Gli acidi grassi fanno realmente bene dopo un infarto?

Pochi giorni fa l'ANSA ha dato notizia di uno Studio, pubblicato su un'importante rivista scientifica (Circulation), secondo il quale gli Acidi Grassi Poli-Insaturi (d'ora in poi denominati "PUFA" dal loro acronimo scientifico Poly-Unsatured Fatty Acid) possono contribuire, dopo un infarto miocardico, a riparare i danni da esso causati.

Punta d'orgoglio, gli autori dello studio sono italiani. Parte tutto, infatti, dal reparto di Cardiochirurgia del "Gemelli" di Roma, che afferisce all'Università Cattolica del Sacro Cuore della città medesima. A capo, il Prof. Massimo Massetti.

Come è noto ai più, i PUFA, riducono il rischio cardiovascolare globale e, più nello specifico, riducono il rischio di sviluppare aterosclerosi coronarica mediante la riduzione dei Trigliceridi nel sangue. A trarne beneficio, quindi, non sono solo i pazienti affetti da ipertrigliceridemie primitive non trattabili con la sola dieta.

In questo studio è stato possibile dimostrare che i PUFA, somministrati ad alte dosi, possono intervenire positivamente nel rimodellamento del muscolo cardiaco, ovvero nella cascata di eventi patologici successivi all'insulto ischemico quali: necrosi dei tessuti colpiti (ovvero la "morte cellulare"), successiva formazione di cicatrice fibrosa ed infine le variazioni diforma e dimensioni del ventricolo sinistro (il "rimodellamento").

Per non confondere le idee, va però detto che stiamo parlando di uno Studio in fase ancora osservazionale, e che le società scientifiche continentali più importanti (Società Europea di Cardiologia e Americane) redigono periodicamente le Linee Guida in cui, per ora, il trattamento con acidi grassi nella fase acuta e cronica della cardiopatia ischemica rimane ancora marginale e opzionale. Viene tuttora lasciato ampio spazio alle Statine, ai beta-bloccanti e agli ACE-inibitori, i quali meriterebbero ampi capitoli di discussione ed approfondimento.

Un piccolo inciso personale: I pazienti che possono trarre benefici, al momento, da terapie con PUFA, sono, come già detto, quelli che sono affetti da ipertrigliceridemie non controllabili con la sola dieta. A questi vanno aggiunti i pazienti affetti da Diabete Mellito di tipo 2 (la forma di Diabete più comune, non giovanile). In questi i trigliceridi giocano un ruolo chiave nella formazione del glucosio che poi, in circolo, innalza i livelli totali di glicemia. Un enzima, infatti, interviene sui trigliceridi introdotti con la dieta e li divide in tre parti uguali (tri - gliceridi) formando così 3 molecole di "gliceridi" che vengono poi ulteriormente bio-trasformate a glucosio. Ecco che in questi pazienti, alla terapia ipoglicemizzante orale ottimale e alla dieta ipoglucidica e ipolipidica, andrebbe associata la terapia con PUFA, a prescindere dai valori effettivi assoluti dei Trigliceridi.

 

fonte: ANSA

Data pubblicazione: 17 dicembre 2016

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