Droga, violenza e lucidità, parte II - il caso Pizzocolo

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Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

qui in esame sommariamente il caso Pizzocolo. L’episodio consistette nell’omicidio di una prostituta in un contesto sessuale, durante un incontro a pagamento in un motel da parte di un cliente già conosciuto. L’uomo filmò l’episodio, come ne aveva filmati numerosissimi altri “normali”, e proseguì poi la serata portandosi dietro il cadavere in un altro motel, dove fece sesso col cadavere e lo filmò. Durante tutto questo periodo, come era solito fare anche in precedenza, consumò cocaina in quantità notevoli, prodotti per l’erezione e altri meno noti come ghb e gbl.

 

Di fronte all’orrore suscitato dall’episodio, è ovvio che al momento del processo l’attenzione sia puntata su cosa sarebbe stato detto a proposito della “capacità di intendere e volere”.

Una premessa sul tema: il giudizio sulla capacità di intendere e/o volere non è l’unico elemento di una perizia psichiatrica, che deve ad esempio fornire anche una stima della pericolosità.

 

“Un giorno in pretura” ha dedicato una puntata alla sintesi del processo. Pizzocolo ha descritto un fenomeno dissociativo, per cui da una parte “non poteva non essere” consapevole di quello che faceva, e di quello che era successo, ma dall’altra viveva in uno stato sognante in cui credeva di parlare e interagire con la donna ormai cadavere. Ad esempio dice di aver osservato il filmato in cui fa sesso col cadavere, ma di non avere di questo memoria, e di non averla recuperata neanche vedendo le immagini. La sua memoria è invece una serie di frammenti dal contenuto nitido ma dalla sequenza sgangherata in cui la donna era viva, mangiava e camminava con lui, avevano rapporti etc.

 

Psichiatricamente parlando, non c’era una malattia nota anche se la condotta sessuale era particolare. Pizzocolo aveva necessità di più rapporti o orgasmi durante il giorno, e per questo frequentava regolarmente prostitute (non altre donne non a pagamento, solo prostitute) e raccoglieva materiale pornografico (in parte “autoprodotto” registrando i suoi stessi rapporti) che poi in minima parte utilizzava.

 

Come dice il consulente di parte, un porno-accumulatore che separava la vita sessuale con la compagna (inserita in un contesto più ampio di vita familiare) con la sessualità individuale, gestita tramite “prestatrici d’opera” rispetto a cui non aveva disagio né particolare slancio. Un sesso “oggettuale” quindi, che non prevedeva come componente interessante la complicità o il desiderio reciproco.

 

Ora, questo tipo di abitudine sessuale, certamente esuberante e certamente “parafilica” nel senso di diversa da quella interattiva, non sembra però un vero e proprio disturbo, almeno nel senso che il Pizzocolo non lo riferisce come fonte di disagio. Si tratta di comportamenti non sempre stabili: nel caso del Pizzocolo c’era qualche indizio sul fatto che la cosa stesse prendendo una piega “maligna”. Ad esempio il fatto che è stato trovato in possesso di un documento di un collega che aveva falsificato applicandovi la sua foto, e che usò per dichiarare false generalità al motel. Altro fatto è che avesse portato con sé le famose “fascette autobloccanti”, che se anche usate per un gioco erotico, sono comunque strumenti non sicuri, più adatti ad atti di costrizione violenta. Infine, la compagna addirittura pretendeva che lui avesse rapporti con lei per evitare che li cercasse altrove, fatto che indica come lui, di per sé, non fosse assolutamente disposto a rinunciare al ritmo dei rapporti sessuali (era incoercibile).

 

Resta l’aspetto dell’uso di sostanze. Pizzocolo non dormiva da giorni, “pieno” di cocaina ma non per questo agitato (come si deve dal video), e aveva usato due prodotti con proprietà inebriante e disinibente, che lasciano anche tipicamente un’amnesia a ritroso.

L’accusa sembra perplessa nel capire quale ruolo dare a questa variabile. Accerta subito la sussistenza o meno di dipendenza, peraltro in maniera impropria, cioè dal fatto che alla carcerazione di sia verificata astinenza. L’astinenza da cocaina è un’astinenza “letargica”, che non rende urgente alcun tipo di intervento e si consuma passivamente. Ma anche ci fosse effettivamente stata, questo non significa che chi era “abituato” alla droga non avesse il controllo sul suo uso. Sono due cose sostanzialmente diverse.

Sicuramente l’aver mischiato sostanze eccitanti e disinibenti aumentano la possibilità di avere stati di disorientamento (oniroidi), deliri o episodi di perdita del controllo. In questo caso si sarebbe trattato di un gesto impulsivo “predatorio”, compiuto in maniera maliziosa, abile e furtiva, e cioè non di un raptus agitato e disorganizzato.

Niente di strano però, perché i raptus non sono per forza di cose disorganizzati. Si potrebbe dire che un soggetto in preda ad un istinto sessuale molto acceso cerca rapporti mercenari, ed è curioso che già in partenza confonda il contrattare una prestazione con il “condividere fantasie di giochi erotici” con la prostituta. Se a questo si aggiunge una disinibizione di altro tipo, cioè dissociativo, in cui la persona compie azioni senza percepirsi dentro un’unica realtà, è più che possibile che il risultato sia un “caos calmo” fatto di atti esternamente organizzati ma privi di costrutto, come una ruota che gira a vuoto.

 

Certamente il destino giudiziario di chi usa sostanze non è univoco, perché l’uso abituale, occasionale, fortuito o programmato, o la dipendenza sono tutte situazioni con livelli di responsabilità giuridica diversi.

Certamente chi apprende questi fatti è turbato dal fatto che le perturbazioni chimiche possano produrre comportamenti di questo tipo. La conduttrice ad esempio parla di un “lato nascosto” che forse era nascosto agli altri, o forse anche al Pizzocolo stesso.

In realtà questo “lato” è una possibilità, che finché non si realizza non c’è, non c’è né moralmente né concretamente. Ma quando si realizza, c’è concretamente senza magari esserci mai stata moralmente, nelle intenzioni.

 

L’altro aspetto che turba l’opinione pubblica è che la perturbazione chimica non sia un temporale, uno sconquasso visibile da chiunque. Il drogato pericoloso non si aggira come King Kong arrampicandosi ai grattacieli, non grida a squarciagola strappandosi i vestiti, ma può compiere azioni apparentemente normali, organizzate, lucide. Guida, si ferma in un autogrill, compra da mangiare, va in un motel, prende una stanza, scarica il cadavere e lo porta dentro per farci sesso, poi lo scarica e torna a casa. Una parte di cervello funziona in maniera alterata senza che questo significhi un sovvertimento totale: capovolgendo, non è necessario essere agitati e deliranti per poter compiere atti estremi e antisociali. Questo mette in crisi una visione dell’uomo in cui la morale c’è finché il cervello non crolla del tutto.

 

In questo si inseriscono le sostanze d’abuso, che è facile vedere come agenti perturbanti, ma non come elementi in grado di cambiare la morale di un cervello, di eliminare l’empatia, di rendere desiderabile un atto che danneggia gli altri senza che subentrino altri freni o scrupoli.

 

La differenza tra il fare e il non fare, che è il punto teoricamente più solido della struttura morale di una persona, viene invece ad essere quello più aggredibile.

Data pubblicazione: 12 maggio 2016

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