Quando al malato non piace la diagnosi: il caso della Sindrome da Fatica Cronica
La causa delle malattie è un elemento importante di cui la maggior parte dei pazienti ha bisogno per dare un significato al disturbo di cui soffre.
La conoscenza della causa aiuta spesso a sopportare meglio la sofferenza indotta dalla malattia, la diagnosi, le terapie associate e lo stigma che talvolta accompagna alcune malattie.
Non conoscere la causa dei propri disturbi conduce talvolta i pazienti a migrare da un medico ad un altro fino a quando non trovano qualcuno che asseconda le loro aspettative e credenze.
Questo apre anche la strada ad abusi da parte di guaritori abili nel manipolare persone in sofferenza e psicologicamente fragili, ma questo è un altro tema.
Il fatto
Quest’estate ha destato scalpore la notizia che ricercatori britannici che da anni studiano la Sindrome da Fatica Cronica (CFS, acronimo dell’inglese Chronic Fatigue Syndrome) hanno ricevuto minacce di morte, lettere minatorie, episodi di stalking, e addirittura una paziente che si è presentata con un coltello ad una conferenza di uno studioso. Alcuni commenti deliranti accusavano i ricercatori di voler nascondere la causa del disturbo con la complicità dell’industria farmaceutica che avrebbe interesse a vendere farmaci sintomatici e non curativi.
Portata alla ribalta delle cronache dal The Observer, la notizia è stata rilanciata in numerosi blog stranieri e anche italiani.
Perché è accaduto questo
La CFS (conosciuta con più nomi: Sindrome da Stanchezza Cronica, Sindrome da Affaticamento Cronico, fino alla Encefalomielite mialgica – quest’ultimo nome piace molto ai pazienti) è una patologia che è stata sempre oggetto di stigma e che solo recentemente si comincia a prendere in considerazione e appena a capire.
La causa resta ancora sconosciuta e si pensa che sia multifattoriale, cioè non esiste una sola causa ma diverse che si uniscono nel provocare la sindrome.
Le ipotesi più accreditate e conosciute dal pubblico sono l’origine infettiva, virale, e quella psicologica.
Come spesso accade, al paziente non piace sentirsi dire che si tratta “solo” di un problema psicologico perché si sente responsabile, colpevolizzato, ma soprattutto non capito.
Il fatto è che tale sindrome risponde parzialmente ai farmaci antidepressivi e a tecniche psicoterapeutiche, e ciò avvalora in parte l’ipotesi psicologica.
Quest’ipotesi della CFS è sempre stata accettata malvolentieri dai pazienti ed è stata oggetto di critiche fino agli episodi resi noti recentemente dalla stampa inglese che hanno dell’incredibile.
Conclusioni
Uno dei problemi che frequentemente si presenta al medico è il bisogno del paziente di attribuzione esterna piuttosto che interna del disturbo, cioè la necessità di trovare una causa esterna (oggettivazione, deresponsabilizzazione e decolpevolizzazione) piuttosto che interna (soggettività, colpevolezza, debolezza, stigma).
Tante persone non amano sentirsi dire che la causa può essere psicologica, che non vi è una causa precisa, che il disturbo è multifattoriale (cioè più fattori intervengono nella formazione della malattia) e tendono ad attribuire i loro disturbi sempre ad avvenimenti esterni.
A prescindere dalle cause della CFS, desta sconcerto la reazione di una parte del pubblico che sempre più informato ma male informato (perché non ha le basi per riconoscere una notizia affidabile da una di scarso valore), trovando su internet tante più notizie e spesso unendole senza dei veri nessi logici (complotto dei ricercatori con le cause farmaceutiche) arrivano a condizionare la ricerca e la direzione della ricerca spaventando giovani ricercatori, e ciò potrebbe comportare l’abbandono di alcuni filoni di ricerca solo per paura di ritorsioni irrazionali con conseguente rallentamento dei progressi nella ricerca delle cause e terapie della malattie oggetto di critica.
Fonti
http://www.guardian.co.uk/society/2011/aug/21/chronic-fatigue-syndrome-myalgic-encephalomyelitis
http://en.wikipedia.org/wiki/Controversies_related_to_chronic_fatigue_syndrome