne tecniche di neuroimmagini funzionali (fRMN, DTI, PET e qEEG) stanno progressivamente raggiungendo questo obiettivo, permettendo di rilevare cambiamenti del metabolismo, dell’attività elettrica del cervello, del flusso di sangue e di ossigeno in determinate aree, e della diffusione delle molecole d’acqua presenti nei tessuti cerebrali.
Tutte queste metodiche sono utilizzabili per individuare danni cerebrali all’origine di malattie come depressione, ansia, deliri e allucinazioni, poiché rilevano alterazioni anche in cervelli che non mostrano lesioni macroscopiche evidenti, come succede per molti pazienti affetti da disturbi mentali.
A cosa serve lo studio del connettoma?
Lo studio del connettoma può, quindi, rivoluzionare la classica suddivisione tra malattie neurologiche e mentali.
Come si sa, neurologia e psichiatria studiano le malattie del sistema nervoso. Tuttavia, il neurologo si occupa dei disturbi conseguenti a specifiche lesioni o deficit del cervello, evidenziabili con l’esame del paziente o con test metabolici e strumentali. Cura, quindi, le malattie “organiche” del cervello, caratterizzate da deficit di movimento, sensibilità, equilibrio, linguaggio, memoria o cognitivi.
Lo psichiatra, invece, stabilisce la diagnosi basandosi sull’analisi di comportamenti, pensieri, emozioni, stress ambientali e psicologici riferiti dal paziente. Spesso, i pazienti affetti da disturbi mentali non presentano deficit cerebrali evidenziabili con i classici metodi d’indagine. Per questo, i disturbi mentali sono ancora definiti “funzionali”.
Una mappatura delle connessioni cerebrali potrebbe fornire informazioni sulle alterazioni cerebrali responsabili di disturbi mentali quali depressione, ansia e psicosi, permettendo diagnosi più accurate, terapie mirate e più efficaci delle attuali.
La distinzione fra malattie funzionali e organiche non avrebbe quindi più ragione di esistere.