Miei mostri adorati - Il mostro come alleato, il controllo come nemico nella gestione del doc
Qual'è la radice psicologica dei mostri del cinema? Sicuramente, dei diversi esempi che mi vengono in mente, la maggioranza dei mostri si muove secondo le leggi delle ossessioni.
I mostri si possono evocare. Ovviamente non sarebbe di alcuna utilità invocare un mostro, il fatto è che le persone non resistono, e puntualmente li evocano, scatenando l'inferno. Candyman, per esempio, deve essere invocato tre volte, dopo di che esce dallo specchio e ti perseguita. L'ossessione non ti consente di tenere la paura dietro lo specchio, ti costringe a farla ritornar fuori ogni volta, quasi che uno si infilasse da solo nell'imbuto del pensiero. Per questo l'ossessivo, che poi si mostra terrorizzato dalle paure che si è fatto crescer dentro, si lamenta anche perché a volte se l'è andata quasi a cercare, stuzzicando le proprie paure con domande, richieste, ricerche. Magari il fatto di ripetere tre volte il nome Candyman, in origine, poteva essere un rituale per farlo sparire, una specie di scongiuro. Ma poi, come vuole la regola delle ossessioni, diviene solo una via per entrar dentro la ruota ossessiva: più ne parli, più ci ti avvicini.
Anche tutti i casi in cui il mostro si “sveglia” perché qualcuno ha dimenticato le regole per tenerlo buono, o perché ha sbagliato rituali, hanno un significato analogo. Tutti i rituali ideati per tener buono un fenomeno, o sono giusti (ma allora siamo nella magia), oppure sono semplicemente l'illusione del controllo, che è già un sintomo del fatto che l'ossessione sta prendendo piede. Prima o poi le regole diventeranno talmente difficili, complicate o odiose che a un certo punto la persona arriverà a scordarsele e a lasciar via libera al mostro. Come dire che più ci si infogna con i rituali, più si è vicini al cuore del problema. I Gremlins, ad esempio, sono animali che, se non tenuti in condizioni praticamente impossibili, si trasformano in mostri fuori controllo. Il venditore infatti è titubante a cederli, perché è quasi scontato che chi cercherà di gestirli ne perderà il controllo. La cosa buffa dei Gremlins è che saranno loro stessi a far precipitare gli eventi, a indurre chi li possiede nell'errore che poi li farà trasformare. I Gremlins non dovrebbero bagnarsi, altrimenti...si moltiplicano...niente di grave apparentemente, se non che le ossessioni moltiplicate cominciano ad essere “malefiche”, e tagliando il filo alla radiosveglia del protagonista, che così compie il terzo errore, ovvero nutrirli dopo la mezzanotte. Le ossessioni sono bagnate con la rassicurazione, e si moltiplicano, ma soprattutto a questo punto fanno perdere alla persona il giusto punto di vista: lo spingono a cercare il rituale migliore, anziché averne timore. E così facendo divengono gigantesche, tentacolari. Anche il mostro, come il disturbo, ha degli stadi di gravità, che portano dalla semplice intensificazione alla perdita della capacità di correre ai ripari.
Una versione paradossale di questa regola sta nel film L'armata delle tenebre, in cui il Protagonista è istruito a pronunciare la formula “contro” le forze del male, che egli dovrà usare per mettervi sopra un sigillo, per ricacciarle nell'inferno e riportare il mondo al sicuro. Il nostro eroe comicamente si scorda la formula e la dice sbagliata, con l'atteggiamento di chi crede anche poco nella validità di una stupida formula. Chiaramente, così facendo, i mostri invadono la terra, ma il punto non è questo: il punto è che noi rimaniamo convinti che, se la formula fosse stata corretta, avremmo avuto “il controllo” dei mostri. Invece, sostanzialmente, la formula possiamo anche sbagliarla, o sarà destinata a essere sbagliata prima o poi, e ciò che deve capitare capiterà. Se si è ridotti a dover confidare su una formula magica per tener lontano il male, vuol dire che il male è vicino.
Per proteggersi dalle ossessioni val la pena fare come il protagonista del film: fregarsene del pensiero magico, ed essere piuttosto pronti a fronteggiare i pericoli reali, quando si presentano. Quando infatti lui riesce, con le proprie mani, la propria intelligenza e un bel po' di fortuna, a vincere la battaglia con il Male, il Mago gli insegna ancora una volta la formula per chiudere il Male definitivamente all'Inferno. E lui la sbaglia di nuovo, facendolo ritornare. Come dire che nella vita non si può essere preoccupati di non far tornare il Male, se mai l'unica è aver imparato a combatterlo.
Gli zombi: già ne abbiamo parlato come metafora del pensiero che non muore mai, del pensiero morto che però ritorna, quindi dell'ossessione come pensiero “non morto”. La cosa curiosa di come l'epidemia di zombi si sviluppa, più o meno sempre, è che per fermarla basterebbe, nella prima fase, ucciderli tutti con un colpo alla testa. Eppure le persone non lo fanno, le persone non riescono a uccidere le proprie ossessioni, perché devono tenerle in vita per interrogarle. Così facendo il disturbo si accresce, fino a dimensioni in cui poi non si riuscirebbe più a chiudere uno a uno i punti di ingresso nelle ossessioni.
La soluzione anti-zombie? Un film ne ha inventata una, World War Z, che consiste nell'introdurre una variabile ossessione-repellente, che impedisca all'ossessione di attecchire. Questa variabile nel film è rappresentata come fosse una malattia, che rende l'uomo non desiderabile per gli altri zombi, indigesto. Nella realtà le ossessioni non attecchiscono quando il dubbio è “clonato”, cioè quando la persona si esercita nel dubbio, e crea quindi un terreno che non è affamato di controllo, su cui il tentativo di controllo non attecchisce. Senza illusione di controllo, l'ossessione rimane contenuta, e spesso “muore di fame”.
Passiamo ad un altro celebre esempio, il Nightmare con protagonista Freddy Krueger, il mostro uccisore di bambini dal maglione a righe, dal cappellaccio fuligginoso, orribilmente sfigurato dalle ustioni, e armato di un artigianale guanto dalle dita a coltello. Freddy lo conosciamo nel mondo dei sogni, anche se era stato un personaggio reale nella storia. Gli abitanti del paese fecero giustizia e lo uccisero con il fuoco, eppure non si liberarono mai dell'ossessione, non si liberarono mai del pensiero di “come poteva essere esistito” un uomo così. Per questo Freddy continua a vivere, in una dimensione che inizialmente pare onirica, poi chiaramente non lo è. Questo andirivieni tra sonno e veglia, che nel film va avanti a scatole cinesi, può significare semplicemente che non siamo né nella realtà vissuta, né nel sogno, ma nella realtà mentale dei protagonisti, dove le ossessioni vivono e si potenziano. Potenziandosi, è come se divenissero reali, come se passassero a invadere la realtà, anziché rimanere “dentro”. Un modo di dire che diventano “invasive”. Qual'è il rimedio a Freddy? Voltargli le spalle, voltar le spalle alla minaccia, un comportamento suicida per chi ha paura, perché toglie la possibilità di controllare chi incombe su di te. Eppure è così che lui svanisce, che perde forza, quando non cerchi di controllarlo, di calcolarlo. Lo estrometti dal sistema.
Lo stesso meccanismo che usa Dario Argento quando in Suspiria immagina che la strega sia sconfitta da chi osa voltare le spalle alle sue minacce. Voltando le spalle all'ossessione si riesce finalmente a vedere dove è che siede, che si nutre, che prospera. Non dietro le cose che ci fanno paura, ma dietro quelle che dovrebbero rassicurarci. A quelle è legata, in maniera talmente spaventata da partorire poi le ossessioni ogniqualvolta le cose non sembrano completamente sotto controllo.
Le soluzioni non derivano mai dagli “incantatori” di mostri, da coloro che cercano di esorcizzarli. L'esorcista stesso, nell'omonimo film, muore per controllare il demone Pazuzu, ma la partita rimane aperta. Le soluzioni derivano dai mostri stessi, che ti insegnano come sconfiggerli: guardandoli in faccia, o voltandogli le spalle, che poi è la stessa cosa: in entrambi i casi, non cercando di venire a patti, di vendersi alla paura per una temporanea rassicurazione.
Sarà per questo che un celebre regista horror, Lucio Fulci, odiava le sue paure ma era innamorato dei mostri che ne derivavano, che chiamava simpaticamente "miei mostri adorati".