Sindrome da Fatica Cronica: luci spente sull’origine virale della malattia
Stanchi di essere considerati degli scansafatiche, non essere presi sul serio ed essere considerati al più pazienti con disturbi psichiatrici (come se ci fosse qualcosa di male), fu accolta con favore l’ipotesi dell’origine virale della Sindrome da Fatica Cronica (CFS).
Tale sindome provoca uno stato cronico di profonda disabilità fisica e mentale che spesso compromette seriamente la vita di chi ne soffre.
Categorizzata come sindrome negli anni ’80, con i primi studi sono stati ipotizzati possibili collegamenti con il Virus di Epstein-Barr o altri herpesvirus, il Parvovirus B19 e altri enterovirus come anche con alcuni batteri.
Nel 2009 sulle pagine della prestigiosa rivista Science (Lombardi et al, 2009) fu ipotizzato il possible collegamento tra la malattia e la famiglia dei retrovirus, per la precisione il retrovirus murino XMRV, suscitando grande clamore nella comunità scientifica internazionale e l’origine di un acceso dibattito non ancora concluso.
L’ipotesi dell’origine virale della malattia, riconoscendone una causa biologica, dava lo statuto di “veri” malati organici a quanti soffrivano della malattia e accendeva la speranza di poter trovare una terapia adeguata e definitiva.
I retrovirus sono una famiglia di virus nota da tempo che spesso non causano alcuna patologia, altre volte patologie innocue, talvolta patologie gravi (tra questi retrovirus il più noto è l’HIV che causa l’AIDS).
L’accostamento tra CFS e AIDS è stato molto criticato per la differenza tra le due malattie e la paura e pregiudizio che avrebbe potuto provocare nell’opinione pubblica.
Il pubblico ha invece reagito in parte con sollievo per il riconoscimento dello statuto di malato organico e non psicologico (sic!), e naturalmente con un po’ di apprensione e non poche pretese, cercando di arrivare alle costose terapie antiretrovirali che si utilizzano per l’HIV e chiedendo a gran voce il test per depistare la malattia (in realtà non esiste un vero test specifico, ma un test usato ancora solo nella ricerca che costa intorno ai 500 dollari e che può misurare solo la carica virale).
Sono seguiti investimenti per milioni di dollari in ricerche che tentavano di replicare i risultati ottenuti, ma più passava il tempo più il dibattito si faceva acceso e polemico, l’ipotesi di un falso positivo e di contaminazione dei campioni di sangue diventava mano a mano più attendibile, fino a portare Robert Gallo (famoso per le sue ricerche sul virus dell’HIV e per la disputa con il Nobel Luc Montagnier) a dire che si trattava solo di spreco di denaro, che era tutto sbagliato e di essere come in un brutto sogno (“All of it's a waste of money and it's wrong”. “It's like a bad dream”).
Contemporaneamente in Inghilterra il gruppo di ricerca di cui fa parte lo psichiatra Wessely del King's College di Londra che da anni studia la CFS, ha pubblicato una ricerca in cui affermava di non aver trovato alcuna traccia del retrovirus XMRV in un campione di 186 pazienti sofferenti di CFS (Erlwein et al, 2010). Questo ha attirato non poche critiche allo studioso e suscitato la rivolta delle associazioni di pazienti con episodi incresciosi da dimenticare (si veda anche: https://www.medicitalia.it/blog/psichiatria/1350-quando-al-malato-non-piace-la-diagnosi-il-caso-della-sindrome-da-fatica-cronica.html)
Finalmente, appena due giorni fa, 22 settembre 2011, arriva la smentita ufficiale. La stessa prestigiosa rivista Science ha pubblicato un articolo in cui vengono presentati i risultati condotti in più di dodici laboratori differenti che non sono riusciti a replicare i risultati dello studio di Lombardi e colleghi, escludendo definitivamente il collegamento tra il retrovirus murino XMRV e la CFS (Simmons et al, 2011).
Questo articolo sembra mettere fine alla vicenda che va avanti da anni, fino alla recente richiesta da parte della rivista Science agli autori dell’articolo del 2009 di ritrattare il loro studio, richiesta respinta con la laconica risposta che i dati non sono concludenti (Silverman et al., 2011).
Ieri, 23 settembre 2011, sulle pagine della stessa rivista, Jon Cohen e Martin Enserink hanno cercato di scrivere la parola “fine” a questa vicenda: “Done. Case closed. Finito, lights off, The End”. Luci spente, ma pochi ci credono.
Fonti (in ordine cronologico):
Lombardi VC, Ruscetti FW, Das Gupta J, Pfost MA, Hagen KS, Peterson DL, Ruscetti SK, Bagni RK, Petrow-Sadowski C, Gold B, Dean M, Silverman RH, Mikovits JA.
Detection of an infectious retrovirus, XMRV, in blood cells of patients with chronic fatigue syndrome.
Science 326, 585 (2009).
Erlwein O, Kaye S, McClure MO, Weber J, Wills G, Collier D, Wessely S, Cleare A.
Failure to Detect the Novel Retrovirus XMRV in Chronic Fatigue Syndrome.
PLoS ONE, 2010; 5(1): e8519. doi:10.1371/journal.pone.0008519
Silverman RH, Das Gupta J, Lombardi VC, Ruscetti FW, Pfost MA, Hagen KS, Peterson DL, Ruscetti SK, Bagni RK, Petrow-Sadowski C, Gold B, Dean M, and Mikovits JA
Partial Retraction
Science 22 September 2011: 1212182 Published online 22 September 2011
Simmons G, Glynn SA, Komaroff AL, et al.
Failure to confirm XMRV/MLVs in the blood of patients with Chronic Fatigue Syndrome: a multi-laboratory study.
Science, september 22. DOI: 10.1126/science.1213841.
http://www.sciencemag.org/content/early/2011/09/21/science.1213841
Jon Cohen, Martin Enserink.
False positive.
Science, 23 September 2011; 333 (6050): 1694-1701. DOI:10.1126/science.333.6050.1694
http://www.sciencemag.org/content/333/6050/1694