Marco Simoncelli
“Addio amico pazzo”….sono le parole di Valentino Rossi sul suo profilo cui hanno fatto eco migliaia di fans su Twitter e Facebook.
Ci sono anche le parole di anonimi cittadini che commentano al bar o sulla metropolitana la tragica scomparsa di Sic e si avverte la necessità per chi muore a 24 anni di testimoniare che “era simpatico e solare, ma….”. Quel ma sottovoce quasi per occultarne il vero significato “ma in fondo se l’è andata a cercare”.
Quindi Sic era un pazzo incosciente a sfidare ogni giorno la morte?
Sui praticanti degli sport pericolosi viene spesso proiettata l’ombra dell’eroe, con il suo lato negativo e malato.
Piloti di auto e moto, navigatori solitari, paracadutisti, esploratori, speleologi, alpinisti sono comunemente considerati dei pazzi incoscienti, amanti del pericolo gratuito, degli scriteriati sui quali aleggiava, complice una certa psicoanalisi da strapazzo, il sospetto di ben precise patologie: narcisismo, volontà di potenza, instabilità emotiva e desiderio di morte.
In tempi recenti lo psicologo F. Farley ha contribuito in maniera determinante ad investigare il profilo psicologico di atleti ad alto rischio e per primo ha delineato la cosiddetta personalità di tipo T, cui apparterrebbero i protagonisti dell’estremo, che tende a cercare il rischio estremo come forma di eccitamento e di stimolo.
Le personalità di tipo T si dividerebbero in due gruppi:
- i T + (più) che vivono il rischio in maniera positiva, controllata e salutare;
- i T – (meno) che tendono a cercare i rischi in maniera negativa attraverso la delinquenza, la violenza gratuita, e l’autodistruzione attraverso la sperimentazione di droghe o alcol. Sui T+ Farley scrive “La prima cosa che appresi da queste persone fu che essi avevano sviluppato una enorme voglia di vivere e che la vita per loro era la cosa principale al mondo. Manifestavano un grande desiderio di vita poiché tutti loro avevano una vita estremamente interessante ed eccitante”.
Nello stesso senso va letta la ricerca di G.Semler, la quale, oltre a contenere la più completa raccolta di ipotesi teoriche, psicologiche e psicodinamiche, sulle motivazioni (patologiche e non) che potrebbero essere attive nell’animo dei praticanti delle attività estreme, risulta utile per un ulteriore motivo, perché l’obiettivo segreto delle attività estreme, in verità, sarebbe il conseguimento di quel particolare stato di grazia che Semler ha chiamato FLOW, e che si realizzerebbe solo, ma non sempre, nel momento della massima concentrazione.
Questi atleti volte affrontano situazioni in cui il minimo errore, la minima distrazione può costare loro la vita. In queste situazioni, percepire ed esistere diventano una sola cosa, ci si fa tutt’uno con l’azione, ci si identifica con essa completamente e la dolorosa scissione soggetto-oggetto, che ci perseguita come un trauma dalla nascita, per un istante si annulla.
E, come ho scritto altrove... si annulla la memoria http://www.senosalvo.com/il_deserto_parte_I.htm. Non ci si sente più separati da ciò che si fa, azione e coscienza coincidono. Talvolta la perdita della cognizione astratta di sé è così totale da determinare una comunione con ciò che ci circonda. Flow, scrive Semler, è meditazione, anche se non come la si intende comunemente nella tradizione cristiana e orientale: http://www.senosalvo.com/sport_estremo_stati_alterati.htm.
Chi ha partecipato a gare dove la perdita della concentrazione o incidentalmente può costare la vita comprende bene il significato di Flow, strumento che allontana dalla paura della morte.
E non certo perché più coraggiosi rispetto a quelli più paurosi come già Manzoni ben ci rappresentava con la figura di Don Abbondio, ma semplicemente per un fenomeno dove sono implicati alcuni ormoni, l’ossitocina in particolare.
Ricordo bene che quando mi accingevo a partecipare a gare estreme nel deserto e leggevo la paura negli occhi dei miei amici, mi chiedevo sempre se fossi io o loro “il normale”.
Quello che mi inquietava di più, non per il pensiero della morte ma per paura di creare disagio ulteriore alla mia famiglia, si presentava puntualmente quando prima di ogni partenza ero invitato a compilare e controfirmare un modulo che recitava tra le altre cose: “In caso di decesso a chi va consegnata la salma?”
La salma di chi?
Neanche quando ho avuto modo di confrontarmi direttamente con la morte di altri ho avuto la benchè minima paura. Ciò è accaduto ben 4 volte e ben due volte nella stessa gara alla Diagonale Des Fous (La diagonale dei pazzi)
Mi trovavo in compagnia di un amico che mi chiedeva “e ora che facciamo?”. PROSEGUIAMO OVVIAMENTE, la mia risposta.
A questo stamattina ho pensato, allorchè Valentino Rossi ha scritto sul suo profilo e dichiarato ai giornalisti “PROSEGUO... OVVIAMENTE”.