Dipendenza da oppiacei: perché i sostitutivi curano e la disintossicazione riproduce la malattia
La dipendenza da oppiacei è una malattia potenzialmente grave, sicuramente non tendente alla guarigione spontanea, ma fortunatamente ben curabile e anche in maniera standard.
Questo significa che per curarla bene non importa conoscere troppi dettagli o dinamiche, ma occorre invece avere gli elementi per formulare la diagnosi e poi alcuni elementi per scegliere tra le terapie disponibili (sostanzialmente due).
Come si cura la dipendenza da oppiacei?
Quello che spesso confonde le persone è un termine assolutamente da cestinare, usato per indicare queste cure, che è “sostitutivo”, cure “sostitutive”. Tecnicamente parlando, l’espressione corretta è cure agoniste, che indicano farmaci dalle proprietà oppiacei e dalla funzione curativa per la dipendenza da oppiacei. Purtroppo il termine sostitutivo è rimasto sia tra i malati che tra gli operatori.
Una persona arriva con una sindrome d’astinenza, prende metadone o suboxone, e ad una certa dose, semplice da trovare, l’astinenza è bloccata o prevenuta. Bene, in base a questo si dice che sia un “sostitutivo”, ma in realtà non lo è, neanche in questo uso.
Il tossicodipendente infatti non è mosso solo dall’astinenza. E non è mosso essenzialmente dall’astinenza. È mosso dalla voglia, e solo la prima parte di eroina serve contro l’astinenza, per andar pari, poi la parte più importante è quella che serve per sentire l’effetto.
Infatti, molti assumono un po’ di farmaco per non avere astinenza, poi cercano l’eroina e la usano per sentire l’effetto. Alcuni credono di poter continuare così, e di usare i soldi solo per l’eroina che sentono, risparmiando. Ovviamente il problema non si porrebbe se non ci fosse l’astinenza, e l’astinenza deriva da un uso continuo.
Le persone che vanno avanti con un po’ di metadone e un po’ di eroina in realtà tendono poi a perdere nuovamente il controllo, e lo fanno verso l’eroina. Addirittura nel perdere il controllo non sono più in grado di presentarsi a ritirare il farmaco, saltano i giorni. Altri invece lo scalano da soli o con l’aiuto de medico per trovarsi in una condizione di libertà dal farmaco, che serve per riusare l’eroina e sentirla, senza più astinenza né necessità di una cura per evitarla.
La cura data o presa così serve a qualcosa di collaterale, ma non è la cura metadonica, o la cura buprenorfinica per come sono state messe a punto. Chi ha proposto, studiato e messo a punto nei dettagli queste cure per la dipendenza non lo ha assolutamente fatto perché servissero per curare l’astinenza per poi essere scalate.
Non è mai esistita una cura per la dipendenza che preveda assunzione di metadone o buprenorfina per poco tempo, poi riduzione e sospensione. Queste non sono cure, sono solo interventi per riportare il tossicodipendente a livello zero di assuefazione, lasciandogli il 100% della sua malattia, e anzi a volte anche aumentando alcuni rischi, come quello di overdose da ricaduta. I morti di overdose da ricaduta parlano continuamente dalle cronache dei giornali: sono quelli scappati di comunità, dimessi dalla comunità, dimessi dalle cliniche, magari cliniche private dopo cure costose, disintossicati rapidamente in maniera indolore, e così via.
I curati non fanno notizia, e d’altra parte è proprio questo il punto. Non la fanno perché non sono riconoscibili. Stanno meglio, bene. Non hanno addosso un’eroina farmacologica, non hanno addosso un “sostitutivo”. Non sono impegnati nel consumo e nella ricerca del farmaco, che vivono come un vincolo, una scocciatura, e spesso non sono neanche convinti che gli serva davvero, tanto che spesso se lo tolgono, si convincono che la malattia non ci sarà più, che l’ultimo segno è proprio la cura, e la tolgono come qualcosa di inutile e incomprensibile.
Chi si cura a lungo ha solo una cosa “sostituita”: la malattia sostituita con la salute. La rovina della vita con la ripresa e il mantenimento di un buon potenziale.
La vera sostituzione della dipendenza è la disintossicazione. La disintossicazione riproduce esattamente quel che avviene già nella dipendenza, e lo amplifica. Disintossicare una persona senza altre cure significa migliorare la capacità dell’eroina di attecchire nuovamente su quel cervello, cosa che accadrà per la natura della malattia, che è rimasta uguale prima e dopo la disintossicazione. Soltanto è più nascosta, e quindi più pericolosa, perché la ricaduta avviene quando tutti si aspettano il contrario, o tutti pensano che il peggio sia passato. Anche il paziente a volte.
Si creano situazioni paradossali in cui la persona, entrando e uscendo dalla sua dipendenza, cioè avendo una dipendenza (che per natura procede per ricadute e sospensioni, ricadute e sospensioni…), anziché concentrarsi su come fermare questo andamento, cioè prevenire le ricadute, si concentra su come attuare la sospensione.
E dentro questa sospensione ci fa cadere anche la cura, che diventa un “nemico”. Quando le persone si fissano in questo atteggiamento poi fanno proprie tutta una serie di “scuse” o di miti a proposito del fatto che la cura è peggio della malattia, che è più difficile toglierla (sintomo del fatto che uno sta pensando a togliere, e non a curarsi; e ragiona su una libertà che non ha), fino all’invenzione di effetti collaterali inesistenti (la cura fa male alle ossa, al fegato etc).
Quanti sono alla ricerca di una disintossicazione, spesso cercando chissà quali cliniche all’estero, pronti a spendere cifre per praticare queste terapie, sappiano che non in questo consiste la terapia per una dipendenza, e in particolare quella da oppiacei. Questo è semplicemente un “sostitutivo” di quello che la dipendenza da fa sé, cioè sospensioni e ricadute, sospensioni e ricadute. Più si aggrava, più uno è convinto che questa volta è la volta buona, che ci deve mettere volontà, e così via.
La volontà è malata in questa malattia, non su tutto, sulla sostanza. Quindi qualsiasi decisioni potrebbe reggere, certo non quella di tenersi lontano dalla ricaduta. Quella no, è guidata in automatico della malattia. La volontà, nella ricaduta, appartiene alla malattia. L’intenzione no, la volontà purtroppo sì.
La conclusione è che le cure devono andare nel senso opposto alla malattia, non agevolarla, non riprodurne le dinamiche, non usare strumenti medici per fare quello che la tossicodipendenza vi fa fare. La cura non è “come sospendere”, la cura è come arrestare l’uso, ora e soprattutto per il futuro.
Ma se non c’è la seconda componente, il futuro, la dipendenza è destinata a colpire ancora, essendo malattia recidivante.