Psicoterapia "a distanza"
“Il lavoro analitico richiede di essere intrapreso nelle condizioni che ne garantiscano al massimo il successo.” (Freud S.)
In questo periodo in cui è necessario seguire delle precauzioni per l'epidemia da COVID19, sono molte più del passato le psicotreapie che sono tenute "a distanza" con i moderni mezzi di comunicazione. Ecco alcune impressioni e chiarimenti.
La situazione di “lockdown” nella quale si sono venuti a trovare la maggior parte dei paesi del mondo, ha reso attuale e sentito il dibattito riguardante la psicoterapia con i nuovi mezzi di comunicazione messi a disposizione dalla “IT” (Information Technology) negli ultimi anni, come Skype, Zoom, e Whatsapp o anche il semplice telefono, mezzi accomunati comunque dal fatto di permettere la possibilità una comunicazione “a distanza”.
Contemporaneamente a questo rinnovato interesse, sembra aumentata la disponibilità dei professionisti e delle società scientifiche a dare a questi mezzi di comunicazione più importanza che in passato, ritenendoli oramai validi strumenti professionali di aiuto terapeutico.
Per quanto mi riguarda, la mia esperienza nel periodo precedente il COVID19 è stata sporadica, e l’orientamento che sentivo di utilizzare (e che avvertivo anche nei colleghi) poteva sintetizzarsi nell’opinione che delle sedute a distanza potessero essere comunque “meglio che niente”.
Attualmente questo modo di lavorare ha perso il suo carattere sporadico e mi sembra che emergano una serie di aspetti critici che vorrei trattare nell’elenco che segue, che non ha la pretesa di essere completo ma ha lo scopo di mettere il paziente in una condizione di maggiore confidenza con queste recenti modalità di praticare la psicoterapia, e di confrontarmi con i colleghi su una serie di questioni che hanno un’immediata ricaduta sulla nostra attività professionale con queste nuove modalità.
Vorrei sottolineare che qui intendo considerare solo quei casi che nei quali un precedente rapporto psicoterapeutico vissuto di persona viene proseguito con i mezzi prima ricordati.
Ritengo che iniziare un rapporto psicoterapeutico a distanza ponga dei problemi e delle questioni ulteriori, forse insormontabili. Solo per accennare a questa ultima situazione, si verrebbe a creare la questione iniziale se la “psicoterapia online” viene cercata dal paziente come forma preferenziale di contatto con il terapeuta, e quindi si porrebbe il dovere iniziale di cercare le cause superficiali e profonde di tale preferenza, che di solito appare contraria a quella che ci si aspetterebbe in un rapporto visto come, almeno prevalentemente, benefico, piacevole, non minaccioso (Nichini 2019).
Aggiungerei che mi occuperò qui della mia esperienza psicoterapeutica con metodi psicoanalitici.
Nei casi nei quali, come attualmente capita di sovente, si è costretti a proseguire un rapporto psicoterapeutico a distanza, mi sembra che vengano all’ordine del giorno, tra noi terapeuti e con i pazienti, una serie di questioni:
1) Un aspetto sul quale penso che tutti i psicoterapeuti concordano, è che questa particolare nuova comunicazione e questo particolare nuovo rapporto a distanza debbano essere affrontati e discussi con il paziente in maniera non superficiale, cercando di evitare la naturale tendenza dell'essere umano di far passare per chiari e compresi aspetti relazionali che non lo sono.
In altre parole non si può fare finta di niente rispetto al fatto che una relazione così intima come quella psicoterapeutica avvenga con mezzi che fino ai giorni nostri erano ritenuti avere un valore relazionale minore (dagli stessi psicoterapeuti).
Per inciso, non è detto che la relazione a distanza sia considerata sempre meno “importante”: per molti aspetti i pazienti percepiscono la “telefonata” con il medico più confidenziale.
2) Un secondo aspetto correlato al primo è che come tutti i colleghi sanno, la relazione psicoterapeutica ha sempre avuto una parte “sommersa” significativa, “ospitata” nelle sue modalità pratiche e concrete di svolgimento, nei parametri spazio temporali nei quali avveniva e nelle sensazioni fisiche, corporee, che si accompagnavano, e che venivano percepite dal paziente e dall'analista nelle sedute.
Il fatto che le sedute avvengano a distanza, da un lato modificano profondamente questi aspetti “non verbali” degli incontri, dall’altro li rendono meno accessibili alla psicoterapia.
Ad esempio le interruzioni tra una seduta e l’altra, che hanno sempre assunto un significato importante per il paziente ed il terapeuta, assumono aspetti percettivi differenti se le sedute avvengono con il terapeuta che è sempre distante nello spazio.
Le separazioni tra “una telefonata e l’altra” possono appiattirsi nella sola dimensione temporale, quasi come uno iato tra “on line” e “off line”. Questo mentre è proprio negli aspetti non verbali della relazione, negli aspetti più concreti del "setting" che avviene la comunicazione con la parte più profonda e immutabile della nostra personalità.
Con queste premesse si può comprendere che non solo può non essere così facile "analizzare " con il paziente le nuove modalità di continuare le sedute ai tempi del coronavirus, ma può risultare persino difficile riuscire a percepire e a comprendere cosa è cambiato nel vissuto del paziente.
3) In altri termini, si può dire che la mancanza di caratteristiche fisiche della relazione tra terapeuta e paziente può far si che l'incontro psicoterepeutico risulti meno coinvolgente nei confronti di quella parte della personalità più sensibile agli aspetti concreti, materiali del setting, parte che è stata definita "psicotica" per la sua resistenza al cambiamento e alla realtà esterna.
In questo senso penso che sia esperienza comune l’aver constatato che i pazienti psicotici, per quanto apparentemente poco coinvolti nel rapporto psicoterapeutico nei suo aspetti verbali, manifestino una insospettabile sensibilità a certi particolarità "esteriori" come gli orari e le modalità degli appuntamenti.
Non è superfluo ricordare che noi tutti ci sentiamo più in contatto in un incontro reale, quindi non è sorprendente che il paziente psicotico, che può avere compromesso il canale di comunicazione verbale e simbolico, possa fare affidamento di altri sulla "cornice" fisica dell'incontro, dare più significatività alla presenza fisica del terapeuta.
4) Come osservato, quello che può mancare nella seduta "a distanza" non è la comunicazione, "il segnale", ma il resto, il “rumore di fondo” che fa parte della relazione nella sua globalità, come anche il significato del valore del “silenzio”.
In questo senso la presenza del silenzio viene a modificare il suo valore a seconda che nell’incontro con il terapeuta questi sia effettivamente presente nella stanza o invece distante, presente solo attraverso un canale comunicativo elettronico.
In quest’ultimo caso sembra che il più delle volte il silenzio sia vissuto come sgradevole, sterile, quando è esperienza comune che il silenzio in una seduta tradizionale possa essere sentito in molti maniere diverse, spesso in maniera comunque gradevole, accogliente, gravido di significati.
Possiamo comunque facilmente renderci conto che se è possibile tollerare un lungo silenzio "dal vivo", questo è meno possibile nella seduta "a distanza". Penso che questo fenomeno abbia a che vedere anche con quanto postulato da quel noto studioso della comunicazione umana, Watzlavick, per cui in una relazione "non è possibile non comunicare".
In altri termini non ci è possibile non cercare di dare un significato a tutto quello che ci accade quando stiamo in relazione con qualcuno, non ci è possibile non cercare di organizzare le percezioni che ci giungono da quel qualcuno in un rapporto di comunicazione. Sotto un altro, ma analogo, punto di vista Eric Berne all'inizio del suo principale libro “ A che gioco giochiamo” parla della necessità degli esseri umani di strutturare il loro incontro, il loro stare insieme.
Per far tutto questo, in una situazione “dal vivo”, due persona in silenzio hanno anche altri input non verbali per dare un significato e strutturare quello che avviene, mentre nella stessa situazione in una comunicazione a distanza può essere percepita come una sgradevole “assenza di significato”. Probabilmente in un incontro dal vivo il silenzio può essere tollerabile, perché può voler dire molte cose.
Può ad esempio voler dire che vogliamo del tempo per pensare a quello che è stato comunicato, o che si vuole comunicare. Può essere sentito come l'espressione del desiderio che si vuole che l'altro pensi a quanto è stato comunicato e che vuole comunicare o che si ritiene più giusto non aggiungere altro, o che non ci si ritiene all'altezza di dire qualcosa. In ogni caso il silenzio può essere agevolmente messo in relazione a quello che si è comunicato o si comunicherà perché la nostra stessa presenza comunica che si intende continuare a stare assieme, a comunicare, a pensare assieme.
Ovviamente è molto più difficile comunicare tutto ciò al telefono, ma anche con un contatto visuale telematico, perché quel contatto visuale telematico esiste solo in funzione di uno scambio di informazioni, mentre lo stare assieme nella stessa stanza ha il significato in sé che si desidera stare e pensare assieme. Inoltre sappiamo che la mente umana ha una naturale tendenza a organizzare in un significato i messaggi che le arrivano.
Nel caso del silenzio dal vivo, abbiamo la possibilità il più delle volte di dare un senso al silenzio, un significato almeno possibile. Probabilmente è molto più difficile che questo avvenga in un silenzio durante una seduta a distanza, nel quale viene a mancare una parte più o meno importante della comunicazione non verbale.
Dal punto di vista pratico questo fa sì che le sedute divengano più “parlate” e che si perda la tridimensionalità del discorso, che invece di essere fatto di pieni e di vuoti, e magari di echi, diventa, nel caso delle comunicazione per telefono una immaginario segmento, una riga di testo.
Da questa mancanza di "tridimensionalità" della comunicazione on line penso che derivi parte delle sue caratteristiche insoddisfacenti, un po’ come un concerto dal vivo sarà sempre più piacevole di una musica riprodotta, sia pure con estrema fedeltà digitale.
5) Quello del "piacere" dell'incontro è un altro aspetto che a mio parere va tenuto presente, perché rischia di passare inosservato e alterare l'equilibrio della relazione terapeutica.
Se vediamo quello che può succedere nel terapeuta, ricorderei che per quanto la relazione psicoterapeutica ha sempre degli aspetti faticosi, qualche volta ingrati, penso che non possa esistere una psicoterapia utile senza una gratificazione del terapeuta, non solo economica, per l’incontro con il paziente. E' proprio questo quid di gratificazione che potrebbe essere alterato dal contatto con il paziente con i moderni mezzi di comunicazione.
Se si guarda il punto di vista del paziente, il problema appare ancora più preoccupante. Come ci indicò Freud, se noi assumiamo un un corretto atteggiamento, il paziente tenderà a vedere il medico come le figure positive del suo passato e ad attendersi quell’amore e quell’attenzione che si attendeva da queste figure nel passato. Passare da un incontro reale a quello on line può sembrare al paziente come frustrante anche se magari per una sua tendenza alla compiacenza (conscia o inconscia), questo non viene manifestato apertamente o neanche riconosciuto.
Sempre in questo ambito viene da ricordare la definizione di Winnicott dell'analisi come "una forma specializzata di gioco". Ovviamente tale "gioco" può risultare alterato, meno spontaneo, nell'incontro a distanza rispetto a quello "dal vivo".
La dimensione di "gioco" della seduta analitica, la cui importanza è stata individuata anche da molti altri autori successivi, è tuttavia molto sfuggente, e ha a che fare con l’autenticità dell’incontro, con i suoi aspetti paradossali, o meglio con gli aspetti paradossali che la coppia analitica vive assieme, è talvolta fatta proprio degli aspetti "fuori- onda", tutti aspetti che rischiano di perdersi nell'incontro a distanza.
Bibliografia
- Freud S. Introduzione alla Psicoanalisi. Bollati Boringhieri. 1999.
- Nichini C: Black Mirror e teleanalisi: il corpo come limite e fondamento dell’esperienza. Rivista di Psicoanalisi. Raffaello Cortina Editore. Anno LXV - N.1 - Gennaio/Marzo 2019.
- Watzlavick P e al. Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Astrolabio. 1978.
- Berne E. A che gioco giochiamo. Bompiani. 2018.
- Winnicott D. W. Gioco e realtà. Armando. 2020.