Trattamento ottimale della tossicodipendenza da eroina (dati 2012)
Tossicodipendenza da oppiacei: cosa funziona e cosa non funziona come dovrebbe nei trattamenti secondo i dati del 2011-2012 (Relazione al parlamento sulle tossicodipendenze, http://www.politicheantidroga.it/progetti-e-ricerca/relazioni-al-parlamento/relazione-annuale-2012.aspx
I trattamenti per la tossicodipendenza da eroina sono quelli per cui vi è uno standard affidabile e definito da decenni. Questo significa che è una situazione in cui si può contare su un trattamento che funziona in base a pochi parametri ben conosciuti: tipo di scelta farmacologica, dosaggio e durata del trattamento.
Il 71,2% dei pazienti in trattamento metadonico e l'87,7% di quelli in trattamento buprenorfinico rispondono bene alle terapie. In termini di uso, significa che nella media del campione il 94,2% degli esami urinari hanno esito favorevole (non segni di uso di eroina).
Nonostante questo, questi trattamenti non sono diffusi, cioè soltanto una parte delle persone che chiedono trattamento sono avviate alla terapia con metadone o buprenorfina: in particolare i soggetti giovani sotto i 30 anni tendono ad essere gestiti senza terapia con farmaci oppiacei.
Il secondo punto debole del sistema terapeutico "medio" è che la durata del trattamento è scarsa, circa 6 mesi. Poiché il trattamento efficace è quello di mantenimento (dove mantenimento significa mantenimento della risposta) ed è l'unico che dia garanzie riabilitative a lungo termine, è chiaro che trattamenti di meno di un anno daranno una risposta positiva in termini di distacco dall'eroina finché sono in corso, ma il modo corretto di applicarli è il loro mantenimento.
Il trattamento breve di fatto non è un trattamento, non risolve la dipendenza e non dà tempo per la riabilitazione. Una sequenza del tipo: disintossicazione e successiva riabilitazione, senza un trattamento oppiaceo in corso, è un paradosso riabilitativo, cioè si impegnano risorse e aspettative in una riabilitazione che riuscirà fino ad essere interrotta dalla ricaduta, già attesa in base alla diagnosi, senza che ci sia alcuna protezione in corso contro di essa.
Il terzo punto sono le dosi, che sono (nella media) inferiori alle dosi minime raccomandate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo tipo di sotto-dosaggio deriva probabilmente in parte dalla scarsa dimestichezza di alcuni con la gestione delle terapie metadoniche, e dalle diffuse credenze sulla utilità di approcci "rieducativi" o di sollecitazione ambientale senza il ricorso ad alcun tipo di medicinale.
In più, il paziente tossicodipendente è il primo, una volta distaccatosi dall'eroina per qualche tempo, a ritenere che la cura possa essere ridotta e sospesa come passo finale verso la soluzione, poiché non ha assimilato il significato della malattia e della cura, e non individua nella cura il meccanismo che ha portato al distacco, ma in altri fattori ambientali o di volontà personale.
La combinazione di questi errori o limiti - durata, dose, trattamenti non specifici, mancanza di consapevolezza del funzionamento delle cure e della malattia, riduce notevolmente l'impatto di una cura che quando è applicata secondo semplici principi produce un effetto notevole, evidente soprattutto con il passare dei mesi.
Ogni persona tossicodipendente da oppiacei o con trattamento già in corso è bene che quindi riveda il senso del proprio trattamento per evitare di perdersi in errori comuni e evitabili, come il sottodosaggio, la sospensione precoce del trattamento, l'idea che il trattamento sia solo un preliminare alla vera riabilitazione e la scelta di interventi che non rappresentano una terapia per la dipendenza.