Nuovi programmi di screening del carcinoma cervicale
Programmi di screening dei precursori del carcinoma cervicale sono in atto da molti anni nella maggior parte dei Paesi industrializzati. Finora, come test primario di screening, è stata utilizzata la citologia cervico-vaginale.
In Italia, attualmente, il programma di screening per la prevenzione dei tumori della cervice uterina (CCU) consiste nell’invitare tutte le donne di età compresa tra 25 e 64 anni a effettuare un Pap test e a ripeterlo con regolarità ogni 3 anni [1].
Le donne che presentano alterazioni citologiche vengono sottoposte a un esame di approfondimento che, di regola, è la colposcopia. I criteri di invio a colposcopia cambiano da Paese a Paese e in funzione delle strutture medico-sanitarie disponibili. Le donne con lesioni squamose intraepiteliali di alto grado (HSIL) vengono universalmente inviate a colposcopia; le donne con lesioni di basso grado (LSIL) vengono di regola invitate a ripetere la citologia a intervalli di 6 mesi-1 anno e inviate a colposcopia solo in caso di persistenza dell’alterazione [2].
Lo stesso tipo di gestione è stata utilizzata per molti anni per le donne con citologia con atipia squamosa di incerto significato (ASC-US). In Italia è frequente l’invio diretto a colposcopia delle donne con citologia ASC-US/L-SIL; in alternativa, in presenza di ASC-US, è ormai diffuso il triage con HPV test [3].
Fin dal 2006, infatti, l’HR-HPV test è stato introdotto nei protocolli di screening per il triage delle diagnosi citologiche di ASC-US; un altro impiego del test è nel follow-up delle pazienti trattate per lesioni CIN2+ .
Esiste chiara evidenza scientifica che lo screening primario con test validati per il DNA di HPV oncogeni è più efficace dello screening basato sulla citologia nel prevenire i tumori invasivi del collo dell’utero [4-8].
Il trial multicentrico italiano NTCC sulla performance dell’HPV test, condotto su una popolazione di 100.000 donne nell’ambito di programmi di screening organizzati, dimostra che l’HPV test ha una sensibilità nettamente superiore al Pap test; ciò si traduce in una più completa prevenzione del CCU, ragionevolmente dovuta al trattamento di CIN2/3 non individuate dal Pap test.
La sovradiagnosi nelle donne con età superiore a 35 anni è modesta. Viceversa, nelle donne fra 25 e 35 anni, la sovradiagnosi è significativa, in particolare quando si è adottato il protocollo con invio diretto in colposcopia per tutte le donne HR-HPV positive, ma anche quando si è applicato il protocollo con triage citologico.
I risultati preliminari di questo studio mostrano che le donne con HR-HPV negativo all’arruolamento sono protette dalla malattia per un tempo più lungo rispetto ai tre anni previsti per il Pap test. Il consolidamento di questi dati ha portato a ipotizzare, in caso di screening con HR-HPV test, un aumento dell’intervallo di screening grazie alla maggiore protezione fornita da questo test (anticipazione diagnostica e maggior sensibilità) rispetto al Pap test.
Proprio sulla base di queste evidenze scientifiche il Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute ha preso in considerazione l’ipotesi di modificare le Raccomandazioni del 2006.
Il documento di Health Technology Assessment (HTA) italiano “Ricerca del DNA di Papilloma Virus umano come test primario di screening dei precursori del cancro del collo uterino” considera raccomandabile l’HPV test per lo screening primario, a condizione che vengano applicati protocolli appropriati [9]:
1) Le donne positive a HPV non devono essere inviate direttamente a colposcopia, ma è necessario utilizzare la citologia quale sistema di triage.
Il compito del Pap test di triage è riportare la specificità a livelli accettabili, cioè identificare, tra le donne già selezionate da un test estremamente sensibile, quelle che abbiano evidenti atipie citologiche e quindi maggiore rischio di patologia. Se la citologia risulta anormale, la donna viene inviata immediatamente a colposcopia; se la citologia è negativa, la donna viene invitata a eseguire un nuovo HPV test a distanza di un anno. Nel caso tale test fosse ancora positivo la donna verrà inviata a colposcopia; in caso di negatività la donna verrà invitata a un nuovo round di screening entro gli intervalli previsti.
2) L’intervallo di screening nell’ambito di programmi organizzati di popolazione dopo un HPV test primario negativo deve essere di almeno 5 anni.
Il rischio di CIN di alto grado fino a 5 anni dopo un HPV test negativo è inferiore a quello fino a 3 anni dopo una citologia normale.
3) Lo screening basato sull’HPV test non deve iniziare prima di 30-35 anni.
Sotto i 30 anni lo screening basato sull’HPV test conduce a sovradiagnosi di CIN2, con il conseguente rischio di sovratrattamento. Al di sotto di questa età, si raccomanda lo screening citologico.
4) I test per il DNA di HPV oncogeni utilizzati devono essere validati quanto a sensibilità e specificità per lesioni di alto grado, secondo ciò che è riportato nelle Linee Guida Europee.
5) Nel caso si utilizzi l’HPV test come test primario, si raccomanda di non aggiungere la citologia in parallelo.
Non esistono prove che il doppio test con citologia e HPV sia più protettivo del solo HPV test come test primario, benché, rispetto al solo HPV test, esso comporti un incremento della sensibilità, peraltro non rilevante.
Nella citologia di triage la presenza di falsi negativi dovrebbe essere estremamente limitata e legata solo a errori di campionamento o di interpretazione. L’errore di interpretazione legato a fattori quali l’esperienza è di fondamentale importanza nella citologia di triage; il minor numero di citologie da leggere in seguito alla nuova strategia di screening rende quindi necessaria una forte centralizzazione della lettura.
L’errore di attenzione dovrebbe invece essere pressoché assente in quanto il citologo è consapevole di trovarsi di fronte a una casistica selezionata dall’HPV test. Questo aspetto determina anche un incremento della sensibilità della citologia, quando utilizzata come triage.
È opportuno inoltre sottolineare che il concetto di falso negativo assume un significato diverso, limitato nel tempo, in quanto le pazienti con HPV positivo e citologia negativa sono richiamate a un anno per ripetere l’HPV test e inviate in colposcopia nel caso di persistenza della positività.
I nuovi indicatori di qualità della citologia di triage sono il numero percentuale di citologie anormali (ASC-US+) e il valore predittivo positivo del test. La percentuale di Pap test positivi dopo un HPV test positivo è uno dei punti di iniziale criticità da monitorare in modo continuo nella fase di avvio del nuovo programma; il Valore Predittivo Positivodella citologia rappresenta il punto essenziale per valutare le performance della citologia di triage.
La nuova strategia di screening richiede una forte condivisione del sistema di refertazione e del controllo di qualità con una rigida applicazione di criteri morfologici comuni in grado di limitare, se non di annullare, categorie diagnostiche borderline quali le ASC-US.
Considerato che le alterazioni citologiche dei campioni HPV negativi non arriveranno alla lettura del citologo e che quelle dovute a HPV LR saranno estremamente limitate (solo le eventuali coinfezioni con HPV HR), si ritiene che l’utilizzazione della categoria ASC-US debba essere limitata classificando nel modo più netto possibile i relativi quadri morfologici.
Considerato inoltre che l’effetto citopatico da HPV è classificato dal Bethesda System come LSIL, dovranno pertanto essere classificati come LSIL solo i casi in cui siano presenti elementi diagnostici indipendentemente dal loro numero; saranno invece classificati come negativi i casi con alterazioni cellulari senza atipia nucleare, tenuto anche conto del richiamo a un anno [10].
L’adozione della nuova strategia di screening richiede una forte centralizzazione dell’attività sia per il test molecolare sia per la citologia di triage. Le attività centralizzate favoriscono la risoluzione delle criticità organizzative emergenti e garantiscono la qualità della diagnosi, soprattutto con l’automazione dei processi analitici molecolari (estrazione, analisi e lettura) e citologici (preparazione, colorazione e lettura).