C'era una volta la SARS
Ricordate la Sindrome Respiratoria Acuta grave (SARS o Sever Acute Respiratory Syndrome)?
Comparsa dal nulla nella provincia cinese del Guangdong nel novembre del 2002, ha coinvolto 29 paesi nel mondo con circa 8.000 casi e 774 morti.
Responsabile era un virus già conosciuto perché in grado di provocare sindromi neurologiche e gastroenteriti nei mammiferi e circa il 15% delle forme stagionali di raffreddore nell’uomo. Antigenicamente diverso dai coronavirus umani e geneticamente molto più simile ai coronavirus degli animali provocava una Polmonite atipica e danni d’organo simili ad uno shock settico a distanza di pochi giorni da una banale sindrome influenzale soprattutto negli anziani e nei defedati con una risposta immunitaria antivirale precoce deficitaria ed una risposta iperimmune esagerata tardiva (la cosiddetta tempesta citochimica).
Il 12 marzo l’OMS dichiarava lo stato di allerta globale dopo che il 21 febbraio del 2003 la patologia si era diffusa al di fuori della Repubblica Popolare Cinese la quale riuscì per più di un mese a tenere nascosta al mondo intero la notizia della diffusione di una nuova malattia virale sconosciuta potenzialmente letale e diffusibile. Il 28 febbraio del 2003 il medico Italiano Carlo Urbani ne notificava le caratteristiche come polmonite atipica virale ad alta letalità. Lui stesso morì a causa dell’infezione nel marzo del 2003.
L’origine venne identificata nella infezione da parte di Coronavirus animali di mammiferi selvatici infetti allevati a scopo alimentare in mercati del sud della Cina. Il salto di specie (Spill Over) sarebbe avvenuto mediante il passaggio in pipistrelli quali serbatoi naturali del virus. La scarsa o assente reattività immunologica degli esseri umani avrebbe fatto il resto.
Nacquero subito dubbi sull’origine del virus potenzialmente creato in laboratorio a scopo militare (il bioterrorismo in quegli anni era una realtà a causa di alcuni casi di attentati negli USA con spore di Carbonchio) ma il sequenziamento virale eseguito a tempo di record da laboratori di più paesi uniti in rete evidenziò mutazioni troppo estese e riconducibili ad una variazione naturale. Un ceppo virale a lungo vissuto in un serbatoio animale (un mammifero).
Nessuna terapia efficace era nota. La letalità molto alta (circa il 9.6%) anche se inferiore all’1% in soggetti con meno di 24 anni e oltre il 50% in ultrasessantenni. Il 60% delle infezioni riguardavano personale sanitario. Un medico di 65 anni proveniente da Guandong, dopo aver visitato alcuni pazienti con SARS, aveva soggiornato all’Hotel Metropole di Hong Kong e trasmesso l’infezione a 12 ospiti. Gli ospiti diffusero il virus con viaggi aerei in Vietnam (63 casi), Singapore (238 casi) e Canada (251 casi) e successivamente in molti paesi del mondo compresa Australia, nord Africa ed Europa. In Italia si osservarono 4 casi di importazione ma nessun decesso.
Il 76% delle infezioni era stato contratto in ambiente ospedaliero, ben presto la SARS divenne una infezione nosocomiale che colpiva soprattutto infermieri (55%) e successivamente medici ed ausiliari. La trasmissione avveniva per via diretta attraverso l’eliminazione di piccole particelle di secrezioni aeree (flugge) che si depositavano sulle mucose di individui a meno di un metro di distanza con la fonazione (parlando e respirando normalmente) o fino a 2 metri e più in caso di tosse e starnuti.
La contagiosità era relativamente bassa ma in qualche caso poteva aumentare se in ambiente ospedaliero venivano praticate manovre in grado di produrre aerosol (ventilazione, endoscopie) e di veicolare così il virus a distanza in ambienti chiusi. Anche il contatto indiretto (maniglie di porte e finestre, superfici) riusciva a trasmettere l’infezione seppur di rado.
Clinicamente la malattia SARS esordiva con febbre elevata mialgie cefalea ed astenia talora con una gastroenterite (nausea, vomito e diarrea). Le feci risultavano infettanti. La progressione della malattia era verso la guarigione in alcuni giorni ma in una piccola percentuale di casi verso un peggioramento clinico improvviso dopo 10 gg dall’infezione con dispnea, desaturazione e necessità di ricovero in terapia intensiva. In molti casi era necessaria l’intubazione per permettere una ossigenazione adeguata (80% dei casi gravi). In caso di distress respiratorio grave con deficit multiorgano (fegato e reni) la letalità era molto alta e il virus era rilevato post mortem anche in encefalo pancreas, ghiandole salivari, tubuli renali e fegato oltre che nel polmone.
La polmonite atipica era comunque il quadro clinico più evidente con una dissociazione fra il quadro radiologico e clinico di scarsa entità e la gravità e rapidità della desaturazione (riduzione della concentrazione di ossigeno nel sangue). Gli esami biochimici rilevavano in molti casi riduzione del numero di globuli bianchi ed aumento del D Dimero, indice di alterazione della coagulazione del sangue.
La diagnosi effettuata con metodiche di biologia molecolare (PCR o polymerase chain reaction)per la ricerca del virus su secrezioni respiratorie veniva confermata con indagini sierologiche (incremento degli anticorpi di classe IgG di 4 volte in prelievi seriati in 4 settimane o sieroconversione ovvero scomparsa degli anticorpi di classe IgM e comparsa delle IgG dopo 28-30 gg). La immunità sierologica si rivelo’ avere una durata ed una protezione di circa 2-3 anni.
La circolazione del virus ha iniziato a perdere forza nella primavera del 2003 ed è stata definitivamente dichiarata conclusa il 5 luglio del 2003. Le misure di distanziamento sociale e l’uso di mascherine chirurgiche nella popolazione generale nei paesi asiatici nonché l’identificazione dei casi infetti ed il loro isolamento permise di arginare l’infezione. Nel mediterraneo l’arrivo della stagione estiva con la chiusura di scuole ed alcuni uffici e l’assenza di sindromi di perfrigerazione delle vie respiratorie per il clima caldo fecero il resto. L’estate del 2003 fu una delle più calde del secolo.
Il virus non assomigliava a nessuno dei Coronavirus noti e fu chiamato “Sars-CoV”, non era ne’ una mutazione ne’ una ricombinazione tra virus noti. Il suo genoma differiva per più del 50% da quello di altri Coronavirus pertanto impossibile da creare artificialmente senza abolirne l’infettività.
Un vaccino anti SARS sembrò l’unica possibilità di evitare una seconda ondata. La azienda Chiron (Italiana) inizio’ a lavorare sulla produzione anticorpale respiratoria ed intestinale sulla base di vaccini già esistenti ad uso veterinario in particolare sulla base del Coronavirus dei gatti. Un vaccino avrebbe impiegato però sette o otto anni per essere prodotto. Due tre anni in caso di iter abbreviato.
Il siero iperimmune dei soggetti guariti era in grado di avere potere neutralizzante il virus come ricordava l’epidemiologo Giovanni Rezza il quale ricordava l’impiego di plasma già contro la “febbre di Lassa” e altre epidemie da febbri emorragiche ma nutriva dubbi sull’utilizzo contro il Coronavirus. In vitro la Chiron produsse un vaccino da virus ucciso anche se non fu mai testato su scimmie ed uomini. Era possibile intervenire con mutazioni puntiformi che eliminino la possibilità di provocare malattia ma questo avrebbe potuto aprire la strada a ricombinazioni pericolose con virus originari.
Non mancarono incidenti. Un incidente in laboratorio avvenne dopo il 2003 ed infetto’ due persone addette al laboratorio a Singapore e Taiwan nel settembre e dicembre del 2003. In Cina (Istituto Nazionale di Virologia di Pechino) nel Febbraio e Marzo del 2004 si registrarono 7 casi di esposizione professionale e 4 nosocomiali. Nel Dicembre e Gennaio del 2003 furono registrati altri 4 casi di SARS in avventori di un ristorante che avevano consumato carne di Zibetto (un mammifero possibile serbatoio del virus). Nessun caso secondario fu osservato.
Anthony Fauci (allora direttore del National Institute of Allergy ed Infectious Diseases di Bethesda) considerando le ipotesi di utilizzo di proteine ricombinanti e la ricerca di animali adatti ipotizzava tempi lunghi per un vaccino“ci vorranno anni” “ non facciamoci illusioni” sottolineava. Non era noto se esistessero nuovi serbatoi animali da sopprimere per permettere l’eradicazione del virus. Era noto che le infezioni respiratorie si trasmettono con il freddo pertanto la SARS era attesa già alla fine dell’ottobre 2003 in concomitanza con una nuova epidemia influenzale del 2003-2004.
Nacquero accese polemiche tra esperti “pro-vaccino” per evitare una doppia infezione e “anti-vaccino”che avversavano l’ipotesi di una una vaccinazione di massa. L’Istituto Superiore di Sanità faceva sapere che sarebbe stato piu’ utile avere a disposizione un test rapido per la diagnosi in caso di infezione simultanea da Influenza e SARS in modo da distinguere le due infezioni. Il virologo Fabrizio Pregliasco faceva notare come una immunizzazione di massa avrebbe avuto costi elevati ed un vantaggio scarso.
Nell’estate del 2003 Anthony Fauci era pessimista; “pensare che il Sars-Cov sia scomparso per sempre è una pura illusione” ripeteva alle emittenti televisive statunitensi e canadesi.
Mirco Grmek, storico della medicina scomparso tre anni prima e teorico della Patocenosi (secondo la quale tutte le patologie sono legate alle altre presenti in un determinato periodo ed in una determinata società) associava allo sconvolgimento del clima degli anni duemila ed al turbamento del rapporto dell’uomo con l’ambiente la nascita di nuove malattie infettive o il riemergere di infezioni scomparse.
Prakash Chandra, a capo del team di ricercatori dell’università di Francoforte, ipotizzava una terapia con Interferone ed antivirali in uso contro il virus HIV. Il premio nobel francese Montaigner ipotizzò un ruolo addirittura della papaia fermentata nel controllare l’effetto del virus scatenando feroci polemiche e la censura dell’immunologo Alberto Mantovani; “affermazioni non basate su criteri accettati dalla comunità scientifica” diceva. Il noto infettivologo Dante Bassetti (padre dell’attuale primario infettivologo del Policlinico San Martino di Genova Matteo Bassetti) teorizzava però prudentemente che un ruolo degli antiossidanti nella terapia anti-SARS potesse essere riconosciuto.
La microbiologa dell’ospedale Sacco di Milano Maria Rita Gismodo era l’unica Italiana in sala alla conferenza globale sulla SARS di Kuala Lumpur (giugno 2003). Si ipotizzava la distruzione del serbatoio animale una volta individuato per evitare la ricomparsa del virus in autunno. Robert Gallo (anche lui premio nobel) affermava ” tra pochi mesi della SARS ci saremo dimenticati”.
In conclusione la Sars scomparve così come l’abbiamo conosciuta, nessun vaccino venne più studiato e cadde nel dimenticatoio. I Vet Market cinesi dove convivevano uomini ed animali (anche selvatici) nel sud della Cina continuarono ad esistere ed a diffondere zoonosi.
Anni dopo i Coronavirus ricomparvero come responsabili della MERS (Middle East Repiratory Syndrome-related coronavirus) dovuta al “Mers COV” nuovo coronavirus identificato nel 2012 in pipistrelli e cammelli e responsabile di una infezione respiratoria nel medio oriente molto simile alla SARS ma con una diffusione anche per via fecale-orale che ben si adattava (questa sì) ai paesi caldi del medio oriente e dell’Asia con casi sporadici in occidente. I casi di zoonosi continuarono a presentarsi per molti mesi ma non si verifico’ mai lo “Spill Over” e il Coronavirus tornò nel suo serbatoio sparendo nel nulla.
In conclusione che vi ricorda questa storia? Nulla di nuovo sotto il sole.
Sono troppe le similitudini fra la sindrome COVID 19 e la SARS e troppe le similitudini virologiche fra i due virus. Il nuovo Coronavirus responsabile della pandemia del 2019 si chiama infatti Sars-Cov2. Molto simile la clinica, la patogenesi e la mortalità delle due sindromi anche se sembrerebbe molto maggiore la diffusibilità del Sars-Cov2 a dispetto di una minore gravità delle manifestaioni cliniche. Siamo di fronte al ritorno della SARS?
Identiche le polemiche sulle responsabilità della Cina nell’iniziale tentativo di nascondere la diffusione del Virus e simili i dubbi sull’origine artificiale del virus stesso.
Anche i nomi degli esperti invischiati in polemiche e scivoloni mediatici come Fauci, Gallo, Montaigner, Gismondi, Pregliasco, Bassetti, Rezza, Mantovani. Tutto come 17 anni fa. Oggi in più abbiamo social network e sistemi di messagistica che facilitano il diffondersi di teorie complottistiche che sostengono non solo che il virus sia stato creato in laboratorio ma che la terapia efficace era nota e a basso costo (Eparina, Plasma iperimmune etc..) e per questo sotto-utilizzata e sottaciuta.
Questo virus, nuovo si’ da un punto di vista antigenico ma pur sempre un coronavirus, è stato considerato dagli stessi esperti prima un banale virus simil-influenzale e successivamente un micidiale mostro in grado di eludere ogni tentativo di terapia e di non produrre una immunità protettiva o addirittura di nascondersi nell’organismo forse anche per tutta la vita.
Probabilmente per la teoria del “più probabile che non” come il Sars -Cov anche il Sars Cov2 induce anticorpi proteggenti della durata di qualche anno, ha andamento stagionale, scomparirà nel prossimo Luglio e ritornerà nel suo serbatoio animale non essendo in grado di resistere a lungo fra i portatori sani umani.
Solo pochi virus come l’HIV o prima ancora il Morbillo sono rimasti fra noi perché adattati all’essere umano provocando varie e periodiche epidemie. Gli altri, dopo un breve giro (e molte vittime) sono tornati a soggiornare nel loro serbatoio animale naturale. Inizialmente, in questo passaggio da una specie all’altra, il virus è molto aggressivo perché non ancora adattato all’essere umano. Con il tempo impara a convivere con l’ospite senza ucciderlo (il che sarebbe un suicidio per un virus). Probabilmente succederà anche questa volta così per il temuto virus della sindrome Covid19. Ce lo auguriamo tutti. Un vaccino sarà possibile ma potrebbe essere anche questa volta tardivo.
Forse l’umanità dovrà iniziare a pensare ad un futuro fatto non solo di vaccini e terapie. Forse dovrà imparare a controllare le zoonosi iniziando dal modificare il suo atteggiamento nei confronti della produzione di cibo, del mondo animale e dell’ambiente unico per noi e per “loro”. Forse.