Disturbo bipolare e psicosi: rileggere i fatti alla luce della cura

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

Disturbo Bipolare e consapevolezza. Rileggere gli eventi alla luce della cura.

Faccio riferimento per queste righe ad un episodio recente della trasmissione “Storie Maledette”, in onda su Rai3, visibile sul sito Rai Replay

Si racconta in questo caso della storia di vita di Daniela Werner, cantante lirica di origine tedesca che ha trascorso un periodo in ospedale psichiatrico giudiziario per il “tentato omicidio” del compagno Claudio del Monaco, impresario e figlio del celebre tenore Mario.

La cantante, che nutriva una fascinazione per la storia del tenore, si lega prima all’altro figlio, senza concludere granché né in campo sentimentale, né in campo professionale; poi si innamora e si lega a Claudio. I due si “buttano” nel progetto azzardato di lanciare Lei come cantante, con una mossa paradossale, che vede il compagno impresario lasciare la sua posizione per divenire impresario esclusivo di lei, partendo sostanzialmente dal nulla e confidando nella sua autorevolezza e nel “nome”.

Il tutto si risolve presto in una vita difficile, per l’esaurirsi delle risorse economiche dei due. Lui vende oggetti di valore e diritti d’autore di famiglia per pochi soldi, e il progetto rimane completamente arenato. I due finiranno a dormire per mesi sulle panchine della stazione, in una vita da senza tetto. I due affrontano la povertà e la vita di strada anziché ricorrere al sostegno delle famiglie, che non vedevano di buon occhio la storia, pur di continuare a dividere la vita.

Nel frattempo la Werner è stata ricoverata più volte in clinica psichiatrica, per quello che si intuisce essere una sequenza di fasi psicotiche. Durante l’ultima, la donna accoltella al collo il compagno, che sopravvive, e, giudicata inferma di mente al momento dei fatti, è detenuta in ospedale psichiatrico giudiziario.

La ricostruzione avviene in forma d’intervista, dal punto di vista della donna, le cui risposte rivelano come, anche in condizioni di equilibrio mentale complessivo, la visione dell’accaduto mantiene ancora alcuni “punti morti”.

Innanzitutto la sopravvalutazione degli eventi esterni: le fasi psicotiche, la “perdita della lucidità”, sono imputate alla delusione per il mancato successo, alla rabbia per l’apparente rinuncia del compagno al progetto, la povertà, i frequenti litigi, lo sradicamento dell’ambiente d’origine.
In realtà queste condizioni sono la conseguenza di alcune scelte compiute in una precisa fase (ipomaniacale), tutta protesa verso un grande scopo e trainata da una convinzione umorale della bontà e del destino delle proprie scelte. Quando la situazione precipita, i segni di questa fase ci sono ancora: ad esempio la donna continua a confidare in un’occasione creata dal compagno a cui si è affidata, più che cercar lavoro a qualunque livello per sostentarsi. In altre parole è rigidamente legata al “grande” progetto tanto da ridursi in povertà nell’attesa, senza adattarsi e cercare autonomamente le occasioni disponibili.

Alla fine, è evidente un residuo di “maniacalità” nel rifiuto di sfuggire alla vita di strada tornando in Germania dalla famiglia, cosa che avrebbe interrotto, senza peraltro annullarlo, il progetto del successo con il compagno. Certamente in questo c’è qualcosa di “grandioso”, e anzi la tragedia e la grandiosità di questo atteggiamento della scommessa che non si deve abbandonare vanno a braccetto, ma il disturbo bipolare si affaccia chiaramente in questa scommessa, come colonna portante, e non come conseguenza ultima.

Il secondo passaggio è quello dei ricoveri, attributi ad una generica “depressione”.

La donna non ritiene i ricoveri, uno in particolare, atti sanitari che l’hanno rimessa in sesto in momenti di estrema crisi mentale, ma costrizioni architettate dal compagno, mal consigliato, e da medici che non conoscevano la sua storia di sofferenza e delusione. Altra classico “fraintendimento”, che molti pazienti esprimono quando riferiscono dei trattamenti obbligatori che hanno subito. In parte possono ammettere che sono stati utili, ma fondamentalmente li ritengono un abuso, un eccesso, un equivoco.

“Perché il TSO?”
“Perché non dormivo”,
“Non lo so, avevamo litigato e mi hanno mandato a prendere”,
“Perché non mi volevano fare uscire di casa”
,
e così via.

Queste le spiegazioni sorprendenti di chi, anche a distanza di anni, non ricostruisce la crisi psicotica avuta come tale, ma come un momento di concitazione in cui tutti si sono agitati e chi ci ha rimesso è stata la persona più vulnerabile o agitata, scambiata per pericolosa.

Lo stesso accade quando la donna racconta l’episodio del ferimento.
La cosa sembra un “classico” da manuale: la persona, già in fase psicotica, si sente in qualche modo in pericolo, sotto l’occhio malevolo di qualcuno, sospetta che ci sia una trama contro di sé. Le sembra che i gesti di chi le sta intorno non siano casuali, che stia per accadere qualcosa. Ad un certo punto un gesto qualsiasi (il marito che prende un coltello, forse semplicemente per tagliare il pane, o forse per farlo sparire vista la situazione) è interpretato come un pericolo imminente e scatta una reazione automatica. Lei dice “non ho aggredito, mi sono difesa”.

 

Non è dato sapere se e quale terapia farmacologica la donna abbia e stia seguendo, l’accento è posto sull’ambiente e sul fattore “umano”.
Il primo fattore umano in realtà è trattare un paziente secondo la scienza medica, e non seguirlo nella sua visione delle cose, irrigidita dal disturbo in una versione che è “cieca” di fatti e nessi fondamentali. L’ipotesi che si tratti di disturbo bipolare è rafforzata dal fatto che la donna fa riferimento alla sua vita come ad una storia di fasi estreme, o di grande carica o di caduta totale, e che non ha mai saputo cosa significhi essere “normale”, proprio perché ha vissuto solo in maniera estrema.

La Werner ora si occupa di canto, e insegna, insieme al compagno, che ha compreso la sua malattia. La storia per come è raccontata suggerisce che l’arte e l’amore abbiano salvato dalla deriva mentale questa donna, perché erano i pilastri su cui aveva investito e su cui poteva rinascere. La storia vera non cambia il finale, ma è meno poetica. Il cervello è stato curato, la persona può riappropriarsi della propria vita, quando va bene riesce anche a recuperare e continuare quello a cui teneva e che poteva aver perso per sempre.

 

E’ però importante, per chi esce dalle fasi psicotiche, per chi attraversa sconquassi di questo tipo, con o senza eventi cruenti, che per proteggersi dalle ricadute serve una cura, non l’arte e l’amore, e che per volersi davvero bene, e realizzare se stessi, ci si deve proteggere dalle leggi della malattia. Per questo è importante capire cosa è successo e sciogliere i nodi degli equivoci, nati quando si viveva la realtà da malati.

 

La depressione accompagna i fallimenti, ma la mania li prepara. La mania impedisce di chiedere aiuto, più della depressione. La psicosi non ha un perché, la ragione che c’era “in quel momento” è come la logica che c’è nei sogni o negli incubi, e che svanisce al risveglio, quando cambia lo stato di coscienza. I trattamenti obbligatori spesso salvano la vita.

 

 

Data pubblicazione: 02 ottobre 2014

15 commenti

#1
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Dr.ssa Chiara Lestuzzi

Bellissimo articolo, davvero!
A me piace molto "Storie maledette", perché -anche se la Leoncini fa solo domande molto cortesi e abbastanza "aperte" e lascia all' intervistato la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, senza mai contraddire, è possibile comunque cogliere gli aspetti della storia senza farsi troppo influenzare.

#2
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Utente 130XXX

Ho provato a contattarla in privato, ma non ho trovato un suo contatto. Mi scusi, ma trovo inappropriato, in un articolo a cui possono accedere tutti con una semplice ricerca su google, per cercare di capire cosa gli è successo, accostare in un articolo, con un titolo abbastanza fuorviante, il disturbo bipolare, di cui soffrono circa 400.000 italiani e la psicosi. Leggendo il titolo su google "Disturbo Bipolare e consapevolezza. Rileggere gli eventi alla luce della cura", credevo di trovare realmente un articolo su come convivere con questo disturbo. Ho avuto, purtroppo più di un anno fa un episodio psicotico e ultimamente, grazie ad una terapia di gruppo ho conosciuto molte persone con una diagnosi simile alla mia, ma non ho trovato nessuna "storia maledetta", forse per il fatto che la violenza semplicemente non è nelle loro e nelle mie "corde".

#3
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Utente 130XXX

Nella prima parte del commento precedente ho omesso la cosa fondamentale, sembra che trovi inappropriato associare il disturbo bipolare alla psicosi, mentre intendevo che dalla mia esperienza personale non è automatico il rapporto fra disturbo bipolare, psicosi e violenza. Nel frattempo ho letto molti dei suoi articoli e li ho trovati interessantissimi, mi ha colpito molto quello in cui cita "Mattatoio 5" per spiegare il deliro, il romanzo di Vonnegut ha influenzato molto il mio pensiero pacifista.

#4
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Dr. Matteo Pacini

", sembra che trovi inappropriato associare il disturbo bipolare alla psicosi, mentre intendevo che dalla mia esperienza personale non è automatico il rapporto fra disturbo bipolare, psicosi e violenza. "

Infatti nessuno ha detto che sia automatico, quindi eviti polemiche inutili. Non capisco perché ci si debba sentire offesi da cose che non sono state scritte. In futuro la prego, se vuole espormi suoi commenti, almeno di farlo sul contenuto degli articoli, non su generalizzazioni che ha fatto Lei e che non sono l'oggetto dell'articolo.

Inoltre, anche se ci fosse un'associazione tra psicosi e violenza, o tra bipolarità e violenza, cosa attualmente non risultante, ma ancora oggetto di studio perché le diagnosi in sede legale non sempre sono definite, non vedo lo stesso lo scandalo, né l'offesa.

Ma ripeto, non essendoci scritto niente del genere, non vedo il punto. Fuorviante è la sua lettura in questo caso. Se ha letto altri articoli, questo non è il primo che propone un caso di cronaca nera, un film o altro per descrivere i disturbi psichiatrici.

Contattarmi in privato per discutere un articolo del blog, direi proprio di no, fortunatamente non mi ha trovato e non mi cerchi a tale scopo cortesemente.

#5
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Utente 130XXX

Ma quali generalizzazioni? Mi sembra molto più offeso lei, "...fortunatamente non mi ha trovato e non mi cerchi a tale scopo cortesemente", volevo solo non risponderle pubblicamente, perché immaginavo che i suoi toni sarebbero stati diversi in privato. La mia non è una "polemica", ma su internet è pieno di titoli che promettono, ma che disattendono questa promessa. Ovviamente ci sono rimasto male, offeso è una parola grossa, cercando informazioni sul mio disturbo e trovando un titolo su google che mi promette di "rileggere gli eventi alla luce della cura". Immagino le persone come me, i genitori che cercano di capire quello che sta succedendo ai loro figli e trovano il loro disturbo accomunato a fatti di violenza efferata. Credo che il titolo sia inesatto. Non si preoccupi, non la cercherò in privato e non ho intenzione di continuare questa conversazione a lungo, anche se credo che sia democratico esprimere la propria opinione, quando se ne ha l'occasione, spero solo che cambi titolo, magari sostituendolo con uno che parli specificamente del rapporto tra "disturbo bipolare psicosi e violenza". Non mi sembra una generalizzazione, ho letto l'articolo e non ho trovato attinenze con i miei disturbi, con quelli di mio cugino ingegnere e padre affettuoso e di tutte le persone con cui faccio la terapia di gruppo. E' una generalizzazione?

#6
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Dr. Matteo Pacini

Non trova attinenze con la sua vita . Bene , e che c'entra con le sue accuse ? Si, la sua e' una generalizzazione , visto che si aspetta che un esempio sia uguale al suo caso pers

#7
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Dr. Matteo Pacini

onale, e che non vede niente fuorché gli elementi più specifici del caso, anziché le osservazioni sul tipo di meccanismi del disturbo . Peraltro si tratta di disturbo bipolare di tipo uno, psicotico, non e' chiaro se la sua diagnosi sia questa o diversa. E l'articolo riguarda la psicosi e la possibilità di rielaborare le esperienze capendo che sono state distorte durante uno stato psicotico.
Il suo commento mi ha eccome offeso, vista la sparata che ha fatto e addirittura l'intento di disturbarti per telefono per polemizzare . Abbia pazienza , di questo articolo non ha capito niente, può anche succedere a chiunque, il problema e'l'educazione con cui si sottopongono i propri dubbi.

#10
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Utente 130XXX

Non mi è sembrato di essere stato ineducato, molto contrariato sicuramente. Va bene, basarmi sul mio caso è una generalizzazione. E basarsi solo sul caso di un delitto efferato per spiegare una malattia dalle forme così diverse? La mia è un'opinione. Non pretendo di essere il depositario della verità. C'è una vignetta bellissima di Schultz in cui Snoopy pensa <Vi è mai venuto in mente che potreste aver torto?> Dopo quella vignetta la mia risposta è <Assolutamente si>. Lei mi dice che non ho capito l'articolo, può darsi, anche se l'ho letto più di una volta, ma, le ripeto, il mio intento principale non era contestare il contenuto dell'articolo, anche se poi forse l'ho fatto. Sono convinto che lei conosca i meccanismi di questi disturbi molto bene, ma, secondo me, spiegando una patologia attraverso un crimine si corre il rischio di dare il "messaggio" che quella patologia e la violenza siano strettamente collegate. Sicuramente è una drammatizzazione o rappresentazione che funziona ed attira l'attenzione, sicuramente avrà avuto molte visualizzazioni, ma non credo che sia utile per chi legge l'articolo cercando delle risposte per se o per i propri cari, come esposto nel titolo. Lei scrive che l'articolo riguarda la psicosi e la possibilità di rielaborare le esperienze capendo che sono state distorte durante uno stato psicotico, d'accordissimo. Ma non c'era una metafora meno cruenta? Tipo "A beautiful mind" per la schizofrenia paranoide. Mi spiace se si è sentiito offeso, non era mia intenzione, anche se anch'io ci sono rimasto un po' male leggendo il suo articolo.

Ma dove l'ha letto che volevo telefonarle? Non mi ha mai sfiorato l'idea. Per "contattarla in privato intendevo via mail", ma ormai le ho esposto il mio parere.

#11
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Dr. Matteo Pacini

"spiegando una patologia attraverso un crimine si corre il rischio di dare il "messaggio" che quella patologia e la violenza siano strettamente collegate. "

Questo solo se si vuole avere un pretesto per della inutile polemica, con cui si vorrebbe dimostrare che invece è il contrario, ovvero che MAI può essere associato a comportamenti violenti,

#12
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Utente 130XXX

Se per inutile polemica intende il fatto di esprimere la propria opinione in un commento, non sono d'accordo con lei sul significato delle parole inutile+polemica, come trovo sbagliato dare un messaggio del genere, psicosi=violenza, dal suo articolo sembra che la relazione ci sia SEMPRE. La saluto e le auguro buon lavoro.

#13
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Dr. Matteo Pacini

Senz'altro, infatti il messaggio che Lei dice le raccomando di non darlo mai a nessuno, non è il mio pensiero e infatti NON lo dico nell'articolo.
Questa è pura polemica, prende il semplice spunto di cronaca di un discorso su un tema e inventarsi che l'articolo diceva che il bipolarismo è la violenza. Poi ripeto, si può essere più o meno educati, ma al di là di questo il commento è proprio fuori luogo. Si arrabbia perché io dico una cosa che non ho detto, tempo sprecato per tutti. Magari legga meglio, e senza il pregiudizio contrario, perché poi ripeto, anche se uno dicesse che c'è un legame, non vedo perché offendersi visto che sarebbe comunque un legame statistico e quindi nessuno sta parlando di Lei. Il problema e il limite è forse questo, non si può leggere un articolo e poi riferirlo a se stesso nel particolare più spicciolo, mi sembra una lettura poco utile.

Come possa sembrare quello che Lei ha capito resta un mistero, anche rileggendo l'articolo.

#14
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Utente 415XXX

Ho letto l'articolo e devo dire che l'ho trovato molto interessante. L'ultimo paragrafo mi ha specialmente colpito, avendo un fratello bipolare trovo che quello che Lei ha scritto e descritto di essere molto vero e la sua scelta di parole mi ha colpito il cuore, avendo un TSO salvato la vita di mio fratello.
Devo però dire che mi è dispiaciuto leggere i commenti da lei fatti verso l'utente. Nel commento iniziale dell'utente, anche se si può dire stesse facendo delle critiche, non credo che volesse essere maleducato nei suoi confrontI, cosa invece che ho visto nelle sue risposte. Da una persona professionale mi sarei aspettata una risposta un po' più 'diplomatica'. Lei invece si è offeso e ha risposto in un modo poco consono.
Credo che se si decide di scrivere articoli, specialmente su temi che possano suscitare varie opinioni, e che poi questi vengano pubblicati via internet, bisogna anche saper accogliere critiche.
Non concordo con il modo in cui l'utente abbia interpretato il suo articolo, anzi come le ho già detto, io lo trovo molto ben scritto e che descrive una realtà difficile da capire. Ma allo stesso tempo non concordo con i suoi modi.

#15
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Dr. Matteo Pacini

Io rispondo come mi pare, specie a chi scrive per polemizzare senza aver letto quello che è scritto, o meglio per commentare esattamente quello che non c'è scritto e che si vorrebbe ci fosse scritto per poter fare la solita polemica dei luoghi comuni, basata sul pensare che chi scrive lo faccia per offendere qualcuno.
Non consono è il tono che usa anche Lei. Ora si lamenti che le ho risposto male. Continui a non concordare con i miei modi, modi che continuerò a utilizzare.

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