L’isolamento sociale rimpicciolisce il cervello degli anziani
Tenere in esercizio il cervello aiuta a rallentare il declino cognitivo?
Nel saggio Historia Vitae et Mortis del 1622, Francis Bacon descrive come preservare i corpi dall'azione disgregatrice del tempo e contrastare la principale causa dell'invecchiamento, l'atrofia senile, ispirandosi all’aforisma del grande medico romano Celso “functio facit organum”, ossia la funzione crea l’organo. Una nuova ricerca, fondata su uno studio epidemiologico prospettico condotto da Barbara J. Sahakian, professore della Clinical Neuropsychology all’Università di Cambridge (UK), avvalora il principio enunciato da Celso per cui se il cervello è tenuto in esercizio se ne può contrastare e ritardare il degrado legato all'azione devastatrice del tempo.
Cosa dicono gli studi?
Il lavoro Associations of Social Isolation and Loneliness with Later Dementia, pubblicato l’8 Giugno 2022 su Neurology [1] evidenzia che l’isolamento sociale degli anziani determina uno scadimento della funzione cognitiva ed espone nel follow-up ad un maggior rischio di demenza rispetto ai soggetti non socialmente isolati.
Per esplorare il potenziale meccanismo neurobiologico e per stabilire modelli Cox di rischi proporzionali (in relazione al tempo e ad una o più covariate associate a tale quantità di tempo), è stata utilizzata una coorte di 462.619 soggetti, dell’età media al baseline di 57.0 anni.
Ai partecipanti veniva richiesto se vivessero con altre persone, se ricevessero visite di amici o di familiari almeno una volta al mese, e se prendessero parte ad attività sociali, come associazioni, meeting o volontariato almeno una volta a settimana. In caso di risposta negativa ad ambedue i quesiti si era considerati socialmente isolati.
Per misurare l’entità della solitudine, è stato domandato se il soggetto si definiva un solitario e quanto spesso usava confidarsi con altre persone; coloro che avevano risposto affermativamente alla prima questione e di confidarsi meno che una volta al mese erano considerati solitari.
I Ricercatori hanno inoltre raccolto altre informazioni personali, valutato i dati della Risonanza Magnetica (RM) dell’encefalo, eseguita su 32.263 partecipanti (età media 63.5) all’incirca 9 anni dopo l’arruolamento nello studio, ed hanno eseguito test di valutazione della funzione cognitiva.
Al baseline dei partecipanti, il 9% è risultato socialmente isolato, mentre il 6% è stato inquadrato nella tipologia dei soggetti solitari.
I reperti della RM indicano nei soggetti socialmente isolati un ridotto volume della sostanza grigia nelle regioni temporali, frontali, nel talamo, nell’amigdala e nell’ippocampo, ossia nelle aree cerebrali connesse al meccanismo dell’apprendimento e della memoria (P <. 001). Diversamente, nei soggetti tendenzialmente solitari non si è individuato un link tra il loro comportamento ed un ridotto volume della sostanza grigia o demenza.
Al follow-up medio di 11.7 anni sono stati identificati 4.998 casi di demenza ascrivibili a tutte le cause e nei soggetti socialmente isolati si è rilevato un rischio maggiore di 1.26 volte (95% CI, 1.15-1.37), ossia l’incidenza della demenza è risultata più elevata del 26%. Il rapporto di rischio nei soggetti solitari era di 1.04 (95% CI, 0.94-1.16) e nel 75% questa relazione era attribuibile a sintomi depressivi.
Lawrence Whalley, professore di salute mentale all’Università di Aberdeen (UK), rileva il contributo importante che emerge dai dati di questo studio sul volume cerebrale in relazione all’isolamento sociale, cui è ascrivibile un’aumentata incidenza di demenza più che all’attitudine alla vita solitaria.
Ciò rappresenta un monito per la comunità a prevenire l’isolamento sociale degli anziani, sollecitando l’allestimento di attività sociali attraverso club e la condivisione di hobby, allo scopo di evitare lo stress cronico di dover fare affidamento solo su se stessi e di non disporre di aiuto e di compagnia per affrontare i propri problemi.
Per approfondire:Demenza: le persone estroverse e meticolose rischiano meno
Fonti: