O Maria Salvador... quando la cannabis non fa cantare così bene
Chi si fa una canna, generalmente sperimenta un senso di maggior rilassatezza, una sensazione di lieve euforia ed in quei momenti è un po’ più appannato.
Sono gli effetti tipici dei cannabinoidi: rilassatezza, euforia e lieve compromissione cognitiva. In alcuni casi, più rari, ma non così tanto rari, si assiste al cosiddetto “bad trip” (cattivo viaggio): alcuni infatti iniziano ad avvertire una sensazione di ansia crescente e in alcuni casi possono avere anche un attacco di panico, altri invece sperimentano reazioni paranoidi transitorie, in cui pensano che la CIA li stia aspettando sotto casa. Queste ultime reazioni sono molto pericolose e possono anticipare disturbi molto seri a cattiva prognosi come le psicosi da Cannabis.
Non è mio compito condannare o assolvere le canne, dire la mia se sono d’accordo o meno con la legalizzazione, e via dicendo... ci sono organi preposti a far questo. Anche perché la relazione esistente tra disturbi psichiatrici e uso di cannabinoidi è controversa e non del tutto chiarita. Inoltre, dando un’occhiata su Pubmed (la banca dati di lavori scientifici più grande al mondo), ci si accorge di come gli studi volti a valutare ad es. i disturbi cognitivi prodotti da un eventuale uso di cannabis sono molto pochi (ne ho visti solo 3 rispetto ai 1000 studi fatti sulla cognitività in soggetti con abuso alcolico).
Questo è legato soprattutto al fatto che si pensa alla cannabis come a una “droga leggera”, che non da facilmente dipendenza e quindi meno dannosa. Il fatto che una larga parte dei consumatori di cannabis non finirà in un ospedale psichiatrico e non svilupperà mai dipendenza o sintomi di tipo psichiatrico, non significa che chi sviluppi sintomi di questo tipo sia meno grave rispetto a abusatori di altre sostanze.
Devo purtroppo dirlo (e non per fare terrorismo psicologico), i disturbi psichiatrici insorti in relazione a uso di cannabinoidi (dai disturbi dell’umore ai disturbi d’ansia fino alle forme psicotiche) sono in realtà molto gravi e spesso resistenti al trattamento.
Di un "disturbo" in particolare vi voglio parlare. Nella pratica clinica, capita di vedere sempre più spesso ragazzi (ma anche adulti) che dopo mesi/anni di uso di cannabinoidi vanno incontro a una sindrome clinica chiamata SINDROME AMOTIVAZIONALE.
Anche su questa relazione, gli studi clinici sono pochi e controversi. I genitori di questi ragazzi spesso dicono:
“Mio figlio non fa più nulla. E’ diventato indifferente a tutto, la notte non va a letto prima delle quattro e poi durante il giorno fa fatica ad alzarsi, una volta alzato si sposta da un divano all’altro. Se gli chiedi di fare qualcosa, trova mille scuse per non farla. Non studia più. Di lavorare non ne parliamo. Se lo solleciti, si arrabbia... Prima non era così...”.
Quale sia il legame esistente con il consumo di cannabinoidi, come dicevo, è controverso.
Sembra che l’uso di cannabinoidi possa portare a una alterazione dei ritmi circadiani, come dicono alcuni studi (Whitehurst et al., 2015), in particolare porterebbe al DSPD (Delayed Sleep Phase Disorder), a un avanzamento di fase del sonno (cioè tali soggetti dormirebbero sempre più tardi e si sveglierebbero sempre più tardi, con uno spostamento in avanti dell’orologio biologico).
Questa tendenza all’inversione del ritmo sonno-veglia influenzerebbe negativamente i circuiti cerebrali della gratificazione e della ricompensa, portando questi pazienti a essere sempre più svogliati, apatici, demotivati e privi di iniziative.
Se si rompe la gratificazione, sarà difficile che qualcuno si metta a fare qualcosa, tantomeno cantare Maria Salvador...