I trattamenti per la fibrillazione atriale: ultime evidenze tra farmaci e ablazione
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Cos'è la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale (FA), la più frequente aritmia cardiaca, è caratterizzata da un’attività atriale rapida e caotica, con perdita della contrazione degli atri. Tale perdita di contrazione rallenta il flusso del sangue con il rischio di formazione di trombi.
Ovviamente, se questi trombi si distaccano, possono occludere le arterie causando un’embolia arteriosa periferica o, quando ciò si verifica in corrispondenza di un’arteria del cervello, possono provocare un infarto cerebrale (ictus).
Da questa ragione la conseguente necessità di terapia anticoagulante cronica. Inoltre, è noto da tempo che i pazienti con fibrillazione atriale sono più inclini ad essere ospedalizzati e ad avere episodi di scompenso cardiaco.
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Cosa fare in caso di fibrillazione atriale?
Quando il cardiologo visita un paziente con fibrillazione atriale deve perseguire innanzitutto due obiettivi:
- Controllo delle condizioni predisponenti (ad esempio ipertensione arteriosa, obesità, abuso di alcolici, disturbi tiroidei, disturbi gastrici, etc).
- Prevenzione del tromboembolismo arterioso, attraverso l'uso di anticogulanti.
Dopo aver fatto ciò, il cardiologo ha di fronte a sé due strade:
- Controllo del ritmo: cercare di eliminare la fibrillazione mediante farmaci antiaritmici (es. amiodarone) e procedure di ablazione, ripristinando il normale ritmo cardiaco (ritmo sinusale)
- Controllo della frequenza: cercare di “rallentare” il battito cardiaco, mantenendo la fibrillazione atriale.
Terapia della fibrillazione atriale: cosa dicono gli studi?
Precedenti studi, tra cui bisogna citare in particolare l’AFFIRM, non hanno dimostrato un chiaro beneficio di una strategia rispetto all’altra. Per questo motivo, per molti anni i due approcci sono stati considerati come equivalenti. Negli ultimi anni tuttavia la situazione è cambiata, spostandosi a favore di una strategia di controllo del ritmo.
In particolare, il recente studio EAST-AFNET 4 ha dimostrato come una strategia di controllo del ritmo precoce, ovvero iniziata rapidamente dopo la diagnosi di fibrillazione atriale (< 1 anno), sia superiore nel migliorare gli esiti cardiovascolari tra i pazienti con questo tipo di aritmia. Quindi cercare di “eliminare” precocemente la fibrillazione atriale ripristinando il normale ritmo sinusale, sia mediante farmacia sia con ablazione, è la strategia da perseguire nei pazienti con recente diagnosi di FA.
Come possiamo spiegare questa differenza di risultati rispetto ai precedenti studi?
Una delle differenze più importanti è tra le popolazioni studiate: in particolare, l’insorgenza recente di fibrillazione atriale (diagnosticata ≤1 anno prima) nell’EAST-AFNET 4 rispetto a fibrillazione persistente di più “vecchia data” negli studi precedenti.
Il tessuto atriale, una volta instauratasi la fibrillazione atriale, va incontro ad un “rimodellamento elettrico” e “strutturale”, cioè a modificazioni delle caratteristiche elettrofisiologiche e strutturali del miocardio atriale verso la fibrosi. Mantenere a lungo la fibrillazione atriale crea un circolo vizioso negativo, quindi rendendo progressivamente più difficile eliminare l’aritmia. Tale concetto è riassunto dalla frase “AF begets AF”, ossia “la fibrillazione atriale facilita la fibrillazione atriale”.
In conclusione, in base ai dati della letteratura, è possibile affermare che la strategia di controllo del ritmo (volta all’eliminazione della fibrillazione atriale) risulti preferibile quando il paziente presenti sintomi attribuibili all’aritmia; inoltre, con l’obiettivo di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari una strategia di controllo del ritmo andrebbe perseguita precocemente dopo il primo riscontro di fibrillazione, ovvero senza rimandare a una fase tardiva in cui il rimodellamento atriale è già avanzato.
Per approfondire:La fibrillazione atriale asintomatica