#bastatacere quando il parto è vissuto come violenza
È diventata virale la campagna su facebook #BASTATACERE, che riporta le storie di parto vissuto come violenza. La pagina al momento totalizza oltre 20.000 likes e raccoglie oltre un migliaio di testimonianze. In merito a questa iniziativa, è partita una proposta di legge, volta a garantire la dignità del percorso nascita.
Molte storie raccontate dal sito parlano di una sofferenza profonda, che va al di là del vissuto in quel momento specifico, con ripercussioni importanti sulla salute fisica e psichica e sulla vita di coppia.
Arriva un’accusa forte al mondo ospedaliero, che coinvolge sia medici sia ostetriche, come se fosse stata rubata a queste donne l’idea di un parto naturale e sereno, in linea con il corpo. Gli operatori, di cui ho potuto raccogliere l’opinione, osservano questo fenomeno in modo attento, ma dividendosi sul significato di queste testimonianze.
I medici si sentono accusati di essere poco sensibili e troppo inclini a usare bisturi, forbici e ventose (taglio cesareo, episiotomia, parti operativi), quasi fossero visti come selvaggi con il coltello tra i denti, che aspettano al varco la vittima. Al di là delle realtà territoriali specifiche e delle singole storie, su cui non sarebbe corretto pronunciarmi, emergono secondo me bisogni insoddisfatti da entrambe le “trincee”, se di guerra si deve parlare.
Da una parte gli operatori non si sentono soddisfatti del modo in cui lavorano: si sono formati per oltre 10 anni non certo per fare spregi alle persone, ma per un lavoro che è assistenza e cura. Essi si trovano poi nella pratica di tutti i giorni costretti a turni massacranti (c’è voluto un richiamo delle autorità Europee per bloccare orari – dei medici - che in molti casi superavano le 12 ore consentite), a fare i conti con la burocrazia e con disservizi spesso di tipo gestionale.
Negli ultimi decenni si è fatto molto sentire il peso della questione medico-legale: la probabilità di essere denunciati è statisticamente maggiore per ortopedici, chirurghi estetici e ginecologi, soprattutto relativamente a eventi che riguardano la sala parto (per inciso, per chi pratica queste discipline è molto difficile trovare una copertura assicurativa, e nel caso i costi sono rilevanti). Questo ha portato tutto il mondo medico a posizioni difensive: più esami, più terapie mediche o chirurgiche, meno ascolto del paziente e delle sue esigenze.
È chiaro che in questo contesto non ha molto senso promuovere una legge sulla violenza ostetrica, senza avere prima messo le basi affinché gli operatori possano lavorare in modo sereno e in coscienza. Inasprire il confronto non può che avere ripercussioni negative prima di tutto sui pazienti. Se il medico non troverà terreno fertile per essere curante nel senso vero della parola, ci troveremo di fronte a defezioni, con progressivo smantellamento del sistema sanitario pubblico, a favore del privato (come già sta avvenendo).
Dall’altra parte la voce delle donne non può essere ignorata. Manca secondo me a molti operatori una formazione sull’empatia (un difetto che nasce fin dal mondo universitario e poi di pratica ospedaliera), che non è la pacca sulla spalla ma imparare a mettersi nei panni dell’altro e a vedere il mondo come lo vede lui o lei. Ci saranno anche storie ritenute esagerate su #bastatacere, ma sono testimonianze di come quella persona ha vissuto l’esperienza.
Mi viene da pensare, quante aspettative negate e quanta sofferenza in questi racconti di mamme. Ma anche quanta poca informazione riguardo a quello che succede o che può succedere in sala parto.
Alcune mie pazienti si sono lamentate che nei corsi preparto è stata data una visione troppo edulcorata della nascita. Il sapere secondo me è invece la base per scelte consapevoli. Si dovrebbe dare quindi più spazio non solo al significato del parto, ma a come si svolge e agli eventuali imprevisti e alle manovre mediche necessarie per risolverli.
Una mia paziente ha avuto un parto con ventosa, senza che ne avesse mai sentito parlare. Molte donne riferiscono di essere state lasciare a soffrire per molte ore per poi fare un taglio cesareo. Succede spesso, e non è per puro sadismo, ma perché comunque prima di fare un intervento, si cerca di lasciare tempo alla natura di fare il suo decorso.
In alcune testimonianze che raccolgo alla visita dopo il parto, le donne si trovano in travaglio e nel postpartum con un corpo che cambia e su cui sentono di non avere alcun controllo: “È come se quella parte fosse cambiata, è come se non fosse più mia. Anche quando mi lavo, non mi guardo mai sotto.” Questi aspetti hanno delle ripercussioni importanti anche sulla vita di coppia e sul desiderio di una nuova gravidanza e non dovrebbero essere trascurati. La sensazione di molte donne è di essersi sentite “carne da macello”, cioè di non essere stata protagonista delle scelte che riguardavano il proprio corpo al momento del parto.
Io penso che probabilmente questi argomenti andrebbero affrontati anche nel contesto ospedaliero in largo anticipo, in modo da dare alla donna la possibilità di scegliere con un consenso informato quali manovre invasive accettare e quali no, sapendo che nel caso di pericoli per il feto o la madre, il medico può trovarsi a dover praticare atti invasivi nel giro di pochissimi minuti.