Ossessioni: come uscire sulla "cattiva strada"

matteopacini
Dr. Matteo Pacini Psichiatra, Psicoterapeuta, Medico delle dipendenze

La cattiva strada (F. De André)

 

Alla parata militare
sputò negli occhi a un innocente
e quando lui chiese "Perché "
lui gli rispose "Questo è niente
e adesso è ora che io vada"
e l'innocente lo seguì,
senza le armi lo seguì
sulla sua cattiva strada.

Sui viali dietro la stazione
rubò l'incasso a una regina
e quando lei gli disse "Come "
lui le risposte "Forse è meglio è come prima
forse è ora che io vada "
e la regina lo seguì
col suo dolore lo seguì
sulla sua cattiva strada.

E in una notte senza luna
truccò le stelle ad un pilota
quando l'aeroplano cadde
lui disse "È colpa di chi muore
comunque è meglio che io vada "
ed il pilota lo seguì
senza le stelle lo seguì
sulla sua cattiva strada.

A un diciottenne alcolizzato
versò da bere ancora un poco
e mentre quello lo guardava
lui disse "Amico ci scommetto stai per dirmi
adesso è ora che io vada"
l'alcolizzato lo capì
non disse niente e lo seguì
sulla sua cattiva strada.

Ad un processo per amore
baciò le bocche dei giurati
e ai loro sguardi imbarazzati
rispose "Adesso è più normale
adesso è meglio, adesso è giusto, giusto, è giusto
che io vada "
ed i giurati lo seguirono
a bocca aperta lo seguirono
sulla sua cattiva strada,
sulla sua cattiva strada.

E quando poi sparì del tutto
a chi diceva "È stato un male"
a chi diceva "È stato un bene "
raccomandò "Non vi conviene
venir con me dovunque vada,
ma c'è amore un po' per tutti
e tutti quanti hanno un amore
sulla cattiva strada
sulla cattiva strada.


Le ossessioni sono a volte indicate come pensieri assurdi. L'assurdità deriva dall'esperienza della forzatura a cui la persona si sente sottoposta, mentre i contenuti di per sé sono spesso contenuti normali e comprensibili. Le vie d'uscita sono quella ritualistica e quella della spiegazione, nel primo caso si ottiene un disturbo ossessivo-compulsivo, e nel secondo un cosiddetto disturbo ossessivo puro, in cui cioè il rituale c'è ma è mentale, e consiste nel pensare e rimuginare per trovare la spiegazione più soddisfacente, esaustiva e definitva (naturalmente con il difetto di fondo che sia una spiegazione anche rassicurante). In ogni caso, un vicolo cieco che per giunta più si procede e più si restringe, in teoria con l'illusione di arrivare ad uno sbocco preciso e inequivocabile, in pratica impedendo di vivere la vita.

Nella presa di coscienza e nell'approccio all'ossessione e al rituale sono utili tecniche di capovolgimento della logica, poiché il rituale, mentale o comportamentale, non è assurdo nella sua logica ma è anzi iper-logico, cioè una soluzione logica dove non ce ne può essere alcuna, o dove se c'è non è ancora disponibile. Per questo la "terza via" tra rassicurazione mai sufficiente e ansia da incertezza è quella dela neutralizzazione della domanda, dell'ossessione stessa, in maniera non rassicurante ma portandola su un altro piano.

In questa canzone di De André l'ossessione è allargata, è una ossessione morale di tutta la società, ossessione culturale. L'intera società vive in rituali e rimuginazioni volte a capire cosa è giusto attraverso la condanna e la rimozione di ciò che è sbagliato, ma ciò che è giusto alla fine è solo ciò che resta, e questo non dà soddisfazione. Viceversa, lo sbagliato sembra cambiare di volta in volta, e comunque non è mai abbastanza, per cui l'uomo è stritolato da un mondo che si nasconde sempre di più in improbabili nicchie di giustizia e correttezza dopo aver rinunciato a tutto, ma soprattutto a vivere in maniera spontanea.

Le soluzioni che propone De André sono degli esempi di uscita "paradossale" dal meccanismo ossessivo.

I^ strofa: il personaggio sputa in faccia a un innocente, e quando chiede "perché ?", lui non gli dà giustificazione ma rincara la dose dicendo "questo è niente !". Un concetto generale di annullamento della morale che soffoca, in cui credere di essere "innocenti", cioè nel giusto, corretti, meritevoli, intrappola nell'ansia di dover seguire regole sempre più soffocanti per una ricompensa o una protezione che non è detto che poi ci siano. De André ripristina quindi una visione in cui per sentirsi nel giusto non è necessario sentirsi "innocenti", che se si vuole è anche una visione propria della predicazione di Cristo.

II^ strofa: una prostituta cancella il prezzo della sua condizione (l'emarginazione, simboleggiata dai viali dietro la stazione) con l'incasso. Il personaggio glielo sottrae, e poi le dice "adesso è meglio, è come prima". Somiglia molto al meccanismo in cui anziché rispondere alla domanda ossessiva tipo "mi devo preoccupare ?", oppure "avrò fatto la scelta giusta ?" si evita la rassicurazione. Anziché far girare la ruota infinita della rassicurazione, si blocca il meccanismo, ci si ferma alla domanda, senza seguito. Perché senza risposta l'ossessione "è meglio, è come prima": infatti le risposte nel tempo peggiorano le ossessioni, che erano più semplici e meno invadenti all'inizio, quando ancora non c'erano rituali.

III^ strofa: Un pilota di aerei cerca la via orientandosi con le stelle, il cattivo della canzone gliele "trucca" e l'areo cade, e la morale è che "è colpa di chi muore". Non è colpa delle stelle non chiare (come teme il pilota ossessivo), né di chi le ha confuse (come penserebbe di primo impatto il pilota ossessivo precipitato dal suo tentativo di controllo), ma è colpa di chi muore, cioè del pilota ossessivo che in questa ossessione di controllo prima o poi o cadrà perché il controllo non basterà più, o comunque non avrà vissuto.

IV^ strofa: L'unica che non torna in termini terapeutici. Però... L'alcolizzato beve e certamente non si fermerà se non quando ha terminato. Invece di ammonirlo o criticarlo, il personaggio gli versa ancora da bere, e lui non beve e lo segue stupito. Se l'alcolismo fosse un'ossessione (non lo è) funzionerebbe così, cioè a saturazione "spinta" del rituale. Moltiplicando apposta la quantità di "rituale" lo si priva del suo valore di risposta all'ossessione, e quindi si induce la persona a rigettarlo. Nell'alcolismo non funziona così, c'è però da dire che l'atteggiamento di non-giudizio migliora la capacità della persona di chiedere aiuto.

V^ . Il processo per amore, un'allegoria della domanda ossessiva, che mette "sotto processo" qualunque cosa, anche un sentimento, una verità di partenza, e uccide la spontaneità. L'ossessione è rappresentata dalla giuria e il giudice, cioè la persona che si dà le risposte e se le approva. Invece il personaggio interrompe il processo e bacia le bocche dei giurati, cioè sostituisce un'azione che richiama all'oggetto del processo (l'amore) al giudizio astratto su cosa sia l'amore giusto o ingiusto. Tutto questo richiama appunto la contrapposizione tra le questioni ossessive che snaturano gli elementi spontanei e naturali (e pongono un "perché" ad esempio sui sentimenti, le inclinazioni, le preferenze) e l'atto, la pratica, l'esperienza che risolvono il tutto senza passare attraverso una risposta, perché la conoscenza di certe cose avviene con l'agire e non con il pensare.

Questi sono quindi esempi che richiamano il meccanismo concettuale delle tecniche psicologiche o del decorso di una cura farmacologica contro le ossessioni, cioè come si smonta l'ossessione e il suo rituale, e come si evita di assecondarla tramite l'apparente meccanismo di compenso (rassicurazione, chiarimento) che sembra sempre all'ossessivo all'inizio la strada migliore, o quanto meno irrinunciabile. L'uscita invece sta al termine di quella che al paziente ossessivo sembrerebbe appunto la "cattiva strada"...

Data pubblicazione: 02 aprile 2012

5 commenti

#1
Foto profilo Utente 171XXX
Utente 171XXX

ma come si fa quando i pensieri e le immagini vengono continuamente da sole? nel concreto cioè, cosa significa cercare di arrivare all'estinzione dell'ossessione non dandosi risposta? i pensieri vengo sia se le si combatte, sia se li si lascia fluire. Certo, se si evita di contrastarli e di rassicurali, alla lunga forse ci si fa meno caso.

#2
Foto profilo Dr. Matteo Pacini
Dr. Matteo Pacini

infatti non si arriva all'estinzione da soli, è il meccanismo di un trattamento che produce questo risultato, che sia interattivo o farmacologico, o entrambi associati. Non che il paziente possa resistere da solo, altrimenti non avrebbe il problema.

#3
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Ex utente

semplicemente GRANDE!!!

#4
Foto profilo Utente 203XXX
Utente 203XXX

Dal momento che rifiuto il trattamento farmacologico, è possibile uscirne con la psicoterapia? Qual'è la più efficace in questi casi? Grazie

#5
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Dr. Matteo Pacini

La cosa più efficace da fare è seguire il trattamento indicato. "Rifiutare" una cura nel momento in cui si rivolge a un medico che deve giudicare cosa è più adatto per Lei non è un atteggiamento costruttivo. Sarebbe come presentarsi con una polmonite dal medico e dirgli che si rifiuta il trattamento farmacologico.

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