Umore bipolare - dall'ipomania equilibrata a quella patologica: sognare il cielo o essere invidiati
Il disturbo bipolare è qualcosa di fortemente centrato sulla parte “carica”, cioè la mania/ipomania e gli stati misti dell'umore di tipo “agitato”.
Chi lo vive, esprime un disagio soggettivamente legato alla parte depressiva/ansiosa, ma questo perché il cervello non esprimerà mai un disagio per l'ipomania o la mania prese in sé. La consapevolezza che queste fasi sono anelli di una catena, e che quindi non sono la parte “buona” del disturbo, ma segnali che il disturbo è in attività, non è sufficiente per far sì che la persona si adatti facilmente alla cura.
La persona bipolare tende infatti a riprodurre l'ipomania, o ad attenderla, o a disperare che venga mai più. Alcuni autori parlano anche di una vera e propria “dipendenza dalla mania”, intendendo che a volte il disturbo non si ferma perché la persona, anziché favorire il processo terapeutico, sembra introdurre elementi che favoriscono la malattia, con lo scopo di provocare fasi eccitate, per quanto brevi o dannose.
Si potrebbe obiettare che chiunque in realtà vorrebbe essere sempre iperattivo, perché è una condizione vissuta con entusiasmo e, al di là dei rischi o dei danni che comporta, specie se protratta, coincide o si avvicina al concetto di felicità. Non è esattamente così, e vediamo perché.
Nella mitologia Greca uomini e Dei erano due specie fisicamente simili, ma separati da una differenza di poteri e di immortalità. Gli Dei avevano poteri magici, che tuttavia non utilizzavano sempre, ma in genere solo per contrastarsi e influire sulle sorti degli uomini che interessavano loro. Erano peraltro immortali.
Se gli uomini si interessavano agli Dei per averli amici, o per evitare di averli contro, gli Dei sembravano però ossessionati dalle sorti umane, quasi fosse il loro piano di realizzazione personale. Come se, da un certo punto di vista, i mortali fossero esseri più interessanti, quasi da invidiare.
Gli Dei infatti, dice Achille confidandosi con la sua schiava, in fondo invidano gli uomini, proprio perché sono mortali: l'essere mortali rende ogni loro sentimento più vero, più intenso, perché si svolge in un momento, e non in un altro. L'eternità toglie il sale dal cibo. Un arrosto “infinito” non sa di niente: ci può essere sempre, è illimitato, compare quando vuoi, è sempre buono. Non può più essere desiderato, e anche il gusto è relativo. Il fatto che l'uomo possa invece, ad esempio, amare per un tempo limitato, e che certe cose per lui non siano ripetibili, le rende però migliori.
Anche nell'ipomania esiste questa sensazione, di essere cioè oltre la divinità, perché lo star bene tutto insieme, anche se finirà, è un dono che supera il benessere teorico, si svolge qui e ora e per questo ha un sapore vero. E' una differenza, uno star bene a partire dalla normalità, o come rinascita dopo un malessere, ed è questo che lo rende “magico”. Star bene sempre è un “nulla” emotivo. Per questo spesso le persone bipolari, anche stando discretamente, vivono la condizione come un “nulla”, qualcosa di statico, mentre corrono rischi e si fanno danni per riprodurre ipomanie anche brevissime, magari con il condimento di sostanze stimolanti o narcotiche.
Alcuni pazienti perpetuano una condizione di umore grigio attraverso ipomanie auto-provocate (per esempio con la cocaina), ma per loro questo sembra preferibile che non un graduale ritorno ad una normalità senza particolari guizzi.
La questione però ha anche un altro aspetto. E' vero che l'esperienza maniacale/ipomaniacale può essere qualcosa di migliore di una ottima normalità (come nel paragone tra la felicità di un attimo degli uomini e la grazia perenne degli Dei)..però nel decorso del disturbo bipolare le cose cambiano un po'.
Alla fine, in questa rincorsa dell'ipomania, l'uomo capovolge il discorso. Vorrebbe cioè che fosse sempre ipomania, non tollera più quando non lo è. Così facendo, è come se fosse l'uomo a pretendere di esser sempre felice come gli Dei. Ma come abbiamo detto, l'ipomania eterna e persistente degli Dei in realtà è “disumana”, e non è così bella. Per l'uomo sicuramente è impossibile, per cui insistere per ottenerla genera solo una frustrazione continua.
La persona bipolare, che inizia “invidiata” dagli Dei, finisce per pretendere di essere simile ad essi, in un fraintendimento senza soluzione. Ritornare ad essere invidiati dagli Dei, rinunciando all'ipomania perenne, sarebbe lo scopo del percorso terapeutico. Percorso non breve, e non semplice per chi lo vive, perché costellato da momenti di noia e di sconforto, al pensiero che non vi saranno più momenti di umore “alto”. Non è ovviamente così, anzi la possibilità di avere nuovamente l'umore alto dipende proprio dalla rinuncia ad averlo subito e sempre.
Questa pretesa, di avere la felicità in forma divina: pronta, persistente e senza vincoli, era denominata “ubris”, ed era un peccato contro gli Dei. La Ubris era il peccato di Icaro, che crede di poter volare in cielo con delle ali di cera, in piena fase maniacale, ed è punito dagli Dei quando il sole scioglie la cera. In realtà le ali di cera funzionavano, ma Icaro volle volare troppo vicino al Sole, e in questo fu il suo peccato.
Prometeo credette di poter insegnare agli uomini l'uso del fuoco, ma lo fece senza il permesso degli Dei. E così fu punito.
L'umore buono e anche alto non sono quindi impossibili, e anzi sono quel qualcosa che alla fine restituisce, in un equilibrio generale, anche il mordente alla vita dei bipolari. Il problema è però che questo equilibrio non può venire da una ricerca e riproduzione del fenomeno “ipomania” da dentro il disturbo che si è sviluppato. Si può invece pensare che bloccando il disturbo vi sia poi un umore che permette anche elevazioni controllate, ma questo solo dopo un periodo di “risacca” inevitabile.
L'ideale della cura del disturbo bipolare è quindi quello di tornare in condizioni da essere invidiati dagli Dei, lasciando perdere la pretesa empia di rincorrere l'ipomania patologica.
Forse il miglior esempio corrisponde al mito dei ciclopi. I ciclopi, già forti e potenti, erano invidiati dagli Dei. Tuttavia, essi credettero di essere inferiori a loro, che avevano numerosi poteri. Decisero quindi di chiedere agli Dei il dono della preveggenza, di leggere il futuro.
Gli Dei, per soddisfare la loro invidia, promisero una parte della preveggenza divina (non tutta, perché non si può diventare Dei in tutto e per tutto) il cambio di un occhio. Così i ciclopi divennero orbi, e ottennero la preveggenza, ma solo per poter conoscere in anticipo il momento della loro morte. Così facendo, divennero una stirpe di infelici, che aveva venduto un occhio (che gli Dei invidiavano) per ottenere una inutile preveggenza.
Così nel bipolarismo, la strada è quella di non rinunciare alla propria base, anche se si parte dal basso, per avere una ipomania inutile e fatua, che è anzi fonte di sofferenza (perché poi fa vivere peggio la normalità). I bipolari dovrebbero fare come non fecero i ciclopi: non aspirare all'ipomania eterna, ma coltivare il proprio equilibrio, all'interno del quale le ipomanie possono anche svolgersi in maniera innocua e sostenibile.