Cervello e domande: uso e senso dei questionari in psichiatria
La psichiatria scientifica si avvale di questionari. Parte della ricerca è volta alla “prova” di ipotetici questionari, e alla misura delle informazioni che riescono a dare. Trattandosi di uno strumento verbale, è inoltre soggetto ad essere convalidato limitatamente alla capacità di comprendere la lingua e il lessico ad un livello non sempre comune. E, naturalmente, il cambio di lingua è un fattore che fa ripartire quasi da capo la prova della validità di un questionario.
Il questionario misura, in sostanza, non il contenuto delle domande, ma la reazione della persona come risposta standardizzata a quelle domande. Per intenderci, la domanda “Lei ha una vita felice? ” misura niente altro che la tendenza a fornire una risposta scegliendo, ad esempio, tra “vero” e “falso” ad una domanda posta con quelle precise parole, e non ci dice niente sulla felicità della vita di quella persona per come potrebbe essere giudicata con altri metri, o per come la persona stessa potrebbe dichiararla in altri contesti.
Lasciando stare però domande inerenti concetti poco definibili, come la felicità, prendiamo una domanda che riguardi un dato oggettivo, ovvero “Quanti anni ha? ” non misurerà, a regola, l'età della persona, ma cosa la persona risponde ad una domanda sulla sua età. Si potrebbe pensare che è la stessa cosa in sostanza, e in molti casi lo è, ma in tanti altri no, perché la percezione di sé, del proprio stato emotivo, e perfino di dati oggettivabili, risente di variabili psichiche.
Lasciando stare le demenze o i ritardi mentali, in cui la persona eventualmente “sbaglia” o “non sa” rispondere. Lasciamo stare di come le risposte cambino con la situazione, per esempio un ambulatorio o una perizia del tribunale. Parliamo proprio di come la risposta cambi con altre variabili mentali.
Se chiediamo ad una persona depressa se ha mai avuto momenti felici nella vita, o di dare un voto da 1 a 10 al proprio destino fino a quel giorno, le risposte risentono della depressione. Un depresso affermerà ad esempio di non riuscire a concentrarsi, o a dormire, anche se in verità riesce a farlo, con una fatica soggettiva (per la concentrazione), o senza la sensazione di aver riposato (per il sonno).
Se chiediamo ad una persona in fase maniacale se ha buoni rapporti con gli altri o è irritabile, risponderà che ha ottimi rapporti con tutti e che tutti le vogliono bene. Tutto questo spesso in concomitanza con fasi in cui amici, parenti e familiari sono praticamente “disperati” per i comportamenti disinibiti, aggressivi, esagerati e rischiosi della persona.
Gli stati umorali arrivano fino ai deliroidi: quello depressivo, in cui si afferma di non espletare più le proprie funzioni corporee, di non vedere più nessun conoscente, di vivere in solitudine, di non avere più risorse né beni; quello maniacale, in cui si nega tutto ciò che è in contrasto con affermazioni critiche o negative nei propri confronti, e viceversa si affermano in maniera secca e universale condizioni favorevoli e di merito rispetto a se stesse.
In queste condizioni le persone non sono veramente deliranti, cioè conoscono la realtà dei fatti, ma nel confronto finalizzato ad essere giudicate e inquadrate tendono, in maniera decisa e perseverante, ad affermare non veritiere o estremamente distorte.
Si prendano un insieme di sintomi, e si chieda ad un gruppo di persone di riferire se li ha, e quanto sono forti. Si otterranno profili diversi, ma alcuni fattori influenzano la modalità di risposta, tra cui il “temperamento affettivo” (ipertimico-distimico-ciclotimico).
Se la valutazione è fatta sugli stessi sintomi anche da un'altra persona, si può misurare lo scarto tra ciò che la persona riferisce di sé, e ciò che l'altro valuta sugli stessi sintomi.
Le persone di carattere esuberante, estroverso, sicure di sé, tendono a descriversi “meglio” di come gli altri li valutano. Le persone introverse, insicure e malinconiche tendono a descriversi “peggio” di come gli altri li valutano. Le persone dall'umore instabile, variabile, ambivalente, tendono a descriversi “sia meglio che peggio”, cioè amplificano l'entità sia degli aspetti positivi che negativi, e insomma si attribuiscono molti più sintomi, di qualsiasi tipo. Questo avviene in un contesto in cui queste persone sono valutate a fini di ammissione in un contesto di carriera/lavoro.
(continua)