Il Covid-19 e le cose non essenziali di questo Natale
C’è una storia molto bella che ha il pregio di essere anche vera.
Nel Natale 1914 inglesi e tedeschi si fronteggiavano da opposte trincee, sul fronte occidentale delle Fiandre. C’era fango, i cadaveri dei commilitoni uccisi giacevano insepolti perché il rischio di uscire dai ripari era troppo grande. Ma era Natale e alcuni, per ingannare il tempo, iniziarono a intonare i canti della loro tradizione. In inglese, in tedesco. A un certo punto un soldato tedesco agitò uno straccio bianco e uscì. Poco per volta, con cautela, quei soldati, quei ragazzi inglesi e tedeschi salirono dalle trincee e, senza troppe parole che non servivano, seppellirono i loro morti. Poi qualcuno fece un pallone con degli stracci, e giocarono nella terra di nessuno. Vinsero i tedeschi. Divisero il cibo, il brandy, la birra. Qualcuno mostrò la foto della fidanzata. Per qualche giorno la guerra fu lontana.
Il senso del Natale, al di là del credo religioso, è stare insieme in pace, e condividere.
Oggi non si può: le famiglie saranno divise da un confine comunale, a volte da una manciata di chilometri, tanti saranno soli e non trascorreranno il Natale coi loro cari, non potranno vedere i loro nipotini aprire i regali, se non in tristi filmati su Whatsapp. Il dinosauro che c’è nel nostro inconscio non se ne fa niente del digitale, ha bisogno di odori, di sensazioni tattili, di sapori noti e antichi. Come lo smart working imposto non è smart, gli auguri via social scivolano e si perdono in mezzo ai gattini, lasciandoci più soli di prima.
Possiamo accettare sacrifici e privazioni. Non possiamo fare altro che prenderne atto.
Però non ci dobbiamo sentire frivoli o egoisti perché ci manca la vacanza in montagna o la casa al mare, perché non si può sciare, perché non si può godere il sole sul lungomare. È la fine del mondo? No. C’è di peggio? Certo, c’è di peggio. Ma non cedete ai moralisti da strapazzo che vi trattano da bambini viziati e capricciosi.
Per molti sarà un Natale triste. È normale essere tristi oggi, sentirsi arrabbiati e frustrati. Abbiamo perso la nostra vita, la nostra socialità, la nostra confortante normalità. Tornerà domani, ma non oggi.
Dicono di non lamentarsi, c’è gente intubata, vergogna! Quando ero piccola dicevano: mangia la minestra, ché in India i bambini muoiono di fame.
Stiamo facendo tutti un sacrificio molto, molto grande, che provoca una forte sofferenza morale. A questa sofferenza non è necessario aggiungere il senso di colpa e la vergogna perché ci mancano tante cose “non essenziali”, che danno colore, gusto, senso alla nostra vita. È normale stare male, oggi. Speriamo sia ancora per poco.