Le cure primarie: alternativa all'ospedale e all'ospedalocentrismo

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Dr. Luano Fattorini Gastroenterologo, Medico di base, Chirurgo apparato digerente, Medico di medicina generale, Radiologo, Chirurgo generale

È finalmente di moda parlare del territorio e delle cure primarie.

L’ospedale va ridimensionato e in questo difficile momento va anche liberato dalla pesante pressione in atto, e reso idoneo alla sua molteplice e insostituibile funzione.

 

Come ho scritto molte volte, in varie occasioni, l'ospedale va ridimensionato, e non solo, come si diceva, perchè è troppo costoso per l’erario, ma anche perchè va rilanciata la cosiddetta medicina del territorio in un sana ed equilibrata sanità a favore dei cittadini.

 

Ma parlare di cure primarie non deve essere semplicemente un ripiego, i problemi sono questi:

  1. La medicina del territorio è certamente più semplice ed economica, almeno per adesso, e soprattutto è più a misura d’uomo e di famiglia; ma bisogna convincerci anche che essa “sarebbe” la più autentica risposta in termini di traduzione clinico-professionale alle complesse problematiche di salute della popolazione odierna (morbilità e prevenzione, primo accesso nella patologia acuta, momenti epidemici, invecchiamento della popolazione, disabilità e cronicità diffusa, follow-up, ecc..) e ai sempre più avanzati progressi scientifici della medicina.

  2. La medicina del territorio si basa praticamente sul lavoro dei medici di base (o medici di medicina generale o medici di famiglia) cosiddetti “generalisti”; i distretti ne “dovrebbero” essere un supporto ed un’appendice (non un’appendicite!).

  3. Occorre una medicina del territorio diversa, più adeguata ad un lavoro clinico che sostituisca in meglio il ricorso troppo diffuso e spesso inappropriato all’ospedale.

  4. Occorre una nuova classe di medici di base; devono avere una preparazione più adeguata dal punto di vista della esperienza clinica, una cultura medico-chirurgica più consistente e funzionale a diagnosi e terapie capaci di essere esaustive ed autonome dalla “presenza” ospedaliera.

  5. Occorre, se necessario, aumentare il carico “clinico”, magari supportandolo con il lavoro infermieristico e abolire o ridurre al minimo il carico “burocratico”.

  6. Occorrono strumenti diversi: gli ambulatori, le strutture e la strumentazione per interventi clinici, fatti da medici di medicina generale, devono essere autonomi e capaci di operare senza il ricorso costante al supporto specialistico.

  7. Tali medici di medicina generale si formano in modi che vanno rivisti e ri-progettati, ma di certo diversamente da come si stanno formando da troppi anni ormai, quindi occorre invertire la tendenza.

  8. Occorre una riconversione culturale: ormai è diffusissima, anche tra gli stessi operatori, la cultura che per ogni problema di salute il meglio è rappresentato dallo specialista di settore: occorre riscoprire il valore insostituibile della medicina generalista e “olistica” nella cura della persona.

  9. Se necessario, per aiutare tale riconversione culturale, occorre, magari pro-tempore, tornare a medici che stanno part-time in ospedale e part-time esercitano come medici di base, con il supporto di personale, infermieristico e amministrativo; e vanno adeguatamente incentivati dal punto di vista finanziario, normativo e di carriera, a differenza del passato in cui furono disincentivati e “puniti” per il “doppio lavoro”.

  10. Poiché lo stato ha bisogno ed avrà sempre più bisogno della burocrazia, per controllo e programmazione finanziaria, occorre destinare ad occuparsi delle pratiche personale diverso dai medici di base, riattribuendo quindi a questi ultimi le funzioni cliniche per cui hanno studiato, riguadagnandoli così alla stima “clinico-professionale” dei cittadini;
    i cittadini amano il loro medico “di famiglia”, lo dicono anche i sondaggi, ma quando si sentono davvero male vanno subito al pronto soccorso (disposti ad attendere ore e ore) o dallo specialista del ramo;
    e magari poi chiamano il loro medico a casa per farsi scrivere la terapia che gli altri hanno prescritto.

  11. Occorre rieducare la gente a fare un uso appropriato della medicina, a scegliere la medicina di territorio, ad aspettarsi da essa le soluzioni adeguate, a scegliere il medico in base alla esperienza e alla cultura, non solo sulla simpatia e sulla accondiscendenza.

  12. Occorre inventare strumenti di verifica di qualità sul lavoro di medicina territoriale; la verifica va fatta sul lavoro clinico, non semplicemente sulla spesa di farmaci, o sulle prescrizioni, va fatta sui risultati in termini clinici, come riduzione del ricorso ad altri medici, ospedalieri o specialisti, e sulla celerità e appropriatezza della diagnosi e della restitutio ad integrum o della stabilizzazione della malattia cronica, o della prevenzione di eventi acuti o complicanze attendibili;
    su ciò occorre investire con politiche di monitoraggio e di incentivazione, non semplicemente di disincentivazione della spesa e delle prescrizione, occorre incentivare l’aggiornamento personale e l’innovazione realmente utile ed efficace, non i cosiddetti “corsi” obbligatori diretti dai soliti noti sindacalisti del momento e destinati al mero ripasso del corso di laurea, uguale per tutti e funzionali a dare visibilità e pubblicità all’Asl e ai medici dell’ospedale del distretto geografico di appartenenza, allo scopo di evitare le costose “fughe” o le costose dissonanze.
    Con appropriati strumenti di verifica sarà possibile programmare meglio la spesa e gli investimenti, ma sarà anche possibile dimostrare ai cittadini, e agli amministratori, la bontà dell’investimento sulla politica del territorio e sulla credibilità “clinica” della medicina del territorio.

  13. E’ necessario istituire organi appositi, sia nelle asl che nei comuni, dedicati allo studio e agli indirizzi sulle politiche delle cure primarie e che tengano un filo diretto e privilegiato, “dedicato”, a necessario supporto del lavoro dei medici di base, dei loro studi convenzionati e della cosiddetta medicina in associazione, o delle odierne “case della salute” o del cosiddetto “ospedale di comunità”, se esiste, e della relazione tra tali realtà di sanità territoriale.

Infine è bene non dimenticare mai che I medici di base sono dei liberi-professionisti, non dipendenti della ASL, praticamente svolgono un lavoro pubblico ma da privati, in parte parasubordinato.

Con tutto ciò che tale posizione comporta a livello della libertà professionale, ma anche a livello di riconoscimento dei diritti propri dei “dipendenti” e del trattamento economico-finanziario, stipendiale, assicurativo e previdenziale.

 

Data pubblicazione: 13 novembre 2015 Ultimo aggiornamento: 07 aprile 2020

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