Perché medici e infermieri sono scortesi al di fuori degli orari di visita?

Da bambino mi è capitato, qualche volta, di andare a trovare dei parenti ricoverati in ospedale. E ho il ricordo netto di quanto scorbutica fosse la suora nel cacciare via tutti i parenti, una volta terminato l'orario di visita.

Da adolescente, invece, mi è capitato di diventare un paziente. Dall'altro lato, cambia un po' la prospettiva. Quando le infermiere entravano, e cacciavano in malo modo la comitiva quotidiana di parenti del mio compagno di stanza, tiravo un sospiro di sollievo. E a dire il vero, lo tirava anche il mio compagno di stanza.

Da medico, ho capito finalmente perché troppo spesso medici ed infermieri sono scorbutici con i parenti.

I parenti sono difficilissimi da gestire, molto più dei pazienti. Spesso con i pazienti si crea un rapporto speciale, di empatia-simpatia, si condividono (anche se con modalità diverse) alcuni sforzi e alcune scelte tesi ad un risultato.

I parenti, invece, molto raramente sono un aiuto per il medico e per il paziente. Il parente ideale è quello discreto, che non intralcia le cure, si informa, sostiene il paziente nelle scelte e aiuta il medico nel far accettare al paziente il proprio iter terapeutico.

Un parente di questo tipo rappresenta, sia per il medico che per il paziente, un aiuto insostituibile, e migliora NETTAMENTE la qualità del servizio reso al malato e delle cure in generale.

Mi dispiace constatarlo, ma purtroppo questo "parente ideale" è merce rarissima.

Io cerco sempre di mantenere vivo il ricordo di quanto fosse sgarbata quella famosa suora, e cerco di usare questo ricordo come insegnamento, per ricordarmi di sforzarmi di essere gentile e comprensivo con i parenti.

Ma purtroppo nella maggior parte dei casi la figura del parente è una figura irritante, d'ostacolo alle cure, quando non apertamente maleducata. Altre volte i parenti non sono maleducati, ma solo particolarmente ansiosi, e proiettano le loro ansie sul medico (che ha già un bel daffare a curare il paziente, e invece si trova a dover fare da psicologo al parente) o sul paziente stesso: quante volte ho visto pazienti che sembravano tranquilli, sereni e positivi, uscire sconvolti, preoccupati, quando non in lacrime dopo la visita dei parenti!

Il nostro è un reparto chirurgico, cioè in cui i pazienti accedono per le cure nell'immediato post-operatorio, ovvero nelle ore e nei primissimi giorni successivi.

Distribuiamo sempre a tutti i pazienti ed i parenti un foglio in cui spieghiamo molto bene PERCHE' esistono regole precise che un "ospite" del raparto (cioè il parente in visita) dovrebbe osservare, anche per il bene del malato, oltre che per il rispetto dei degenti e del personale.

Effettuiamo un briefing, cioè una riunione rivolta ai parenti e ai pazienti in ingresso, in cui diciamo molto chiaramente quali sono gli orari di visita e perché vadano rispettati.

Purtroppo, nonostante questo, in un reparto chirurgico si vede di tutto.

La prima, più diffusa, forma di maleducazione è la visita "di massa".

Cinque, sei, anche dieci parenti per malato che si fermano nella stanza per un tempo interminabile.

NON VA BENE, perché chi ha appena subito un intervento necessita in primo luogo di riposo, tranquillità e minimi contatti con l'esterno. Esistono tanti modi per mostrare il proprio modo di "essere vicini". Trasferire la famiglia nella stanza del malato è un modo sciocco per dimostrare la propria vicinanza: si irrita il malato, si dimostra scarso rispetto per il compagno (o i compagni di stanza) e soprattutto si aumenta il rischio di infezione, portando germi dall'esterno.

La seconda in ordine di frequenza è la visita "fuori orario".

NON VA BENE, anzitutto per rispetto nei confronti della privacy dei malati. In un reparto d'ospedale ci si occupa della cura della persona. La giornata è rigidamente suddivisa in diversi momenti:

1) somministrazione terapie e rilevamento parametri;

2) giro medico;

3) pasti;

4) igiene personale dei pazienti;

5) riposo;

6) VISITE DEI PARENTI.

Risulta ovvio che l'ingresso di un parente in una qualunque di queste fasce orarie che non sia quella preposta alle visite è del tutto inopportuna: se vado a cercare il mio parete al di fuori dell'orario visite, è matematico che sveglierò qualcuno che dorme, intralcerò le manovre di visita o di assistenza, quando non mi troverò in mezzo a un gran traffico di padelle piene, pappagalli usati, pazienti nudi che vengono lavati dal personale preposto.

Vi sono poi molte altre regole che possono essere infrante, ed accade tutti i giorni.

Ma quello che mi sconvolge è che le regole non dovrebbero neppure esserci, perché DOVREBBE BASTARE IL BUON SENSO.

Ci vuol tanto a capire che magari un paziente non gradisce il fatto che il bagno della sua stanza, in orario di visita, si trasformi in un bagno pubblico aperto a tutti gli sconosciuti visitatori del reparto?

Ci vuol tanto a capire che una donna anziana che -completamente nuda- viene lavata nelle sue parti intime da degli assistenti non sarà contenta che la porta della sua stanza si spalanchi di colpo ed entrino tutti i parenti della compagna di stanza (e hai voglia poi a scusarti e ad uscire... nessuno ti ha insegnato a bussare? Giuro che questa cosa capita tutti i giorni)...

Ci vuol tanto a capire che sarebbe sufficiente un po' di rispetto e un minimo di circospezione?

Altra maleducazione comunissima è la reiterazione: mandare fuori lo stesso parente una, due tre, quattro, cinque volte (e quello continua a rientrare di nascosto) è sfiancante. E vi assicuro che rimanere cortesi alla quinta volta non è semplice.

E' una lotta continua alla quale, per il bene dei pazienti, il personale non può esimersi. E' stressante e deprimente dover "fare il carabiniere", oltre al proprio lavoro, per evitare che le cose degenerino trasformando il proprio reparto in un mercato di piazza.

Io ce la metto tutta a bilanciare: devo essere cordiale, comprensivo, empatico e allo stesso tempo fermo, severo, rigoroso. Mica sempre si riesce. Mi scuso con quei rari "parenti ideali" che qualche volta mi avranno trovato un po' scorbutico perché li ho redarguiti per una piccolezza. Magari è perché nella stanza precedente, mentre eseguivo una medicazione sterile, si è aperta la porta e sono entrati tre parenti con delle pizze.

Data pubblicazione: 26 aprile 2012

11 commenti

#4
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Dr. Lucio Piscitelli

Caro Emanuele: PERFETTO!

Hai fatto una analisi completa ed efficace: questo blog andrebbe affisso in tutte le corsie ospedaliere, nelle quali OGNI MINUTO ci troviamo a combattere con questo problema.
I familiari raramente sono disposti a capire che non è una questione di principio, ma una grave interferenza con la qualità dell'assistenza a tutto svantaggio dei loro stessi familiari.
Anche a me, che solitamente sono molto disponibile e comprensivo, capita talvolta di perdere la pazienza e diventare aggressivo.

#5
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Dr. Stelio Alvino

Carissimo, concordo con il tuo "pezzo". Ora in Emilia-Romagna e in Toscana si sono inventate le "Rianimazioni aperte" e tutti a compiacersene, dopo i clamori televisivi della novita'! Una sorta di locale pubblico dove accedere per almeno 12 ore al giorno continuativamente (anche per le rianimazioni open space come la mia) Ti dico solo gli orari della mia e se ne traggano le debite considerazioni (dalle 13.00 alle 01.00 del mattino!!) Che vantaggi ne avra'il paziente poi? Ma pletore di illustri scienziati del "non-so-che" e compiacenti Direttori hanno sentenziato il contrario, quindi come non doversi attenere alla rivoluzionaria novita'?
La realta' pero' e' quella che descrivi.

#6
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Utente 219XXX

Questa è un attenta analisi al problema ed è tristemente veritiera.
Manca però la controparte dei parenti che mi creda, non sempre sono trattati alla giusta maniera perchè come è vero che ci sono medici e reparti interi in cui si cerca di porsi educatamente e in maniera sensibile verso i visitatori c'è anche una parte che non sa nemmeno cosa significhi salutare.

Inutile stare a fare un elenco delle mille cose che ho sentito dire da conoscenti affidabili o scrivere di quelle che ho vissuto io; piuttosto si dovrebbe cercare il modo di collaborare visto che il fine ultimo di entrambe le parti è la guarigione e magari il miglioramento di vita del paziente.

In alcuni reparti si è capito quale grande risorsa possa essere un ospite del reparto se adeguatamente "ammaestrata"; le pulizie del malato, l'aiutare a mangiare o a fare due passi lungo il corridoio, la compagnia o il semplice stare vicino per sostegno morale sono valori aggiunti e in alcuni casi alleviano di un pochino il grande carico di lavoro che grava sugli infermieri... non so se il Dr Alvino se ne accorge ma le rianimazioni aperte non sono un progetto da buttare via totalmente; andrebbe meglio calibrato il tiro!

Ovviamente non tutti siamo predisposti all'euducazione ma questo vale tanto per "noi parenti" quanto per il personale medico, infermieri e assistenti.

La maleducazione è un male comune e riflette quanto poco elevato sia il nostro paese... quindi di questi tempi non mi sorprenderei se trovassi un medico scorbutico, un infermiera svogliata, e un parente che cerca di sgattaiolare nella stanza del malato fuori orario!

Saluti da un ospite di reparto che alle volte si è scordata di avere davanti prima che un medico un uomo!

#7
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Dr. Emanuele Caldarella

Gentile utente,

mi fa piacere leggere anche una risposta da chi sta... dall'altra parte! Certamente è vero, la mia analisi è parziale.
E' il punto di vista di chi sta con il camice bianco.
Lo stress e l'esasperazione con la maleducazione di alcuni non devono essere una giustificazione per diventare a nostra volta gratuitamente scorbutici.
Ma allo stesso tempo è vero che il medico "di guardia" si chiama così proprio perché è l'unica autorità a presidiare il fortino, e deve essere pronto ad affrontare tutte le situazioni che possono capitare, che vanno affrontate con fermezza crescente via via che aumenta la gravità dell'infrazione constatata: e modulare la fermezza non è mica tanto semplice... ha mai fatto caso a come siano rari i rappresentatnti dell'ordine carini e gentili? Fa parte (purtroppo) della figura professionale, e dell'umanità.
Proprio per questo è bello il commento che Lei fa alla fine: si ha davanti un uomo, prima che un medico.
E' umano trincerarsi dietro una corazza rude in alcune situazioni difficili.
Personalmente ritengo che l'umanità nel mio mestiere sia una dote.
Non posso essere umano fintanto che sono al fianco del paziente a condividere una scelta difficile, e diventare di colpo un automa privo di sentimenti di indignazione e rabbia quando vedo certe cose!
Il nostro mestiere ci espone ad uno stress notevolissimo, ed è comprensibile che chi sente sulle proprie spalle il peso di scelte così pensanti, sia poco disposto a sopportare i capricci e i futili isterismi di alcuni.

Io cerco sempre di mantere l'aplomb, e le assicuro che, con chi lo merita, essere gentile e carino mi viene proprio spontaneo.
Ma preferisco essere umano. Questo è un grande vantaggio per i miei pazienti, anche se può essere a volte spiacevole per i maleducati.

Bè, tutto sommato, peggio per loro...


PS: gliene racconto una nuova nuova: sto camminando nel corridoio esterno del blocco operatorio, per andare dalla terapia intensiva alle sale operatorie. Naturalmente in questa zona l'accesso dei visitatori è interdetto. Ci sono delle porte metalliche (chiuse, ma non a chiave) con una scritta (lettere adesive alte 20 cm): BLOCCO OPERATORIO - VIETATO L'ACCESSO

Ebbene, incrocio una ragazza in blue-jeans che con candida nonchalance mi chiede dove sono le macchinette del caffè.
Le rispondo che ha sbagliato, questo è il blocco operatorio, e le chiedo di tornare indietro.
Lei si irrita subito, rispondendomi che sa benissimo che le macchinette del caff+è sono nella direzione in cui lei stava caminando.
Le rispondo che ha ragione, ma che avrebbe dovuto passare da un'altra parte perché la scorciatoia che attraversa il blocco operatorio non è percorribile. Mi accingevo a spiegarle la strada, ma non ho fatto in tempo: la ragazza ha continuato il suo cammino, senza dimenticare di esprimere un eloquente definizione della simpatia che provava per me, gridando e urlando parolacce.

Ora, è evidente che la ragazza aveva qualche problema.
Ma si rende conto di quanto io sia stato fortunato che questa scena sia sia svolta nel corridoio ESTERNO? Si rende conto che se la ragazza avesse cercato di superare il filtro delle sale operatorie non avrei potuto "lasciar correre", e avrei dovuto fermarla con la forza?

E magari poi mi sarei pure beccato una denuncia....

#8
Foto profilo Dr. Salvo Catania
Dr. Salvo Catania

Caro Emanuele,
molto esplicito ed utile il tuo blog che ripropone un problema di difficile soluzione.
Anzi poichè anche tu parteciperai al corso della prossima settimana a Milano

http://www.unimeier.eu/corsi-di-formazione/2011/11/17/relazione-reale-virtuale-medico-paziente.html

in qualità di coordinatore ti propongo ufficialmente di riproporlo in fase di discussione (Role playning) con gli altri colleghi partecipanti ed operatori sanitari. E' un tema che non avevo previsto e ti ringrazio di averlo riesumato.

Io non ho questo problema con i miei pazienti e parenti perchè la prima cosa che chiarisco è che "se vuole che io sia il suo curante, la prima condizione da rispettare che esista un solo canale di comunicazione tra paziente-medico escludendo qualsiasi altra interferenza esterna" . In altre parole metto subito in chiaro che se i parenti desiderano informazioni da me le devono richiedere al paziente stesso che viene informato di tutte le fasi del trattamento. Cioè si stabilisce attraverso una negoziazione un patto contrattuale di lealtà reciproca .Perchè questo atteggiamento ?

Perchè i nostri percorsi di studi hanno cementato il canone ippocratico secondo il quale il malato viene "sminuito" della sua capacità di distinguere il bene ed il male , proprio come un bambino e pertanto i familiari si sentono autorizzati ad essere sempre in prima linea per accudire il "bambino".

Quando invece il medico si prende cura IN MODO FATTIVO della dignità del paziene, i familiari diventano subito degli agnellini e sentono colpevolmente il ruolo di rompiglioni quando interferiscono nella relazione medico-paziente.

Provare per credere, anche se non è facile invertire una cultura ormai radicata.

#9
Foto profilo Dr. Salvo Catania
Dr. Salvo Catania

Per quanto riguarda invece l'educazione degli operatori sanitari
concordo con il nostro utente >>Manca però la controparte dei parenti che mi creda, non sempre sono trattati alla giusta maniera perchè come è vero che ci sono medici e reparti interi in cui si cerca di porsi educatamente e in maniera sensibile verso i visitatori c'è anche una parte che non sa nemmeno cosa significhi salutare >>
che corrisponde allo spaccato della nostra società : non è diversa
la situazione se ci rechiamo allo sportello bancario o a quello postale o all'INps o negli uffici del Registro delle Entrate !!!

#10
Foto profilo Utente 153XXX
Utente 153XXX

Bell'intervento Dottor Caldarella, ma le realtà ospedaliere sono estremamente variegate e la convivenza civile tra persone non può mai darsi per scontata.
Inoltre spesso i medici gli infermieri e gli operatori sanitari in genere forse non sono così soddisfatti della realtà in cui si trovano ad operare e tendono ad essere sgorbutici e altezzosi quando non maleducati anche con i pazienti. Io ho subito 3 interventi minori di ortopedia e in uno in particolare nonostante continuavo a dire che l'anestesia locale non era andata a buon fine l'anestesista continuava a dire che conosceva il suo lavoro che ero solo agitata e stupidaggini simili e pur di non mettere in discussione il suo operato mi ha fatto entrare in sala operatoria senza un efficace anestesia ed infatti ho sentito il taglio. Io poi chiesi di parlare con l'anestesista per avere chiarimenti su quanto era successo, ma lei non si è neanche presentata e per concludere quando sono andata in infermieria per togliere l'agocannula e ho chiesto di sedermi l'infermiera mi ha fatto un'inutile paternale su quanto fossi sciocca, sulla semplicità dell'intervento, che non era possibile che mi sentissi male per una cosa del genere etc... morale della favola mi sono talmente arrabbiata (ma non volevo risponderle perchè sarei stata molto maleducata in quel caso) che appena ha tolto l'ago sono svenuta e mi è toccato rimaner li per altre due ore in attesa di una valutazione medica. Quindi posto che la maleducazione, l'invadenza, la saccenza, l'ignoranza(molto spesso)sono da bandire in ospedale come in ogni luogo, ascoltare le motivazioni degli altri è indispensabile o quanto meno utile da ambo le parti.
Ma non tutti sono così, infatti in quello stesso ospedale ho incontrato infermiere eccezionali e l'ortopedico che mi ha in cura è di un'umanità e di una disponibilità veramente fuori dal comune(con i pazienti, ma ad esempio anche con mia madre che è molto ansiosa e faceva mille domande per un'intervento davvero sciocco).
In attesa di altri interessanti spunti di discussione la saluto cordialmente.

#11
Foto profilo Dr. Emanuele Caldarella
Dr. Emanuele Caldarella

Recentissime:

1) Settimana scorsa. Con carrello delle medicazioni e con infermiera al seguito, mi accingo ad entrare in una stanza. Con sorriso e affabilità, chiedo gentilmente ai parenti (quattro persone) di uscire dalla stanza. La figlia della paziente che avrei dovuto medicare mi apostrofa in malo modo: "devo uscire?!?! ma come, è orario di visita!"
Anche se fosse stato vero (in realtà mancava un'ora all'inizio dell'orario visite), vi sembra normale un comportamento del genere?

2)Due giorni fa. Solita scena.... signora ottantenne nuda nel letto, girata sul fianco, io e l'infermiera stiamo rimuovendo i drenaggi dall'anca. Non è orario di visita parenti. Si spalanca la porta ed entra il figlio della compagna di stanza. Si scandalizza.
Ma io mi chiedo: sei in un reparto di protesica dell'anca, cosa diavolo ti aspettavi di trovare dietro una porta CHIUSA? Non si usa bussare?

Forse vi sembrerà l'eccezionalità, ma vi assicuro che queste sono scene quotidiane. Provate voi a rimanere calmi tutte le volte. E' una lotta continua...

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