L'insonnia ha molte facce
E’ noto che l’orologio circadiano del nostro cervello regola il ritmo del sonno e della veglia che sono legati da mutua interdipendenza, nel senso che il sonno influenza il nostro funzionamento diurno e le esperienze durante la veglia influiscono sul successivo sonno. Per indagare i meccanismi cerebrali che promuovono o disturbano il sonno, la Dr. Tessa Blanken dell’Istituto olandese di Neuroscienze ha di recente pubblicato su The Lancet Psychiatry uno studio sull’insonnia, inquadrandola in una visione alquanto nuova che potrà promuovere ulteriori scoperte del suo meccanismo e conseguenti maggiori possibilità di intervento.
Benché l’insonnia cronica sia uno dei maggiori disturbi neurologici, essendone affetta una persona su dieci e sia stata investigata, in aggiunta alle indagini standard sul sonno, con un arsenale di sofisticati studi funzionali e di imaging (EEG ad alta intensità, fMR 1.5, 3 e 7 Tesla, Magneto-encefalografia, Stimolazione Magnetica Transcranica, Oculometria) tuttavia il sottostante meccanismo cerebrale non è stato finora compreso. Fino a quando la sua spiegazione fisiopatologica resterà un enigma il suo trattamento rimarrà ancora controverso e solo parzialmente efficace. Su queste premesse, il team della Blanken ha condotto, grazie a migliaia di volontari della piattaforma internet slaapregister.nl, questa ricerca i cui risultanti sono promettenti per future scoperte sul meccanismo dell’insonnia.
La Dr. Tessa Blanken puntualizza che l’insonnia non è un’entità unica ma è un coacervo di cinque diversi sottotipi che possono essere sorretti da meccanismi cerebrali alquanto differenti, alla stessa stregua della demenza la cui comprensione è stata resa possibile solo distinguendola nei suoi diversi tipi, quale Alzheimer, demenza fronto-temporale, etc. Ma diversamente dalla demenza, che si caratterizza per il disturbo cognitivo con diverse connotazioni, i cinque tipi di insonnia non differiscono per nulla nella fenomenologia costituita dalla difficoltà di addormentarsi o dal risveglio precoce. Pertanto, l’identificazione di questi sub-tipi può essere fatta solo focalizzando altri aspetti collocati oltre il disturbo del sonno in sé.
I Ricercatori dell’Istituto olandese di Neuroscienze hanno somministrato dozzine di questionari sui tratti di personalità, che sono peculiari delle funzioni associative di specifiche strutture cerebrali e, sulla base degli score ottenuti, hanno identificato i seguenti cinque sottotipi di insonnia associati a specifici profili di personalità.
Il Tipo 1 è caratteristico di soggetti con tratti di neuroticismo e tendenza all’umore depresso o a marcata tensione intra-psichica. Il Tipo 2 contraddistingue soggetti con minore disturbo dell’umore ma con elevata necessità di gratificazione, che è invece bassa nel Tipo 3. Di entità ancora minore è il disturbo dell’umore nel Tipo 4 ma è molto intensa la risposta agli eventi stressanti della vita, con risposta di insonnia severa e di lunga durata, mentre nel Tipo 5 lo stress disturba il sonno in maniera molto più lieve.
I soggetti arruolati nello studio, dopo 5 anni, sono stati sottoposti a re-assessment psico-diagnostico esibendo il medesimo profilo, che indica quanto i tratti fondamentali della nostra personalità siano ancorati a specifiche strutture del cervello. Inoltre, i cinque diversi tipi differiscono anche nella risposta elettroencefalografica a stimoli ambientali. Va anche detto che sotto l’aspetto clinico i diversi sottotipi differiscono per la risposta al trattamento farmacologico o alla terapia cognitivo-comportamentale e per tendenza a sviluppare un disturbo depressivo.
In conclusione, attraverso la correlazione tra una specifica struttura del cervello e i tratti della personalità ed utilizzando i risultati di questa ricerca si potranno ricavare utili indizi per la scoperta dei meccanismi che sottostanno ai singoli sottotipi di insonnia i quali, tra l’altro, consentono una precoce identificazione dei soggetti con disturbo dell’umore. Ciò potrà favorire un più efficace studio per la prevenzione della depressione nei soggetti ad elevato rischio.