L’andrologo ed il suo ruolo nelle infertilità di coppia
Si è svolto in questi giorni a Castellina in Chianti un importante evento Incontri con l'Andrologia - X edizione, di cui uno dei promotori è stato il nostro collega Edoardo Pescatori insieme all’amico Paolo Turchi. Il corso era centrato su diversi temi specifici.
Al termine di ogni sessione i moderatori hanno guidato la discussione in un ampio spazio di condivisione su tutti i temi trattati. All’incontro gli andrologi più esperti hanno potuto confrontare le loro conoscenze con quelle dei relatori e, soprattutto gli andrologi più giovani hanno avuto la possibilità di far domande mirate ai relatori senza limiti di tempo, in un clima di informalità che ha favorito una proficua interazione con tutti i partecipanti e la possibilità di acquisire importanti aggiornamenti scientifici.
Il ruolo dell'andrologo nella PMA
Fra tutte le problematiche andrologiche affrontate nel Convegno quella che più mi ha coinvolto è sicuramente la tematica che riguardava le reali difficoltà attuali dell’andrologo nel risolvere alcune infertilità maschili.
Certamente il rapido sviluppo delle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) ha messo apparentemente un po' all’angolo l’intervento dell’andrologo.
Questo è dovuto anche a vari fattori che riflettono sia un approccio storico alla medicina riproduttiva sia una prospettiva sbilanciata verso le problematiche femminili rispetto a quelle maschile anche se l'infertilità maschile rappresenta circa il 40% delle cause di infertilità di coppia.
Per lungo tempo, la fertilità è stata vista quasi esclusivamente come un problema femminile, e molti degli sforzi scientifici e medici si sono concentrati su diagnosi e terapie per le donne.
L'infertilità maschile, benché rilevante, è stata spesso considerata nulla o secondaria.
Le tecniche di PMA poi, come la fecondazione in vitro (FIV), prevedono di fatto diversi interventi sul sistema riproduttivo femminile, come la stimolazione ovarica, il prelievo di ovociti e l'impianto embrionale e di conseguenza, le procedure sono eseguite da ginecologi, mentre il ruolo dell'andrologo si limita generalmente alla valutazione e al tentativo di migliorare la qualità del seme.
Ancora le tecnologie come la ICSI (Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo) hanno permesso di bypassare alcuni importanti problemi di fertilità maschile, permettendo l’utilizzo di spermatozoi di qualità inferiore o in quantità ridotta. Questo ha portato alla percezione che, una volta disponibile comunque uno spermatozoo, il contributo dell'andrologo sia meno rilevante rispetto a quello del ginecologo.
L'innalzamento dell'età media in cui si cercano figli tende anch'essa ad accelerare l’indicazione verso tecniche di PMA "saltando " gli approcci intermedi, l'attesa e le possibili terapie. Esistono poi barriere culturali legate al fatto che gli uomini sono meno inclini a cercare assistenza medica per problemi riproduttivi, in parte a causa di pregiudizi sulla virilità e la percezione sociale della fertilità maschile.
Nonostante tutto ciò dal Convegno di Castellina in Chianti è emerso che solo un coinvolgimento equilibrato tra andrologi e ginecologi, anche nelle indicazioni cliniche verso una tecnica di riproduzione assistita, è cruciale per migliorare i risultati complessivi delle terapie proposte.
L'infertilità maschile può essere complessa da diagnosticare e trattare, e richiede quindi approcci andrologici specifici che spaziano dalla valutazione della salute spermatica fino alla gestione di patologie sottostanti, come varicocele, disturbi ormonali o genetici, che possono esserne la causa.
Per approfondire:Andrologo e ginecologo: interazione necessaria nell'infertilità di coppia