Pulsossimetro.

Pulsiossimetro, meglio conosciuto come saturimetro: cos'è e a cosa serve?

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Dr. Bruno Nicora Palliativista, Anestesista, Neurofisiopatologo

Da 30 anni a questa parte i costi per la produzione e la vendita del pulsossimetro (o pulsiossimetro) sono calati notevolmente, per cui è diventato un oggetto di largo consumo fra tutti noi, non solo in ambito ospedaliero o delle emergenze territoriali. Nel linguaggio comune è un misuratore del respiro. Guarderemo cosa misura di preciso, come si utilizza e come vanno interpretati i dati. 

Come funziona il pulsossimetro?

Il principio fisico sulla base del quale funziona il pulsiossimetro è quello della rifrazione:

  • un raggio infrarosso attraversa una porzione di tessuti irrorati dal sangue, quasi sempre l'estremità di una falange, e viene rifratto, cioè modificato,
  • un altro sensore ricevente raccoglie questo segnale e lo trasforma in dati analogici che vengono poi interpretati in dati digitali e trasformati in numeri.

Come dice la parola stessa, è un pulsiossimetro e non un saturimetro.

Pulsossimetro o saturimetro: qual è la differenza?

Il pulsiossimetro misura la saturazione dell'emoglobina, sia essa arteriosa che venosa, quindi non ci dice come respiriamo, ma i risultati del nostro respiro. E questa è una differenza molto importante con il saturimetro: ci dice alla fine se il nostro respiro è faticoso o no e che tipo di saturazione dell'emoglobina produce. Quindi non è correlato allo scambio dei tessuti di ossigeno, ma alla presenza dell'emoglobina disancorata dalla clinica.

Il termine è costituito da due parole: "pulsi" e "ossimetro". Ossimetro l'abbiamo già spiegato, "pulsios" è l'altra parte del termine, perché grazie alle tecnologie integrate raccoglie anche la frequenza.

La frequenza dell'estremità del letto capillare quindi non è sempre coerente con quella cardiaca, che può essere misurata clinicamente con la valutazione del polso centrale o periferico oppure con un elettrocardiogramma, ed ha questi due valori che spesso si correlano a stati clinici. La visita clinica viene integrata anche col valore della saturimetria, sia essa arteriosa che venosa, ma è un'integrazione o meglio una seconda valutazione.

Perché il pulsossimetro non funziona?

Dopo aver spiegato quindi cosa misura e il principio fisico con cui funziona, spieghiamo perché a volte il segnale può essere alterato o assente.

Un'eccessiva vasocostrizione, ad esempio, una mano ghiacciata o un paziente con una volemia bassissima, quindi con una concentrazione del sangue nei distretti centrali e una vasocostrizione dei distretti periferici. Un paziente in arresto cardiaco sicuramente avrà anche un saturimetro come device di misurazione, ma la valutazione di questo saturimetro verrà presa in esame in un secondo momento, quando non ci sarà più vasocostrizione.

Viene da sé che misurando il letto capillare dell'estremità delle dita, le unghie smaltate creano un filtro per cui è normalissimo nei pronto soccorso e nelle rianimazioni vedere il personale che, con un solvente, rimuove lo strato di smalto.

I due sensori, l'emittente e il ricevente, possono anche misurare la saturazione di letti capillari non solo dell'estremità ma, come in un neonato, addirittura del piede, essendo poco tessuto e avendo la possibilità che il raggio infrarosso non si disperda nei tessuti ma arrivi con la giusta alterazione misurabile e quantificabile al sensore ricevente, oppure il lobo dell'orecchio. Quindi si mette al dito quasi sempre, ma non sempre.

La vasocostrizione è uno di quegli stadi di compromissione emodinamica che altera anche la valutazione. Il segnale può essere buono, quindi può essere interpretato analogicamente e trasformato poi digitalmente, può essere assente, ma anche notevolmente disturbato. Nel video vediamo tre mani che rappresentano tre livelli di vasocostrizione, valutabili con il colore e il tatto, toccandole e valutando la temperatura della cute. Abbiamo anche nel secondo riquadro degli esempi di onde alterate: più si lascia il saturimetro, più c'è la possibilità che la macchina riesca a produrre onde interpretabili dal sensore.

Pulsiossimetro e ossiforesi

Ho parlato all'inizio di integrazione, perché alla fine clinicamente misura l'ossiforesi nel senso di un peggioramento.

Che cos'è l'ossiforesi?

Dall'etimologia del greco antico, vuol dire trasporto dell'ossigeno ed è il termine più calzante, più giusto e corretto legato a questo strumento, perché non misura la capacità di scambio a livello alveolare, non misura la capacità di estrazione dell'ossigeno a livello tissutale, ma quello che ci sta in mezzo, cioè la percentuale di emoglobina legata all'ossigeno.

Ecco perché la valutazione del saturimetro va fatta dai clinici, perché se uno non è clinico tende, come umano, a fissarsi sul valore numerico. Questo per istinto, perché sappiamo tutti che un numero è qualcosa di controllabile, valutabile e modificabile, ma in realtà misura solo la capacità di trasporto dell'ossigeno.

Ha senso la saturazione nel nostro paziente che tossisce?

Ha un senso se correggiamo la sua clinica, cioè una dinamica respiratoria non corretta, e integriamo come valore la saturimetria, anzi la pulsossimetria, perché anche la frequenza cardiaca è un indice di affaticamento respiratorio.

Ora, se noi siamo clinici "bedside", cioè al letto del paziente, ci rendiamo conto che un paziente che tossisce, anche se ha 95, 96 o 98 di saturazione, quello è un valore di un buon trasporto dell'ossigeno, ma per ottenere quel 98 il paziente è dispnoico o tachipnoico. Ad esempio, respira male oppure molto velocemente, e quando si respira molto velocemente, cioè sopra i 16-18 atti al minuto, si va incontro a un esaurimento muscolare dei muscoli respiratori. Quindi, quel 98 di saturazione in un paziente tachipnoico non è un indice utile a indicare che non vi sia bisogno di trattare la dispnea.

Mentre il paziente che si vede a sinistra, e qui porto un esempio ottimo in un ambiente palliativo, è tranquillo e guarda la TV. Aggiungo che è un paziente con una broncopatia ostruttiva, una BPCO o una COPD, ma non è sintomatico. Può avere tra gli 85 e i 90 di saturazione ma non è sintomatico.

Cosa vuol dire? Vuol dire che quello è un valore costituzionale, che il suo corpo è perfettamente in compenso, che la sua tranquillità è un equilibrio che ha raggiunto il suo corpo e il valore del saturimetro in quel momento non è coerente con la clinica del paziente o la sua fase.

Con questi due esempi vi saluto e vi ricordo che in cure palliative anche una parola può essere terapia.

Data pubblicazione: 20 ottobre 2024

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