Cervello e domande: questionari in psichiatria (parte 2)

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Accade che uno stesso paziente riesca a riferire la verità con due tipi di domanda diversa. Per esempio, se si chiede ad un tossicodipendente di dire quanto spesso si droga, tenderà a minimizzare quando addirittura a negare l'uso. Potrebbe allora apparire sciocco, o ingenuo, sottoporre alla persona dei test come il VAS, che è semplicemente una riga graduata da 0 a 10 in cui si chiede di riferire il desiderio per una certa droga. Si può assistere a risposte in cui il tossicodipendente affermerà che la droga per lui non è un pensiero né una cosa a cui si dedica granché, a voce, ma che poi, sorprendentemente, dichiari il massimo sulla VAS. Questo può essere interpretato come una richiesta di aiuto, consapevole, ma forse più correttamente come l'unico canale libero attraverso cui la persona riesce a riferire di star male, e di aver bisogno di qualcosa che lo porti fuori da un problema. Il mentire o il distorcere i fatti è spesso sintomatico, e identificare un canale in cui invece la comunicazione è lineare e letterale serve proprio a aggirare questi disturbi della auto-denuncia del proprio stato.

La risposta in termini di verità o bugia è un altra funzione del questionario. Chi riesce ad ammettere la verità sta già meglio, per esempio, nel caso di un tossicodipendente che riesce a riferire in maniera veritiera il suo consumo di sostanze (non ancora zero, ma neanche pesante come prima). Si hanno quindi situazioni paradossali, per cui quando il tossicodipendente arriva, afferma di usare "poco", niente di che, "come tutti" (se i tratta di bere), mentre dopo le prime settimane di cura l'uso apparentemente sale: una volta al giorno, due litri al giorno di vino, etc. Il paziente non è peggiorato, è migliorato, semplicemente diceva bugie prima. Avendo a disposizione i test tossicologici, si può chiedere prima al paziente e poi fargli il test, in modo da capire quale sia la sua tendenza alla bugia inutile, e ripetere la domanda con il risultato del test alla mano. Gravi tossicodipendenti diranno che non hanno usato sia prima di fare il test (che è pronto istantaneamente), sia dopo (dimostrandosi stupiti e indignati magari). Oppure, si osserva anche la tendenza a cambiare risposta da prima a dopo (ammissione prima, negazione dopo). 

 

Sempre in riferimento al senso delle domande, vi possono essere domande che non hanno senso logico, ma che misurano una “dinamica” di risposta. La persona che risponde “si” non dice niente di diverso da quella che risponde “no”, ma quello che conta è il tipo di risposta che ha dato. E' come se si misurasse se una persona, scegliendo una carta dal mazzo, sceglie da cima, dal centro o dal fondo. Mettiamo che ci sia una domanda (senza svelare quella vera del questionario relativo ad una dipendenza) che chiede: se tu dovessi salire una scala di venti gradini e e potessi saltare un gradino, quale salteresti? Il primo, il decimo, l'ultimo o uno di quelli di mezzo? Pensandoci bene, comunque si risponda si salirà una scala di 19 gradini, con medesima fatica, raggiungendo la medesima altezza e la cima della scala, con la stessa pendenza, nello stesso tempo. Cosa cambia allora? Psicologicamente, ci può essere chi si sente incoraggiato se parte saltando già il primo scalino, chi riserva questo bonus all'ultimo, quando è affaticato, e chi invece immagina di riposarsi a metà. Sostanzialmente niente cambia, ma il tipo di risposta ci ha detto qualcosa sulla psicologia di chi risponde.

E' in fondo una variante di quanto detto prima, ma non serve solo a superare il problema della distorsione, semplicemente può servire a rivelare meccanismi che con domande lineari e letterali non si riescono a cogliere bene.

 

In questo senso, ogni domanda e ogni questionario dovrebbero essere sempre considerate in primis come “reattivo psichico”, cioè una domanda che produce una reazione (risposta), e non una domanda a cui segue l'argomentazione della risposta relativa.

Purtroppo ci si trova, in questo senso, a paradossi. Da una parte molti sottopongono i test come semplice raccolta di informazioni, senza conoscere ciò che effettivamente misurano, e dando per scontato che la domanda “quanti anni hai? ” o “che colore preferisci? ” forniscano semplicemente informazioni sull'altezza e sul colore preferito. Dall'altra, ci sono domande in cui la risposta (ad esempio: colore preferito) è interpretato come fonte di informazioni “in codice” inconscio, cosicché ne potrebbe scaturire un giudizio sull'aggressività, sulla tendenza a mentire, o altro.

Di fatto invece queste interpretazioni sono state solo ipotizzate, immaginate, in riferimento a determinate teorie della mente. Qualcuno poi magari si è preoccupato di misurare se davvero quelle risposte misuravano qualcosa, facendo semplicemente un riscontro tra informazione nota e domanda: chi risponde “color rosso” è aggressivo in base alla sua storia nota? Oppure lo sarà in base alle notizie raccolte in un periodo successivo?

 

C'è inoltre una questione ulteriore riguardante la validità dei questionari. Alcuni di questi sono stati concepiti inizialmente in riferimento a sistemi classificativi molto diversi da quelli attuali, cioè per capirci a inquadramenti molto diversi delle malattie psichiatriche. In parte si tratta di differenze legate alle epoche storiche, in altra parte si tratta proprio di “teorie psicologiche” o mediche non hanno poi mai trovato riscontro o supporto scientifico, lasciando però dietro di sé una tradizione culturale. Questo fa sì che, specie in ambiti diversi dalla psichiatria clinica, che si occupa di malati, come ad esempio la psichiatria medico-legale, sopravvivano ancora e siano addirittura considerati dei “classici” alcuni strumenti che lavorano su concetti biologicamente indefinibili, e su categorie che non corrispondono a quelle della psichiatria scientifica.

Anche i test psichiatrici nati in ambito medico, e quindi da subito legati ad una verifica sul campo e sulle diagnosi, possono risentire della diversa definizione delle categorie nel tempo. Per esempio, i concetto di “psicoticismo” di alcuni test non corrisponde alla “psicosi” in maniera così semplice, e la dimensione “paranoia” non corrisponde al delirio paranoico.

E' quindi importante sapere, al di là delle parole che possono essere rimaste nell'indicare alcuni dettagli del test, che cosa il test misura, in chi e in quali condizioni. Occorre sapere se riesce a prevedere qualcosa, o semplicemente confermare una diagnosi per quello che è in quel momento, o se, semplicemente, consente di stabilire se quello che la persona riferisce contiene degli elementi di particolare interesse.

 

Si usano dei test per valutare rapidamente le persone da sottoporre a una serie di selezioni. E' chiaro che in questi casi si pone il problema di valutare anche la tendenza della persona a non dare risposte veritiere, o coerenti, o la tendenza a rispondere a caso. Non è detto che, al netto di questo, questo tipo di test riescano a identificare qualsiasi tipo di condizione mentale patologica, e in qualsiasi fase, o tanto meno di prevedere il futuro sviluppo di una malattia mentale.

 

Nella maggior parte dei casi, le diagnosi psichiatriche non richiedono il questionario come strumento, né comprendono un risultato di un questionario come criterio diagnostico.

Il fatto che le diagnosi possano anche essere fatte seguendo le domande di un questionario anziché con una valutazione “libera”, significa solo che, quando si vogliono ufficializzare le diagnosi o le si vogliono mettere “alla pari”, si ricorre a quel questionario. Vale a dire che se, ad esempio, si vogliono studiare 100 persone con diagnosi x, la diagnosi è fatta o confermata con un questionario, in modo da renderle tra loro omogenee (sono tutte diagnosi confermate con il metodo x).

Quanto al fatto che la persona risponda nello stesso modo in cui lo psichiatra gli attribuisce dei criteri diagnostici, è invece molto variabile. Per alcune diagnosi domande e linguaggi sono condivisi e non alterati, ma in altri casi non si sono trovati termini o domande che riescano a sintonizzare paziente e psichiatra nell'indicare la stessa cosa. Addirittura, si potrebbe capovolgere il problema, e ipotizzare che in alcuni casi una diagnosi venga fuori dal fatto che alla domanda "sei triste" il paziente dica no, mentre lo psichiatra lo vede triste. Del resto, le demenze per esempio sono situazioni in cui il paziente può rispondere in una maniera che ritiene giusta, e è invece errata per l'esaminatore (2 +2 = 5), o ritenere la domanda incomprensibile laddove per l'esaminatore è chiara ("In che anno siamo? "). Il risultato del test non è una risposta in sé, quanto la discrepanza.

 

Un altro capitolo riguarda come evolvono le stesse domande nel tempo, se uno le memorizza. Chi prepara la patente o in generale i quiz a risposta multipla, spesso memorizza quali sono le risposte a quei quiz, senza magari aver compreso il senso della domanda. Per tentativi, alla fine di capisce cosa rispondere. Qui però c'è iun interesse, mentre in medicina in teoria le risposte dovrebbero essere disinteressate. Ci sono però persone che traggono piacere dall'essere giudicate "migliorate", e per far questo potrebbero imparare a rispondere "bene". Un mio collega era solito dire che in special modo gli ossessivi dopo un po' affermavano di stare "un po'' meglio", al di là dell'oggettiva condizione, se si curavano. Cosicché dagli studi poi risultava che una determinata cura produceva dei miglioramenti (parziali), ma l'unico miglioramento effettivo forse era la capacità di capire come rispondere per ottenere un punteggio da miglioramento. Come dire, stare uguali ma avere un test che ti dice che stai "un po' meglio" è un auto-inganno che funziona.

(continua)

Data pubblicazione: 15 maggio 2020

45 commenti

#1
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L'autoinganno,per chi lo attua , potrà pure funzionare però si arriva sempre al solito punto, si dissocia la realtà con il proprio comportamento.
Il cercare di giustificare con atteggiamenti razionali privi di fondamento, le abitudini o i comportamenti contradditori, porta ad una sola cosa mentire a sé stessi.

#2
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Dr. Matteo Pacini

Ma a cosa si riferiva esattamente ? Perché l'autoinganno non significa davvero ingannarsi, dirsi delle cose che fanno piacere. Le sembrerà strano ma molti diventano "cattivi" su cose che si sono fatte piacere, rifiutando di ammettere, in teoria, che non ne sono soddisfatti, anche se nei comportamenti mostrano esattamente questo.

#3
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Non lo trovo strano ma non comprendo i pro.
Mi riferivo appunto all'auto inganno "funzionale" (mi passi il termine non so se sia corretto) dove la persona mente a se stessa cercando di convincersi che il suo comportamento sia quello "giusto"nonostante non provi realmente piacere nel farlo.

#4
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Non ne è convinto, lo dichiara. E' convinto nel dichiararlo. Come un dogma. Mica le persone credono concretamente nella maggior parte dei dogmi, ma credono nel doverlo dire, nella loro funzione. Che è quella di farli stare dalla parte giusta, a posto. Ad esempio, se io chiedo: è contento della sua vita sessuale, c'è chi risponde di sì perché è convinto che sia bene accontentarsi, ma non è per niente soddisfatto. Oppure perché è convinto che la cosa debba esser risolta in privato, e in pubblico si debba dire diversamente. La funzione è di sentirsi scontenti ma giusti, in chi ha bisogno di sapere se è nel giusto, per esempio.

#5
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la Bibbia da molti è considerata un dogma ma per quei pochi che l'hanno capita la definiscono letteratura ,da qui per dire che le catene più temibili sono state forgiate dai dogmi. I dogmi ci rubano gli occhi e ci lasciano ciechi a brancolare nel buio, non rendono liberi e felici ma scontenti e ingabbiati in quel accontentabile giusto.

#6
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Letteratura anche, ma è dogma. Si potrebbe dire che è fatto per esser preso alla lettera, ma ci sono persone che li sostengono con la spada, ma poi non si muovono di una virgola nella vita di tutti i giorni. e per seguirli devono essere illogici, altrimenti sono regole, ma allora vanno appunto seguite, e quest alle persone in generale piace poco.
Ma andando fuori dal discorso dogma, si tratta del fatto che se uno dice che "rubare è brutto" è una dichiarazione, in realtà non si sa cosa uno pensa, probabilmente alcuni pensano così, altri pensano che non vada bene quando non sei tu a rubare, cioè i gangster, e altri rubano quando possono, ma non dichiareranno mai che lo trovano giusto. Lo trovano sbagliato, ma lo fanno.

#7
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Detta così potrebbe rientrare nel calderone della dissonanza cognitiva ,una grossa contraddizioni a priori
PS.i dogmi della Bibbia sono le dieci tavole ,per tutto il resto del testo è pura letteratura:)

#8
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"lo trovano sbagliato ma lo f anno "
mi ricorda l'articolo sui meganoidi "di fama " in Daitan "Non sanno aspettare i tempi, si fanno riconoscere, quasi ammiccano con il desiderio che gli uomini si accorgano del loro complotto. Insomma, a loro non importa il mondo nuovo."
Etc ,etc
gran bel articolo ed osservazioni riconducibili a tutt'oggi .
Attendo volentieri di leggere la terza parte .
Buona serata.

#9
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Utente 585XXX

Scusi Dottore ma io ho sempre pensato che la risposta a queste domande variasse in base a quanto e cosa è socialmente accettato assumere per quell'individuo in quel contesto, come il contadino che ammette senza problemi di bere più di due bicchieri di vino al giorno, mentre la casalinga nega. Scommetto che se alla casalinga dici che bevi anche tu diversi bicchieri la sera risponde diversamente.

#10
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Poi qualcuno magari vuole presentarsi come un caso "grave" per attirare l'attenzione.

#11
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Sì, infatti i fattori che condizionano una risposta sono anche di quel tipo, e in un contesto legale per esempio possono non essere affidabili. Anche i test anonimi che fanno nelle scuole per sapere l'uso di droga non sono affidabili, perché è plausibile che uno non si fidi di non essere inquadrato o comunque identificato.
La differenza maggiore è: se la persona viene in ambulatorio per farsi curare senza implicazioni, racconta in genere tutto. Se teme implicazioni, come più spesso in un centro pubblico o in contesti in cui partecipano anche i familiari, magari tace alcune cose.
Però capita che uno riferisca bene con un racconto libero, ma quando gli si chiede con un questionario ritorni sulla risposta "patologica". Per esempio un soggetto obeso riferisce di essere venuto a visita per obesità, ma poi alla domanda "ma lei quanto mangia ? Tanto quanto ?", la risposta può essere sorprendentemente: "mah...no, normale, il giusto insomma, non mi pare di mangiare molto più degli altri, magari mangio un po' male..."

#12
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Ma per dogma intendo che sono definiti dei criteri, dei principii, delle norme che ovviamente sono riferite non all'inclinazione arbitraria di chi scrive, ma ad un ordine superiore, esterno e coincidente con una volontà, quindi anche orientato. Poi che sia anche letteratura, certo, non è un codice secco e rifinito.
Così come ad esempio L'Iliade contiene in sé considerazioni che richiamano alla concezione politeistica, al di là dell'essere uno o più dei, che traspare ed è anche il presupposto per comprendere determinate posizioni o scelte dei personaggi. E quella anzi, è considerata in primis letteratura.

#13
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Utente 585XXX

Non è che magari c'entra anche l'attitudine dell'intervistatore? Può sfuggire qualche "faccia" o il paziente può supporre un certo tipo di atteggiamento in base ad un'impressione sommaria, ad esempio sarà più difficile ammettere di abbuffarsi con una persona evidentemente curata e in forma, oppure di usare cannabis con una persona anziana. Bisogna stare un po' attenti a queste cose secondo me.

#14
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Dr. Matteo Pacini

Alcuni di questi test sono in "auto", quindi la persona li compila da solo. Altri sono in etero, ma quando sono validati di solito si usano molti intervistatori, in modo che le differenze non vadano a finire sul valore finale. Quindi se una domanda varia a seconda dell'intervistatore, uscirà che quella domanda non corrisponde al riscontro oggettivo (per esempio esame successivo delle urine nel caso di una domanda sull'uso di sostanze) e sarà depennata dalla versione finale del questionario. E' come un esame del sangue, o un altro parametro. Serve per prevedere qualcosa, o semplicemente per avere davanti in forma sintetica un insieme di numerosi fattori, ridotti poi a pochi gruppi, o a un punteggio. Alcuni sono usati per decidere se ricoverare o meno, per esempio: sopra un certo punteggio ricovero, perché si è visto che sono casi non gestibili fuori, per cui in cinque minuti si stabilisce cosa fare, se procedere al ricovero o provare a curare a casa.

#15
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Utente 585XXX

A proposito degli ossessivi non avrei mai detto che una persona che decide di affrontare una dipendenza possa avere una motivazione diretta come quella di migliorare o di apparire migliorata. Ho sempre pensato che fossero tutte come minimo un po' ambivalenti, in fondo, la dipendenza ha un senso nell'economia della vita di quella persona, magari la distrae da cose che la fanno soffrire, le toglie l'ansia, il dolore, l'insicurezza. Anzi, mi domando cosa succede dopo, come riempiono questo buco lasciato dall'oggetto della dipendenza.

#16
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Dopo un mese di riflessioni avevo più o meno compreso che centrasse un ordine superiore ,esterno o coincidente qual si voglia .
Normalmente ritengo che l'aspetto più " doloroso e inquietante"sia una scelta imposta da altri ,ma se alla fine risulta soddisfacente e costruttivo
Giusto che sia così.

#17
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Utente 585771
Un buco lo si riempie con terra mista e qualche seme vedrà che bei fiorellini cresceranno :)

#18
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Stiamo parlando di un problema reale che riguarda delle persone. Fa pochissimo ridere quando lo si vede e lo si cura. Il dislivello tra appagamento e ricerca del piacere che ha chi ha avuto una dipendenza a volte è livellato dalla cura stessa, almeno per la dipendenza oppiacea. Che non dà piacere né induce dipendenza, ma colma il dislivello, riallinea. Altre no, va via la dipendenza ma il difetto di appagamento rimane a lungo. Spesso la persona infatti si sposta su altro, e questo è uno dei principali fattori che ostacola la remissione. Prima che avvenga il cervello si è agganciato ad altro che ripropone la questione.

Certo, sono quasi tutti ambivalenti. Ma infatti la cura deve aggirare l'ambivalenza, dare il risultato richiesto evitando la manipolazione, e ci sono tecniche precise almeno per alcune dipendenze.

#19
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Robert Newman pubblicò un bell'articolo sulla cura della dipendenza da oppiacei, intitolato "faremo loro un'offerta che non potranno rifiutare".

#20
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purtroppo conosco la realtà e non rido prendendomene gioco, ma ho imparato a non soggiogare di fronte ad essa decidendo di sorridere .
Detto questo credo che uno dei strumenti basilari per contrastare la manipolazione della realtà è contrastare la manipolazione delle parole. Se controlli il significato delle parole, puoi comprendere l'intento delle persone che usano le parole per manipolare la realtà e sfuggire alla remissione.

#21
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Avrei una curiosità ,spero mi dia una risposta secca, in questi test compare almeno una domanda in cui si possa esprimere il proprio culto religioso o meno?

#22
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Dr. Matteo Pacini

Le intende una domanda in cui si chieda a quale religione uno dichiara di appartenere ? Ma questa rientra nelle informazioni socioanagrafiche come sesso, età, lavoro etc.
Se invece intende un questionario che si occupi della religiosità, sì, ce ne sono. Sono state sviluppate per descrivere ciò che le persone indicano come sentimento religioso, differenziarlo dall'appartenenza ad una chiesa, etc. Ma anche per valutare l'effetto dello status religioso sul decorso di determinati disturbi o l'adesione alle cure, o valutare il diverso impatto sulla qualità di vita delle stesse malattie. Oppure per indagini esplorative varie. Ad esempio ricordo uno studio sui gusti musicali, in cui si usavano varie scale psicometriche tra cui anche una per misurare il livello di religiosità.

#23
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Dr. Matteo Pacini

Tornando al "buco", la parola calza abbastanza, in inglese la traduco di solito con gap. Si presumeva che i tossicomani non curati avessero un difetto persistente di funzione oppiacea, ed è così. Risponde bene agli oppiacei infatti, ma per avere un effetto terapeutico e non tossico l'oppiaceo deve essere fatto in un certo modo, farmacologicamente. Alcuni per esempio ritengono che le terapie con oppiacei vadano a colmare questo buco, ristabilendo un equilibrio. E che già in partenza vi fosse un buco su cui l'eroina o chi per lei svolgeva un effetto terapeutico. In verità non è esattamente così, è un buco relativo. Prima può anche non esserci nessun buco. Dopo sì.

#24
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Conosco l'inglese ,ma molto di superficie se si propinano vari slang che popolano in quelle terre ,ma con quel termine non si definisce di solito uno "scarto" ?
Mea culpa ,che all'epoca definii l'inglese come primaria definizione per aspetti di certo non inerenti all'aspetto psichiatrico.
Perché non definirlo una mancanza ,un vuoto,un abisso ,una voragine etc ...ma un buco mi sembra riduttivo e pregiudizievole e sarcastico per chi ha realmente subito un buco ovvero una tomba causata da una dipendenza.

#25
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Boh ,provi ad incrociare i dati ..sarei curiosa delle percentuali che otterrà... E dei relativi studi cosa ne verrà.
L'utente del buco :) me lo passi ,cosa ne pensa?

#26
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Ho sempre pensato che ci fosse un "buco" psicologico che automaticamente si traduce in una difficoltà nella regolazione di alcuni neurotrasmettitori, perché almeno nella mia esperienza sono sempre persone che vengono da contesti violenti, famiglie disfunzionali, ecc
Avevo un collega che usava droghe sia da banco che da strada e aveva un fratello più grande con una grave patologia, sicché ne era responsabile e quello era l'unico modo per essere "calcolato" dai genitori.

#27
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Non si riferisce al vuoto di vita, si riferisce proprio ad uno iato, una distanza, uno spazio che separa (il gap) la misura in cui la persona è stimolata da fuori, dalla misura in cui si sente stimolata soggettivamente. Il cervello rimane con una taratura corrispondente alla sovrastimolazione della sostanza al suo picco, e registra un "negativo" nella maggior parte delle situazioni normali. Questo si attenua nel tempo ma non di rado un fondo di questo tipo permane per anni. Lo stesso problema esiste nei disturbi bipolari, come postumo della mania.

#28
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Mi pare di aver capito, mi sfugge però perché alcune persone nascono così insoddisfatte da ciò che per altri è soddisfacente. Quali sono le possibili cause se si conoscono le cause? Mi viene in mente l'uso di nicotina e alcool in gravidanza che può alterare il piccolo sistema nervoso in formazione.

Ho anche visto che ci sono i tossicodipendenti per necessità "professionale", che finiscono con lo sciupare la loro capacità di trarre piacere dalle cose a forza di usare sostanze come stimolanti, credo che qui la cocaina meriti una mensione.

#29
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No, equivoca sul senso del termine tossicodipendente. L'utilizzatore usa per scopi vari. Anche professionali. La tossicodipendenza non ha un senso rispetto ad uno scopo, è disfunzionale. Altrimenti non si chiama dipendenza, è un uso.

#30
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Ha ragione, ho capito cosa intende, anche se non credo tanto nell'uso "sicuro" di sostanze. Ad esempio c'è questo problema dell'uso "finalizzato" di farmaci da prescrizione, antidolorifici, ansiolitici ma anche droghe da strada come gli stimolanti menzionati prima. In questo gli operatori sanitari sono dei pasticcioni perché pensano di poter manovrare il rapporto con qualsiasi sostanza e finiscono per sviluppare dipendenza. Chiaro che hanno lo stress, il burn out, alcuni partono già con l'asticella molto alta e in più sono in genere molto sensibili alla gratificazione data dall'approvazione altrui. Non so se la dipendenza è dalla performance elevata o dalla sostanza, però fatto sta che alcuni usano e poi smettono, altri cominciano a fare sempre più casino finché non diventa un problema. Mi sono sempre chiesta che differenza c'è tra le due categorie.

#31
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Il perpetuo sonno della politica di certo non aiuta il lavoro di voi medici specializzati nel settore.
Basti pensare che nel decreto rilancio è stato del tutto ignorato questo aspetto nonostante i numeri depositati nell'ultima relazione del parlamento parlino chiaro :
660mila i ragazzi che hanno fatto uso nel 2018 di sostanze illegali psicoattive, 334 i decessi per overdose, 460mila le persone che necessitano di un trattamento terapeutico per dipendenza conclamata da alcool, dal gioco d’azzardo e dalla droga per non parlare della dark web ,ai tempi del lockdown ,una piazza di spaccio danarosa per l'acquisto di oppioidi sintetici e narcotici ma anche di eroina e cocaina con consegna direttamente a domicilio.
Auspico che la politica riprenda interesse per questo settore e che vi possa essere una nuova azione di pensiero che attivi un proficuo dibattito tra medici e politici per le prospettive future dei giovani e non in difficoltà ,al contrario la partita con la droga si potrà dichiarare persa , nonostante tutti gli sforzi degli addetti ai lavori.

#32
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Ahimé il dialogo politico è fermo su questi inutili piani: droga libera vs proibizionismo. E lotta alla droga contro cure compassionevoli.
Purtroppo queste contrapposizioni non hanno il minimo senso. La lotta è la cura, e non esiste una posizione medica sulla "libertà" di usare, è un altro piano.

In quanto all'interesse a soluzioni sanitarie pubbliche, il 20% delle cure per l'eroinismo rientra nelle cure scientificamente efficaci. Ma lo stato rimborsa tutto, anzi, le cure inutili costano molto di più alla collettività, sia per la loro inutilità finale, sia per il costo vivo.
Le comunità terapeutiche gestite da psicosette sono consentite. E anche tra quelle "canonizzate" ci sono esempi decisamente lontani dall'idea di una terapia scientificamente fondata.

#33
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i soliti calcoli politici ,difficili da eliminare .

Leggendo l'altro suo articolo ho compreso cosa intendesse Newman e parafrasando Lei:
esiste una terza via. La via scientifica, la via della cura possibile: controllare a lungo termine la ricaduta, mantenere il benessere mantenendo la cura e sostenere la risalita dell’individuo"

L'unica via certa per una malattia grave ma curabile.
Chi aspetta di essere malato per curarsi è simile a chi si mette a scavare un pozzo mentre è tormentato dalla sete.

#34
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Newman intendeva questo, che poi è la base su cui storicamente fu provata la cura, messa a punto e studiata negli anni 60-70, con risultati buoni.
Mettiamo un tossicodipendente in fase di dosi crescenti, che ha bisogno di diversi grammi al giorno, va in astinenza se ritarda, e non ce la fa più per soldi, condizioni generali e rischi. Ha due alternative: da una parte la rovina, che già ha sperimentato con carcere, overdose, e tutto il deterioramento generale. Dall'altra ha l'idea di riuscire a gestire la sostanza, istintivamente predominante, ma razionalmente assurda. In mezzo l'offerta è la seguente: non devi preoccuparti più dell'astinenza perché domani hai un farmaco antiastinenza che copre 24 ore; e se aderisci alla cura si evita il carcere per pene di un certo tipo; il tossicomane accetta perché crede di poter così risparmiare tutti i soldi che servono per tamponare l'astinenza, e lo sforzo, e poter così usare l'eroina solo per piacere; invece non ci riesce, perché è mantenuto a metadone ad un livello di tolleranza oppiacea che cresce fino a rendere impossibile sentire l'eroina, anche tanta (blocco narcotico). Dopo un po', la dipendenza si dichiara sconfitta, e lascia stare il cervello. Ma il tossicomane non aveva aderito perché aveva gli stessi scopi del medico, solo perché alle strette. Ogni giorno preferisce evitare l'astinenza, che teme molto, ma facendo così si mette nelle condizioni di non sentire poi l'eroina, farmacologicamente. Infatti è una lotta perché le cure, a partire dalle dosi iniziai, siano poi portate alle dosi efficaci, che sono più alte. Il tossicomane, lasciato a sé, vorrebbe tenere la dose bassa, per poter sentire l'eroina. Ma se vincolato alla fine aderisce al programma e si ritrova, suo malgrado, curato...per così dire.

#35
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Utente 585XXX

Ingegnoso, mi ricorda un po' il principio dei trattamenti per la bulimia, perchè le ragazze con la bulimia non partono con l'obiettivo di tornare a mangiare normalmente, ma accettano di farlo perchè hanno paura delle abbuffate e sanno che se ricominciano a mangiare troppo poco si sentono meglio perchè placano la paura di ingrassare, ma dopo un po' finiscono per abbuffarsi. Sarebbe bello che ci fosse un farmaco contro la bramosia di fare qualsiasi comportamento di dipendenza, non solo prendere oppiacei. Lei che è psichiatra e leggo dai commenti anche bravo, gli psicofarmaci possono aiutare se magari c'è una depressione o altro, oppure la dipendenza ha un meccanismo indipendente?

#36
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Si. Anche il depresso grave mica si curerebbe, o lo psicotico. Si riesce a stabilire un contatto a volte perché per fortuna ci sono i familiari. Il depresso si cura magari perché si sente in colpa, ma se è grave non pensa assolutamente che gli serva a nulla, non lo farebbe di propria iniziativa.
Magari però vuol curare la parte ansiosa, che gli impedisce di rimanere isolato dal mondo almeno, e così facendo dopo un po' di ritrova a star meglio come umore, cosa che non avrebbe detto.

#37
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Il suo sembra un mestiere decisamente complesso per il quale ci voglia pazienza e cuore. Le auguri buon lavoro, grazie per le risposte.

#38
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Poi esiste , purtroppo ,l'altra parte della medaglia ,utilizzare la cura (metadone) come metodo di sballo ,quando l'utilizzo non è controllato scientificamente ,ma acquistabile on line o per altre vie.
Nella mia regione , nell'ultima settimana altri due adolescenti 15/16 enni morti per , a quanto dicono i media ,abuso di metadone e chissà con quali interazioni .
Il mondo non lo si può salvare ma un interesse in più da parte almeno della politica morale ,qualora esistesse ,lo desidererei.

#39
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Dr. Matteo Pacini

Si, sto scrivendo tra l'altro proprio su questo caso di cronaca, ma ho avuto casi del genere in passato. Abuso di oppiacei diversi dall'eroina, in passato era il subutex, metadone meno, ma ci sono anche la codeina, ossicodone e quelli facilmente letali come i fentanyl. I ragazzi provano, non percepiscono il rischio, le campagne si concentrano sull'evitare l'uso (senza risultato) e non sulla prevenzione secondaria, cioè di come evitare almeno i danni.
E l'educazione di chi è in cura su cosa è il metadone e come gestirlo. Darlo come sballante già ha poco senso, a meno che non fosse mischiato ad altro.

#40
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Ottimo , spero che il suo prossimo articolo riesca a sensibilizzare Più parte della popolazione possibile a fronte di questo problema che risulta sempre in continua crescita .
Non posso che augurarle buon lavoro :).

#41
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Ex utente

Posso chiederle una cosa che esula dal discorso droga ma inerente alla natura umana ?

L'uomo per definizione è costantemente immerso nel dramma cosmico :
- il problema della sue origini
- il problema della lotta fra bene e male
- il problema della vittoria del bene sul male
- il problema della sorte eterna


E fin qui nulla di nuovo , anzi la definirei "normalità" ( se me lo concede) dato che ora si tende solo a parlare d'interesse economico,sgretolando così ulteriormente,quei pochi casi di rapporti/relazioni umane esistenti .
Perché il cervello umano re agisce in questo modo così negativo?

#42
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Dr. Matteo Pacini

Come ha detto Lei, i rapporti umani si svolgono solo a volte per motivi altruistici o di condivisione. Bene e male, sono categorie che l'uomo cerca di porsi per farsi una ragione. Ma non reggono in maniera completa. Il fatto che non tornino non è strano, purtroppo ce ne sono alcune molto più potenti, come il bisogno.

#43
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Ex utente

Sto cervello è piccolo ma complicato :)
Il più potente bisogno nell' immaginario comune non mi dica che sia il bisogno di danari ? Quindi è possibile che a causa di ciò vi siano repentini sbalzi di umori?

Indipendentemente da come una la può vedere ,Lei come medico mi piace ,la trovo esaustivo ,competente e difficile da trovare quindi finché avrà voglia di rispondere la reputerò come mio "mentore"
:)

#44
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Ex utente

Detto ciò , è possibile che gli sbalzi di umore ( ira in particolare ) identificano come soggetto della causa del malessere altra persona , non inerente alla causa stessa ?
Ovvero , qualcuno si sfoga in modo irabondo e non giustificato verso una persona solo come cassa di risonanza per fare percepire a qualcun altro la sua mancanza ?
Se fosse così ,non riuscirei a trovare giustificazioni possibili .

#45
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Utente 613XXX

Salve ...ti ringrazio molto se prendo una risposta...o partorito 10 mesi fa..dopo 5 mesi o saputo che soffre dell depressione post parto..adesso prendo welbutrin 150g..ma o la testa tropo pesante e anche mi gira tutto e spesso..poi un calore all collo che mi disturba sempre ...perche prima di sapere aveva le stessi sintomi...e normale questa grazie mille

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