Quando il parto è un trauma
Secondo un articolo della BBC, fino al 3-4% delle neomamme inglesi soffrono di un disturbo post-traumatico da stress legato al parto, si calcola almeno 28,000 donne ogni anno. In Inghilterra esistono almeno tre associazioni che si occupano di questa condizione (Birth Trauma Association; Pandas Foundation; Mind - PTSD and birth trauma) e anche l’NHS (il sistema sanitario inglese) ha espresso la necessità di fare una corretta diagnosi di questi casi e di inviare a psicoterapia con EDMR (EYE MOVEMENT DESENSITIZATION AND REPROCESSING THERAPY), una metodica che si basa sui movimenti oculari, efficace nel cancellare gli effetti di un trauma passato. Gli effetti negativi del PTSD (Post Traumatic Stress Disorder) del parto non si esauriscono nell’immediato, ma, se non trattati, possono condizionare il desiderio di una nuova gravidanza, o la richiesta di un parto cesareo su indicazione psichiatrica, e quindi un maggiore costo sanitario e maggiori rischi di complicanze per la donna nel post-intervento.
Cosa succede nella nostra realtà?
Nel corso del 2016 fu lanciato l'hashtag #bastatacere riguardo alle storie di parto vissute come violenza, di cui ho parlato in un articolo del mio blog. A seguto di questo fenomeno, un recente studio promosso da AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) ha valutato il grado di soddisfazioni delle donne che hanno partorito presso centri pubblici in Italia. Lo studio multicentrico ha previsto la somministrazione di un questionario a 11,500 puerpere in 106 punti nascita. I dati preliminari indicano che oltre il 95% delle donne intervistate si è dichiarata soddisfatta delle informazioni ricevute durante il parto e il 92% delle donne consiglierebbe ad una amica di partorire nello stesso punto nascita. L’indagine ha analizzato la qualità dei servizi offerti prima, durante e dopo il parto dal personale e in generale si nota come le percentuali di soddisfazione siano molto elevate con una leggera prevalenza per i servizi offerti nel centro-nord. L’Area dove i numeri sono lievemente più bassi è quella del controllo del dolore, dove il 92% delle donne si dichiara soddisfatta, 87% nelle donne che hanno partorito con ventosa ostetrica. Per quanto riguarda il rapporto con il personale, risulta elevato il livello di soddisfazione (97%) per la qualità dei servizi ricevuti nel reparto di Ostetricia e 96% per i servizi offerti dal ginecologo.
Cosa possiamo fare quindi per migliorare la soddisfazione delle donne italiane rispetto al parto?
Come ginecologi e ostetriche, possiamo fare molto. I corsi preparto dovrebbero essere un momento in cui dare una visione più realistica dell’evento nascita, la visita con il ginecologo o con l’ostetrica deve essere rivolta anche a identificare i casi a rischio, da inviare a un intervento di psicoprofilassi. Il reparto ospedaliero dovrebbe garantire la partoanalgesia, quando richiesta, anche se in alcuni casi può prolungare i tempi del travaglio. Il parto è un’esperienza potente, in cui la donna sente di non avere controllo sul suo corpo e sul dolore, per alcune donne già questo può indicare una criticità da non sottovalutare. Riposarsi per alcune ore durante l’epidurale può essere quindi utile, sapendo però che può aumentare il ricorso all’ossitocina e a un parto operativo. Deve essere garantita la libertà di movimento e di bere e alimentarsi nel corso del travaglio, e la possibilità di essere accompagnata, non solo dal marito, ma anche da un’ostetrica di fiducia se richiesto. È molto importante anche il consenso informato, deve essere chiaro che nel caso di un’urgenza, l’operatore può essere costretto a manovre invasive, che nella concitazione degli eventi non avrà il tempo materiale di spiegare nel dettaglio. Inoltre, a mio parere tutti gli ospedali dovrebbero rendere pubblici i dati relativi a percentuali di cesarei, episiotomie, parti operativi, in modo che la gestante possa scegliere in consapevolezza quale struttura è più adatta a lei. Nel caso di un disservizio riguardo al parto o alla degenza, può essere utile segnalare l’accaduto all’URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico) di riferimento. Nella prevenzione secondaria, sicuramente come in Inghilterra bisogna sempre raccogliere la storia del parto e delle emozioni legate al parto, per identificare quel 3-4% di donne con disturbo post-traumatico da stress, da inviare a consulenza specialistica.
Riferimenti
https://oggiscienza.it/2017/12/27/violenza-ostetrica-parto-ginecologia/