Ossessioni: i pensieri "non-morti"
La figura dello zombie è un classico del cinema horror. Lo zombie è un non-morto, ovvero una sorta di cadavere che continua a vivere di una vita mostruosa, in maniera apparentemente dipendente da una forza del suo cervello che gli impone un unico compito, ovvero la ricerca di cibo. Il cibo non è più una necessità, sembra il residuo di un istinto primordiale che non ha più uno scopo preciso, ma è l'unica cosa che rimane. Gli zombi continuano a vivere finché hanno il cervello integro.
G.A. Romero ha realizzato negli anni una trilogia su questo tema. Improvvisamente i morti iniziano a resuscitare come zombie, per una causa non nota questo fenomeno si diffonde e sembra inarrestabile. I vivi cercano di sfuggire alla furia cannibale degli zombie, mentre gli zombie vagano a si assiepano all'interno di case e strade. Nel primo episodio (La notte dei morti viventi), un gruppo di persone trova rifugio in una casa di campagna e resiste all'assedio degli zombie fino ad un tragico finale. Nel secondo episodio (L'alba dei morti viventi) assistiamo al soccombere della società all'assalto degli zombie, mentre in alcune aree gli uomini si organizzano per ucciderli uno ad uno. Questo è l'episodio in cui compare chiaramente il tema metaforico del mondo incapace di fronteggiare la mostruosità. Anziché uccidere i morti e distruggere loro il cervello, banalmente cremandoli, gli umani si ostinano a seppellire i morti, e non si sentono di abbattere i resuscitati con le sembianze dei propri cari. Gli scienziati che in televisione sostengono la necessità dell'abbattimento sono inascoltati e criticati: la gente sembra credere che in questi mostri si nasconda comunque una vita umana, e che debba essere rispettata. Un gruppo di amici fugge in elicottero dalla città ormai assediata e si rifugia in un centro commerciale popolato di zombie. Alla fine non resisteranno all'assedio e i superstiti fuggiranno.
Nel terzo episodio (Il giorno dei morti viventi) si assiste alla disperata resistenza di un piccolo gruppo di persone, civili e militari, che vivono nel sottosuolo e qui cercando da una parte di mantenersi in vita rifornendosi di cibo e beni, dall'altra di studiare un rimedio per riportare gli zombi ad una vita propriamente umana dal loro stato bestiale. Li catturano e conducono esperimenti più o meno riusciti al fine di neutralizzare la "malattia" che li tiene in vita come mostri.
In sintesi, c'è un problema: i morti che sono non-morti, continuano a vivere anche se non sono più persone, ma istinto puro alla ricerca di cibo. C'è una metafora sociale evidente: gli zombi sono i popoli poveri che si moltiplicano pur essendo emarginati dal mondo ricco, ma che alla fine lo divoreranno per necessità, e per l'incapacità del mondo ricco degenerato a difendersi dall'invasione. Un altra metafora è quella economica, gli zombi come classe sfruttata che alla fine spinta oltre il limite si ribella e divora la classe degli sfruttatori. Ci può anche essere però un'interpretazione psichiatrica.
Il concetto di "non-morto" somiglia molto all'ossessione, un pensiero appunto "non-morto. Le risposte non uccidono le ossessioni, che continuano a camminare proprio come degli zombie, auomaticamente. Se colpiti si rialzano, se sbranati continuano a muoversi a pezzi, se rinchiusi non smettono di provare ad uscire.
Le risposte a queste ossessioni che non muoiono sono: a) cercare di trovare risposte convincenti e mantenere in vita la domanda finché ciò non avviene; b) cercare di evitare la domanda fuggendo altrove, per trovarsi poi di nuovo di fronte a nuove domande o alla stessa in una versione diversa; c) cercare di elaborare la domanda per ricavarne attivamente un senso, cioè utilizzando la propria intelligenza. Il problema di fondo è che uno zombie, poiché già morto, non può né essere ucciso, né ritornare un uomo vivo come era prima di morire. Il "mostro" può essere ucciso eliminando al fonte di quella sua vita mostruosa, che nel caso dello zombie è proprio il cervello. Un pezzo di cervello lo continua a muovere in una unica direzione. Anche questa metafora richiama un uomo che non vive più nel cuore e nei visceri, ma vive ancora come essere cerebrale. L'ossessione è un po' la stessa cosa, cioè un cervello che non funziona più in maniera naturale, intuitiva e istintiva, ma funziona solo intorno ad una domanda, come sistema che deve risolvere una domanda.
Nelle terapie per le ossessioni si "spara" contro la domanda, o meglio si aiuta il cervello a sparare contro la domanda, cosa che abitualmente fa quando funziona in maniera equilibrata. Per liberarsi dall'ossessione è quindi inutile "gestire" l'ossessione o cercare di addomesticarla, perché comunque l'ossessione non può evolvere in una risposta convincente, né sparisce da sola una volta che si è "insediata" nel cervello. Conseguentemente le cure per l'ossessione non devono far vivere l'ossessione, evitare di sopprimerla, educarla per rendera una forma di pensiero accettabile, ma favorirne la spontanea risoluzione, estinzione.
Spesso la persona con disturbo ossessivo in atto, specie se da molto tempo, si comporta proprio come gli umani che alla fine soccombono agli zombie. Prima si rifiutano di rinunciare all'ossessione, sperando che se ne vada con ragionamenti logici. Poi cercano di fuggire dall'ossessione coi rituali, ma si accorgono che l'ossessione li segue e si riproduce anche in forme diverse o in ambienti diversi. Infine cercano, e questo è lo stadio più insidioso, di non fuggire più dall'ossessione ma di ragionarci sopra in maniera elaborata per trasformarla in una soluzione.
La scena finale dell'ultima puntata è significativa. Il rifugio sotterraneo degli umani sopravvissuti è invaso dagli zombie. l'invasione avviene dal punto teoricamente più sicuro, cioè un montacarichi che collega con il mondo esterno in un'area recintata. Gli zombie invadono l'ascensore e scendono dentro il rifugio sotterraneo. A lasciarli passare è un uomo che, rassegnato alla sua sorte, vuole perlomeno far finire la follia di chi vorrebbe cercare una soluzione impossibile.
In definitiva la cura si svolge secondo queste due linee: la prima è ripristinare la capacità del cervello di oscurare l'ossessione automaticamente; in parallelo è però necessario rieducare il cervello a non coltivare rituali o attività che sarebbero intese a lavorare sull'ossessione per ricavarne una soluzione.