Ritalin: risolto il paradosso degli psicostimolanti
Da studi condotti sugli animali di laboratorio vengono le prime risposte sul funzionamento degli psicostimolanti che vengono utilizzati nella cura di alcune patologie psichiatriche dell’infanzia.
Da più di 70 anni gli psicostimolanti usati per curare l’iperattività nei bambini hanno rappresentato un vero enigma per clinici e ricercatori suscitando anche polemiche nel mondo medico.
La polemica nasce da una domanda apparentemente scontata: come è possible che gli psicostimolanti calmino invece che esacerbare i sintomi di iperattività?
Infatti questi farmaci che comprendono la cocaina e derivati dalle amfetamine, phenmetrazina, metilamfetamina, metilfenidato e dietilpropione, sono degli psicostimolanti che normalmente hanno un’azione attivante sui recettori della dopamina, ne inibiscono l’assorbimento in alcune aree e causano un rilascio in altre determinandone un aumento dell’attività e contribuendo all’effetto di dipendenza.
Il farmaco utilizzato nella cura del disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD, dall’acronimo inglese) è soprattutto il metilfenidato, uno stimolante del sistema nervoso centrale non molto potente con effetti più pronunciati sulle attività mentali che su quelle motorie. Le proprietà farmacologiche sono le stesse delle amfetamine con cui condivide anche il rischio di abuso. È efficace anche nel trattamento della narcolessia oltre che nelle disfunzioni che causano alterazioni dell’attenzione con iperattività (ADHD) (Goodman & Gilman, 1996).
L’evidenza clinica che questi farmaci funzionano nell’ADHD è alla base della teoria catecolaminergica in cui sono implicati i neurotrasmettitori dopamina e noradrenalina. In questo disturbo vi sarebbe una disfunzione fronto-limbica con un difettoso controllo inibitorio della corteccia da parte del sistema limbico, e che sarebbe all’origine di molti dei sintomi della malattia e gli stimolanti come metamfetamina, dexamfetamina e metilfenidato migliorano i sintomi nel 70% dei casi. (Leonard, 2003).
Uno studio condotto su animali di laboratorio svela perché un farmaco psicostimolante funziona nell’iperattività aprendo la strada per la comprensione di questa patologia nell’uomo e al possible sviluppo di nuove strade terapeutiche.
Iniettando metilfenidato direttamente nei rcettori D4 della dopamine nei nuclei reticolari del talamo e nella sostanza nera reticolata dei ratti, i ricercatori hanno osservato una riduzione dell’attività motoria in queste aree. Nei pazienti con ADHD c’è un difetto di questo gene che controlla i recettori D4 della dopamine, anche se la relazione tra difetto genetico ed espressione della malattia non è chiaro.
La scelta di queste aree, dice David Erlij in un’intervista a Medscape (2012), è dovuta proprio al fatto che il ruolo della dopamina in queste aree era stato trascurato.
Con questa scoperta è finalmente risolto il paradosso dell’effetto degli stimolanti e si apre una nuova strada per lo studio di nuovi farmaci utili nella cura dell’ADHD.
Fonti
Erlij D, Acosta-Garcia J, Rojas-Marquez M, Gonzalez-Hernandez B, Escartin-Perez E, Aceves J, Floran B. Dopamine D4 receptor stimulation in GABAergic projections of the globus pallidus to the reticular thalamic nucleus and the substantia nigra reticulata of the rat decreases locomotor activity. Neuropharmacology, 2012; 62: 1111-1118.
Goodman & Gilman’s. The pharmacological basis of therapeutics. Ninth Edition. McGraw-Hill, 1998.
Leonard BE. Fundamentals of psychopharmacology. Third Edition. Wiley, 2003.
Mistery of psychostimulant paradox solved. Medscape, 2012.