Un figlio dopo il tumore
Il cancro è in Italia la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e sempre più numerose sono le persone che vivono e affrontano il dramma della malattia, imparando a conviverci senza rinunciare ad una buona qualità della vita. La strategia di cura più efficace a tutt’oggi è la prevenzione (sano stile di vita, alimentazione, ecc…) e soprattutto la diagnosi precoce, grazie alla quale si ha la possibilità di migliorare il percorso terapeutico e aumentare la probabilità di guarigione.
Tuttavia, quando si rende necessario affrontare il problema, le armi a disposizione sono tante: chirurgiche, chemio e radioterapiche, le quali aumentato le probabilità di guarigione, ma non sono esenti da conseguenze dannose per altre cellule dell’organismo, comprese quelle dell’apparato riproduttivo. Così, infertilità ed impotenza, condizioni già assai frequenti nella nostra società, diventano per i malati di cancro un’ombra su un presente fatto di ricoveri, terapie, controlli, con ulteriori conseguenze negative sulla vita sentimentale, sessuale e riproduttiva.
La correlazione tra tumore e infertilità può essere diretta o indiretta. Rientrano nel primo caso tutte quelle patologie oncologiche che colpiscono direttamente le gonadi, richiedendone la rimozione: utero (collo e corpo), vagina, vulva e ovaie nella donna; testicolo (per seminomi), pene e prostata nell’uomo. Alla seconda categoria appartengono quei tumori che riguardano la pelvi o che, in seguito ai trattamenti radianti o chemioterapici, causano un danno irreversibile a ovaie e testicoli: carcinoma del retto, della vescica, linfomi di Hodgkin e non Hodgkin, osteosarcomi. E' noto come nell'uomo i farmaci antimitotici siano responsabili di una sterilità transitoria o definitiva e anche quando si verifica un recupero della spermatogenesi, questa può essere incompleta. Altrettanto compromettente la radioterapia, tenuto conto che le cellule germinali dell'uomo sono tra le più radiosensibili dell'organismo e che una azoospermia definitiva si può avere a partire da soli 2 o 3 Gy (pur essendoci una variabilità molto alta della sensibilità individuale). Per quanto riguarda la terapia chirurgica, alcuni danni possono essere provocati da legatura dei deferenti o da asportazione dei linfonodi che drenano i testicoli, pratiche necessarie negli interventi di tumore del colon, adenomi prostatici e tumori del testicolo, in seguito ai quali può anche verificarsi una lesione delle strutture nervose vicine ai linfonodi, con il risultato di provocare una mancata eiaculazione o di farla avvenire in maniera retrograda (cioè verso la vescica). In questo caso si può intervenire mediante elettrostimolazioni o alcalinizzazione delle urine, che consente il recupero degli spermatozoi separandoli dall’urina stessa. Infine, una nuova frontiera è quella della microchirurgia (TESE, MESA), con la quale gli spermatozoi vengono recuperati direttamente dall’epididimo o dal testicolo, per poi essere iniettati negli ovociti della partner.
Allo stesso modo nella donna i trattamenti chirurgici radicali mettono fine alla vita fertile della paziente, mentre quelli chemio e radioterapici sono in grado di causare in una percentuale rilevante di pazienti oligo/amenorrea transitoria o persistente sino alla menopausa precoce.
Bisogna inoltre notare che al di là del rischio di sterilità definitiva o transitoria, i risultati della sperimentazione animale ci pongono anche problemi di mutagenicità nella progenie degli individui concepiti dopo la fine dei trattamenti.
Fortunatamente le attuali conoscenze in campo di fertilità possono scavalcare queste difficoltà. Se infatti per molto tempo ci si è ritenuti soddisfatti di una semplice restaurazione della salute, oggi, invece, ci si sforza di preservare anche la capacità riproduttiva del paziente oncologico, per garantirgli la possibilità di realizzare il proprio desiderio di genitorialità, a volte ancor più sentito dopo l’odissea della malattia.
Attualmente ciò è possibile grazie alle diverse opportunità offerte dalle nuove tecnologie mediche.
Una di queste è appunto la CRIOCONSERVAZIONE DEI GAMETI.
Per quanto riguarda gli spermatozoi la procedura di conservazione in azoto liquido è relativamente semplice, grazie alla resistenza delle cellule germinali maschili al congelamento, che avviene previa diluizione del liquido seminale in un crioprotettore e conservazione degli spermatozoi, anche per diversi anni, in appositi contenitori detti pailletes. La quota di spermatozoi ancora vitali può essere poi valutata mediante l’indice di recupero dopo scongelamento, parametro dipendente in gran parte dalla qualità iniziale del liquido seminale, che nei pazienti oncologici è solitamente alterata sia come concentrazione che come motilità e morfologia ed a volte in tutti i parametri. Questo in era pre ICSI aveva messo in discussione l’utilità della conservazione dello sperma, ma i progressi delle tecniche di PMA, che ci consentono di ottenere una gravidanza mediante la microiniezione, per la quale sono sufficienti anche solo rari spermatozoi, hanno riportato l’attenzione sull’importanza che ha, per un uomo che intenda mantenere la prospettiva di paternità, la conservazione del proprio liquido seminale.
Più complesso è invece il procedimento di crioconservazione dei gameti femminili, più sensibili alle tecniche di congelamento. La cellula uovo, infatti, contiene più citoplasma e quindi più acqua e congelarla e scongelarla provoca danni alle microstrutture interne, con perdite finali dal 40 al 60% degli ovociti. Oggi però con la metodica della vitrificazione molti di questi problemi sono stati risolti ed, in mano a provetti embriologi, i gameti femminili scongelati dimostrano una qualità morfo-funzionale eccellente.
Stesso discorso vale per il tessuto ovario o frammenti di esso dai quali è possibile ottenere centinaia di follicoli primordiali contenenti ovociti immaturi molto resistenti ai processi di congelamento e scongelamento. Quest’ultima tecnica ha il vantaggio di essere applicabile anche in età pediatrica e di non richiedere la stimolazione ormonale dell’ovaio, ma le difficoltà legate poi alla maturazione e alla selezione in vitro ne limitano attualmente, in maniera drastica, le applicazioni cliniche.
La necessità di approfondire quindi le conoscenze in questi settori della biologia della riproduzione sono facilmente immaginabili, specialmente alla luce della normativa italiana che vieta metodiche alternative adottate nella maggior parte dei paesi del mondo, come ad esempio il congelamento degli embrioni, più facile da eseguire e dai risultati più soddisfacenti.
Non meno importante nell’uomo è il problema dell’impotenza, che si aggiunge a quello dell’infertilità, causata da interventi chirurgici quali la prostatectomia radicale nel carcinoma prostatico. Infatti, anche se le moderne tecniche tendono a risparmiare i nervi erettori, il rischio di causare dei danni è del 50%. Per ripristinare la funzionalità erettile e quindi una vita sessuale soddisfacente, si può intervenire mediante iniezioni intracavernose di prostaglandine o somministrazioni di farmaci e in casi estremi si ricorre anche all’applicazione di protesi peniene.
Vista, quindi, l’ampia possibilità di scelte oggi a disposizione, sarà compito dell’oncologo, non solo scegliere la terapia più appropriata a garantire il raggiungimento dell’obiettivo primario che è la completa guarigione dal tumore, ma anche, se è il caso, indirizzare il paziente al counseling andrologico o ginecologico. L’illustrazione dei problemi relativi alla perdita della fertilità e alla loro possibile soluzione al momento della comunicazione della diagnosi oncologica, offre qualche speranza in più in un futuro in cui, guariti dal cancro, la vita deve tornare ad essere il più possibile normale.