Litio e disturbo bipolare: gli effetti sul volume cerebrale
I sali di litio, introdotti in psichiatria verso la fine degli anni ’40 come terapia per gli episodi maniacali e depressivi, sono tuttora una delle terapie più efficaci per la cura del disturbo bipolare.
Litio: il più efficiente tra i farmaci per bipolarismo
Negli ultimi anni sono emerse sempre maggiori evidenze in favore degli effetti neuroprotettivi e neurotrofici del litio e, contemporaneamente, si delineavano prove in favore di anomalie nel volume di alcune specifiche regioni cerebrali nei soggetti con disturbo bipolare, in particolare riduzione del volume di alcune aree deputate al controllo dell’umore.
Litio per disturbo bipolare: uno studio sugli effetti
Una recente ricerca ha visto la collaborazione di undici gruppi di lavoro che hanno unito i dati provenienti dall’analisi della struttura cerebrale di un enorme numero di pazienti con disturbo bipolare confrontandoli con soggetti sani.
Dallo studio è emerso che i soggetti con disturbo bipolare non in terapia con litio presentano una riduzione del volume cerebrale e in particolare delle strutture dell’ippocampo, se confrontate con i soggetti sani.
I soggetti con disturbo bipolare che invece erano trattati con sali di litio, mostravano un aumentato volume dell’ippocampo e dell’amigdala, se confrontati con soggetti sani e con pazienti bipolari non trattati con litio.
Dai risultati di questa mega-analisi sembrerebbe dunque emergere una forte correlazione tra deficit volumetrici cerebrali e gravità della malattia, nonché la speranza che i farmaci per curare il disturbo bipolare possano tendere a ridimensionare questo tipo di alterazioni.
Bibliografia
- Brian Hallahan, John Newell, Jair C. Soares, Paolo Brambilla, Stephen M. Strakowski, David E. Fleck, Tuula Kieseppä, Lori L. Altshuler, Alex Fornito, Gin S. Malhi. Structural Magnetic Resonance Imaging in Bipolar Disorder: An International Collaborative Mega-Analysis of Individual Adult Patient Data. Biological Psychiatry, 2011; 69 (4): 326 DOI: 10.1016/j.biopsych.2010.08.029