La meditazione limita il ricorso eccessivo agli oppioidi nel dolore cronico
Attraverso l’incisione delle capsule immature del Papaver somniferum si ricava un succo (in greco opos) e da questa resina si estrae l’oppio, che costituisce la droga più antica del mondo: i sumeri lo conoscevano già nel 4000 a. C. per le sue qualità euforizzanti e gli egizi lo usavano come calmante per i bambini ed era consigliato contro numerosi mali da Ippocrate, Galeno e dalla Schola Medica Salernitana. Nell’antichità si è adoperata la tintura di oppio o laudano fino a quando, nel 1805, il tedesco Friedrich Serturner, un garzone di farmacia, cristallizzò l’alcaloide naturale dell’oppio, che per il suo effetto soporifero chiamò morphium dal nome della divinità greca del sonno.
Gli oppioidi sono composti chimici che, legandosi allo specifico recettore nel Sistema Nervoso Centrale e Periferico, producono effetti farmacologici simili a quelli della morfina, modulando le sensazioni dolorifiche. Nelle condizioni di dolore cronico è frequente l’abuso terapeutico degli oppiodi, che causa effetti collaterali e può compromettere il funzionamento del sistema immunitario.
Dolore cronico: la cura attraverso la meditazione
Una nuova ricerca, condotta da Eric Garland direttore del Center on Mindfulness and Integrative Health Intervention Development (C-MIIND), University of Utah, Salt Lake City, pubblicata il 28. Febbraio. 2022 su Jama Internal Medicine [Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement vs Supportive Group Therapy for Co-occurring Opioid Misuse and Chronic Pain in Primary Care. A Randomized Clinical Trial] (1) suggerisce che un supporto psicoterapeutico basato su training di meditazione e terapia cognitivo-comportamentale risulta efficace nel ridurre il dolore cronico, limitando l’uso eccessivo di oppioidi.
Nel periodo 2016-2020 sono stati arruolati nel trial 250 adulti affetti da condizioni cliniche di dolore cronico e che assumevano ingenti dosi di oppiodi (159 donne [63.6%], età media 51.8 anni) dei quali 129 randomizzati nel MORE (mindfulness-oriented recovery enhancement) e 121 nel gruppo con solo supporto psicoterapeutico.
L’intervento MORE è consistito in sessioni di:
- Mindfulness: meditazione trainata da respiro controllato e sensazioni corporee finalizzata a mitigare la componente emozionale del dolore e rinforzare l’auto-controllo nell’assunzione compulsiva di oppiodi, attraverso una re-interpretazione del loro bisogno disperato convertita in una informazione sensoriale innocua.
- Ristrutturazione cognitiva: orientata a riesaminare i pensieri maladattivi per diminuire le emozioni negative ad essi connesse
- Savoring: consistente nel focalizzare la coscienza su eventi e sensazioni molto gradevoli che amplifichino emozioni positive tanto da indurre senso di ricompensa.
Dopo un follow-up di 9 mesi, nel gruppo MORE la probabilità di ridotta utilizzazione di oppiodi è risultata doppia rispetto all’altro gruppo [2.06 (95% CI, 1.17-3.61; P = .01)], e comparativamente è stato anche registrato un più basso stress emotivo e minor bisogno incoercibile di oppioidi. I soggetti MORE hanno ridotto del 45% l’abuso di oppioidi sperimentando una minore intensità del dolore e grazie a ciò una minore interferenza negativa sulle proprie attività funzionali.
Rispetto alla sola terapia cognitivo-comportamentale, che ha sinora costituito il trattamento gold-standard per il dolore cronico, l’effetto del MORE è maggiore in quanto comporta una riduzione dello stress emotivo, dei sintomi depressivi e riduzione in tempo reale del bisogno insopprimibile di oppioidi. Sebbene all’inizio del trattamento nel 70% circa dei partecipanti fossero presenti i criteri per la diagnosi di disturbo depressivo maggiore, questi sino alla fine dello studio nei pazienti MORE non sono stati ulteriormente evidenziati.
Garland ha sinora effettuato un training formativo per oltre 450 medici, psicologi e infermieri sulle tecniche del MORE per la sua applicazione nel contesto di strutture sanitarie, quale metodologia assistenziale che consente di abbassare il volume del dolore.
Seppure all’inizio i pazienti mostrino verso il programma MORE qualche scetticismo, già dopo la prima sessione diventano pienamente recettivi avvertendone i benefici e creano un legame fra di loro, istruendosi vicendevolmente e rompendo in tal modo l’isolamento che crea la condizione di dolore cronico.
Fonte:
- JAMA Intern Med. Published online February 28, 2022. doi:10.1001/jamainternmed.2022.0033