La morale della psicosi e il cervello della psicosi
Il caso della madre trovata morta con il figlioletto in Sicilia è l'occasione di alcune osservazioni. Diverse cose mi hanno colpito nella narrazione del caso.
La prima è il ripetersi di una formula che ho letto in diverse testate, e che più o meno dice che la donna soffriva di "crisi paranoidi dopo crollo mentale a causa di una crisi mistica".
Questa notizia, ricavata da documenti sanitari che la donna aveva con sé, è esattamente quello che la situazione lasciava sospettare, visto il tipo di fatto e la notizia che la donna aveva recentemente manifestato interessi “nuovi” di tipo religioso.
Il punto è che in questa frase si riassume tutta la cecità rispetto ai fenomeni psichiatrici, cioè la tendenza a non considerarsi come espressione di un organo, funzione organica.
Se la donna soffriva di crisi paranoidi, non è che queste crisi paranoidi fossero “causate” da una crisi mistica: sono due modi per dire la stessa cosa, magari in un caso sottolineando aspetti religiosi e nell'altro aspetti di tipo invece persecutorio, o paure che potesse succederle qualcosa di negativo.
Ma la linea di pensiero che sottende a questi fenomeni è unica, ed è poi polivalente rispetto al contenuto. Poco importa come inizi una crisi delirante, se con un tema mistico o con un tema ipocondriaco, i contenuti poi si complicano, si moltiplicano, sono uno evoluzione dell'altro. I contenuti, non la forma.
Detto invece così come nella formula giornalistica, sembra quasi che ci sia un livello che ha una crisi mistica, magari anche in senso positivo, e poi un altro livello mentale in cui si sviluppa una paranoia, magari per “eccesso” di crisi mistica. O come se magari finché i contenuti sono religiosi la cosa non dovesse destare preoccupazione, mentre invece quando uno inizia a dire di essere seguito o minacciato, allora si sospetta che sta delirando.
In verità, la forma alterata del pensiero è ben riconoscibile anche prima, e ben riconoscibile anche rispetto ad una persona abitualmente religiosa.
Questo vale un po' per tutti i temi deliranti che hanno anche versioni “non patologiche”. Come si farebbe a riconoscere un delirio di gelosia, un delirio di persecuzione o di malattia se ci regolassimo soltanto su manifestazioni eclatanti (di agitazione o di pericolosità) o sulla bizzarria del contenuto.
Così facendo non soltanto sarebbero evidenti solo alcuni casi e in alcuni momenti, ma non si avrebbe neanche una chiara idea del delirio in sé. Per contro poi, per definire qualcosa “bizzarro” o “eccessivo” si dovrebbe avere prova che il pensiero della persona è infondato, oppure che il suo convincimento è incomprensibile. Figuriamoci poi nell'esaminare persone con culture diverse.
In effetti putroppo il nostro sistema funziona un po' così.
I casi che ricevono maggiore attenzione sono quelli con agitazione, con comportamenti visibili (non necessariamente pericolosi, ma visibili), mentre gli altri possono sfuggire o essere sottovalutati, e sono la maggioranza.
Le esplosioni psicotiche ci sono, ma più spesso sono precedute da fasi preliminari, addirittura a volte non soltanto la persona non è agitata, ma è più distaccata, fredda, taciturna. Nelle psicosi bipolari accade proprio che vi siano fasi di delirio calmo, non espresso a parole, seguite poi da esplosioni che vengono apparentemente dal nulla, quando subentrano le fasi agitate.
Infine, il “crollo mentale” di cui si parla, come se fosse qualcosa di ancora diverso da crisi mistica e crisi paranoidi, allude forse ad una qualche depressione precedente, o semplicemente al fatto che se ci si sente male, si è “crollati” in senso deficitario, come uno che per debolezza si accascia a terra.
In realtà non c'è sempre un meccanismo di deficit, la fase poteva anche essere opposta, di eccitamento, e non avere alcun nesso con nessun tipo di fatto negativo nella vita.
Ancora non è chiaro che un certo tipo di disturbi non richiedono che succedano eventi esterni, e che non funziona sempre il modello della perdita di energia, che a immaginarlo fa pensare ad un malato che è debole chiede aiuto e si fa sorreggere. Non funziona così nelle psicosi, in cui non vi è consapevolezza, la persona può essere agitata e sentirsi anche bene. Non di rado pervasa da una nuova energia, magari con in cuore la sensazione di attraversare un cambiamento importante, e così via.
Se quindi ci si aspetta che la malattia mentale sia un “crollo”, e di trovare il malato a terra, ci si sbaglia. Lo si può trovare in piena attività, a seconda dei casi, e che non si sente per niente crollato, ma magari al contrario in fase di crescita mentale. Pensa di aver capito qualcosa, di aver intuito, di vedere cose che gli altri non vedono ancora, e così via. Più che crollare, sta prendendo il volo, ed è quindi difficile da intercettare.
Il secondo aspetto che mi ha colpito è lo sforzo per determinare se la morte del figlio sia stata accidentale o provocata dalla madre.
In situazioni come questa, sembra uno scrupolo morale, come dire che “non si può accusarla di un gesto così atroce”.
Ma questo è evidente, poiché parliamo di uno stato di alterazione, non sarebbe neanche necessario specificarlo, la persona moralmente non ne esce in maniera diversa. Il fatto di poter aver soppresso il figlio durante un delirio (di solito per evitare che lo prenda il demonio, che lo raggiungano dei persecutori, che sia rapito e sottoposto a violenze etc) è un tipo di coinvolgimento presente nelle fasi psicotiche, quasi legato ad un istinto che unisce ancora in maniera stretta madre e figlio. Questo legame rimane anche dentro il delirio, e implica un coinvolgimento del figlio piccolo nel tema delirante.
In generale, al di là delle risultanze del caso che sono comunque state anticipate, si percepisce la necessità di porre in continuità il delirio con quello che la persona è moralmente in condizioni normali.
Non ve ne è necessità.
Proprio perché il cervello non rimane “sempre e comunque” dietro la malattia, ma in essa è inglobato quando c'è una psicosi grave, è un controsenso voler pensare che la parte “sana” comunque avrebbe impedito a quella persona, pur in preda a un delirio, di compiere azioni estreme.
Sarebbe come sostenere che una persona con un forte attacco di panico si tranquillizza da sola, o che una persona con la depressione reagisce e se la scrolla di dosso. O uno in preda all'ossessione se vuole può distrarsi. Sono quei modi di vedere le funzioni e le malattie mentali che immaginano una specie di livelli mentali, a gerarchia. Uno basso che può essere perturbato, ma che comunque serve, una specie di motore. L'altro più alto, spirituale, che comunque mantiene sempre il suo punto anche in mezzo a una tempesta mentale.
La verità è se mai che quando ci sono delle alterazioni come queste, i cervelli finiscono per assomigliarsi molto di più di quanto non si assomiglino a cose normali, la malattia li fa essere più simili e più semplici, meno elastici, a volte completamente “appiattiti” su un tipo di funzionamento, che è l'unico in quel momento possibile.
In sostanza, il cervello è uno, e così come un atleta può avere una gamba rotta, una madre amorevole può compiere gesti estremi durante fasi deliranti, senza che ci sia bisogno di trovare una coerenza qualsiasi tra le due cose. La coerenza si trova con la malattia, con le sue leggi. A volte con quello che si sa del delirio.